Come approfondimento alla nonviolenza, pubblichiamo insieme le interviste, realizzate singolarmente da Paolo Arena e Marco Graziotti, della redazione di "Viterbo oltre il muro a Osvaldo Caffianchi, Agostino Letardi, Giovanni Benzoni, Valter Toni, Gaetano Farinelli e Gloria Gazzeri.
"Spazio di informazione nonviolenta", è un'esperienza nata dagli incontri di formazione nonviolenta che si svolgono settimanalmente a Viterbo.
Questo ciclo di interviste verrà utilizzato nei momenti formativi realizzati dall'Associazione.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Come è avvenuto il suo accostamento alla nonviolenza?
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Osvaldo Caffianchi: Come per chiunque: un pò per caso e un pò per scelta. Più precisamente, per quanto attiene alla scelta: per un'esigenza di rigore logico e morale, ovvero di rispetto per se stessi e per gli altri.
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Agostino Letardi: Grazie all'"imitazione" della sorella e del fratello maggiori, impegnati in vario modo sull'argomento (sia attraverso lo scoutismo che, per mio fratello, attraverso la scelta del servzio civile come obiezione al servizio militare, allora obbligatorio).
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Giovanni Benzoni: È stato un fatto dell'adolescenza; dai dieci/undici anni in su ho sempre sentito la Resistenza (sono nato a Belluno, città medaglia d’oro) come la linea di demarcazione tra bene e male (una delle mie ripetute letture sono state le Lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana); il partigiano era ed è la figura dell’uomo che dà la risposta giusta al momento giusto. Dentro questo dato per me costitutivo, ho cominciato a interrogarmi sull’uso della violenza - sono di formazione cattolica - a partire dalla lettura continua dei vangeli che ho fatto per mio conto in seconda media, dalla frequentazione dei libretti de La locusta (la straordinaria proposta editoriale di Rienzo Colla) con il Tu non uccidere di Primo Mazzolari. Aggiungo un ricordo di una discussione che ebbi nel ’68 - ero allora presidente della Fuci - con alcuni ex partigiani cristiani che sostevano che loro avevano usato la violenza, ucciso con amore, mentre il Movimento studentesco era violento; credevo allora e credo tuttora che il supplemento dell’amore non modifichi in nulla la sostanza del problema in ordine alla scelta nonviolenta (scelta che peraltro non è concepibile "una volta per tutte").
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Valter Toni: Non ci sono stati eventi particolari, ma ho avuto la grande fortuna di avere due genitori pieni di pace, semplice e vera testimoniata innanzitutto dalla loro relazione. E poi, passando per il maestro delle elementari, insegnanti, sacerdoti, la mia vita ha avuto il dono di tanti testimoni di pace. Tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta l'attività del Partito radicale, l'ascolto di una radio decisamente fuori dal contesto mediatico nazionale, hanno sicuramente influenzato la mia sensibilità rispetto a certi temi.
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Gaetano Farinelli: Attraverso letture e attraverso persone.
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Gloria Gazzeri: Ho letto prima Martin Luther King, poi Mohandas K. Gandhi, e Gandhi mi ha rimandato a Leone Tolstoj.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali personalità' della nonviolenza hanno contato di più' per lei, e perché'?
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Osvaldo Caffianchi: Molte e tra loro molto diverse. Ma molto ha contato lo studio delle vite e delle opere di personalità dalla nonviolenza distanti, e che pure mi hanno sempre più persuaso della necessità della nonviolenza. Molto ha contribuito ad esempio lo studio di Frantz Fanon e di Che Guevara. Ma anche di Marcuse e di Sartre, di Kafka e di Beckett, di Ernesto De Martino e di Michel Foucault, della tragedia greca e di Gregory Bateson. Moltissimo le letture - e talora la frequentazione, e l'amicizia - di superstiti dei lager.
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Agostino Letardi: Non ho avuto una vera e propria "formazione" sull'argomento, quindi la mia conoscenza di figure classiche (tipo Gandhi, Danilo Dolci, ecc.) è abbastanza generica. Hanno contato più persone che ho incrociato nel mio personale percorso di vita per le testimonianze pratiche che mi hanno fornito.
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Giovanni Benzoni: Nella mia formazione hanno pesato più che singole personalità della nonviolenza (la cui conoscenza è stata successiva al tempo della mia della formazione e necessitata dal trovare "pezze d’appoggio" a quanto era oggetto di riflessione, impegno, confronto), Emmanuele Mounier e l’engagement alla “Temoignage chretienne”.
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Valter Toni: Oltre a quelli ricordati nella domanda precedente senza dubbio don Oreste Benzi e Tonino Bello. Il primo ho avuto modo di conoscerlo personalmente quando la mia fatica a credere aveva raggiunto il massimo livello e quindi gli incontri con lui hanno determinato in me un cambiamento a vari livelli, di cui la sensibilità alla nonviolenza è un aspetto importante. Il secondo mi è bastato incontrarlo una volta. Leggere i suoi libri e i suoi articoli in "Mosaico di pace" non possono lasciare indifferenti a questi temi.
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Gaetano Farinelli: Ricordo in particolare Gandhi, una nonviolenza attiva, non rassegnata, dignitosa e consapevole dei propri diritti.
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Gloria Gazzeri: Naturalmente Leone Tolstoj, perché insieme ad alcuni amici abbiamo ristampato per primi il suo libro Il Regno di Dio è in voi. E poi per più di venti anni abbiamo continuato a studiarlo e a pubblicarne gli scritti filosofici. Consigliamo di leggere il nostro saggio Tolstoi, il profeta, edito da Il segno dei Gabrielli, Verona.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali libri consiglierebbe di leggere a un giovane che si accostasse oggi alla nonviolenza? E quali libri sarebbe opportuno che a tal fine fossero presenti in ogni biblioteca pubblica e scolastica?
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Osvaldo Caffianchi: Consiglierei innanzitutto di leggere i classici della letteratura mondiale, da Omero a Primo Levi.
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Sconsiglierei invece di iniziare col leggere tanta manualistica o pubblicistica o memorialistica di militanti e testimoni spesso animati dalle migliori intenzioni ma sovente più confusi nel dire che nel fare; e sconsiglierei molte opere pubblicate da case editrici benemerite ma che non eseguono un sufficiente editing e quindi stampano opere gremite di spropositi che non fanno un buon servizio a nessuno.
Tra i testi specifici ripeto quanto già molti hanno detto: di Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza; di Aldo Capitini gli Scritti sulla nonviolenza e gli Scritti filosofici e religiosi; di Giuliano Pontara, L'antibarbarie; di Vandana Shiva, Il bene comune della terra; di Gene Sharp, Politica dell'azione nonviolenta; di Ernesto Balducci il corso di filosofia: Storia del pensiero umano, e l'antologia del pensiero pacifista moderno e contemporaneo curata insieme a Lodovico Grassi: La pace. realismo di un'utopia. E ancora: di Adriana Cavarero e Franco Restaino, Le filosofie femministe. E per utili confronti il Dizionario di politica diretto da Norberto Bobbio, Nicola Matteucci e Gianfranco Pasquino, il Dizionario di sociologia di Luciano Gallino, il Dizionario di psicologia di Umberto Galimberti, il Dizionario di filosofia di Nicola Abbagnano. Di Hannah Arendt e di Simone Weil tutto ciò che si legge è buon nutrimento.
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Agostino Letardi: Ecco, appunto. Qui la mia ignoranza in materia emerge appieno. A parziale discolpa di tale mancanza posso dire che ritengo che la nonviolenza sia qualcosa da apprendere primariamente in forma esperienziale, più che attraverso letture.
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Giovanni Benzoni: Se dovessi riferirmi alla mia adolescenza direi senza dubbio le ultime lettere dei kamikaze giapponesi nell’ultima guerra mondiale (Quelle voci che vengono dal mare, se non ricordo male il titolo del libro, edito da Garzanti): me lo fece leggere la mia insegnante di lettere Emma Chiarini in seconda o terza media, e assieme il Diario di Anna Frank. Ma con una differenza di mezzo secolo e con l’accelerazione generazionale oggi esistente proprio non saprei, tanto più che è il profilo del lettore che è modificato radicalmente e ho l’impressione che possano essere altre e varie le esperienze per determinare quello scarto che poi scopri essere stato totalizzante solo per stadi successivi. Di certo sono tuttora persuaso che sia conveniente lasciarsi avvolgere dalle radicalità degli interrogativi: quindi la lettura continua almeno dei quattro vangeli canonici. I due recenti saggi di Raniero La Valle (Prima che l’amore finisca, Ponte alle grazie, Firenze 2003, e Se questo è un Dio, Ponte alle grazie, Firenze 2008), insieme al saggio di Giuliano Pontara, L’antibarbarie. La concezione etico-politica di Gandhi e il XXI secolo, Ega, Torino 2006, consentono ad un giovane lettore di avere gli strumenti essenziale per una autonoma capacità di orientamento nella contemporaneita'.
Aggiungo che ho organizzato per otto anni il Salone dell’editoria di pace e tuttora esce l’Annuario della pace dove ogni volta forniamo spunti per costruire una biblioteca di pace per cui preferisco rinviare a questi tentativi, dal momento che tutto va bene anche se poi la paccottiglia non è poca, anzi.
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Valter Toni: Senza dubbio Tonino Bello, Alex Zanotelli, e la poesia di Turoldo. Oggi però suggerirei ad un giovane di avere anche un approccio di tipo culturale, psicologico e spirituale, attraverso percorsi simili a quelli suggeriti da Marco Guzzi con i gruppi che ha chiamato "Darsi pace".
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Gaetano Farinelli: Le vite di Gandhi e di Martin Luther King; le opere di Aldo Capitini, che ha sviluppato una sensibilità sulla nonviolenza in Italia.
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Gloria Gazzeri: Naturalmente i saggi di Tolstoi da noi tradotti e pubblicati.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali iniziative nonviolente in corso oggi nel mondo e in Italia le sembrano particolarmente significative e degne di essere sostenute con più' impegno?
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Osvaldo Caffianchi: Quanto all'Italia: l'opposizione alla guerra; l'opposizione al colpo di stato razzista.
Nel mondo: ogni iniziativa per il disarmo; ogni iniziativa in difesa dei diritti umani, e innanzitutto per il diritto a non essere uccisi.
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Agostino Letardi: In Italia sono rimasto molto favorevolmente colpito da come si è organizzata la campagna referendaria a favore del mantenimento della proprietà pubblica sul bene acqua, ma esistono anche diverse iniziative per i diritti degli immigrati per le quali ritengo sia utile spendersi. A livello internazionale, per motivi sicuramente anche simbolici, visto che vi sono conflitti altrettanto gravi anche in altre parti del mondo, credo che le iniziative volte a risolvere il conflitto israelo-palestinese siano per un europeo d'oggi motivo di sicuro impegno.
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Giovanni Benzoni: Soffro perché mi pare che l’orizzonte della pace - che ritengo compito di questa generazione, sicuramente della mia - sia diventato un fatto residuale. Prima ancora delle iniziative c’è la cultura, la comunicazione: temo la ritualita', temo le divisioni miopi, temo tutto questo nostro insensato arrovellarci, e questo mio timore mi rende forse più disinformato del tollerabile ed incapace di rispondere a quanto da voi richiesto.
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Valter Toni: Mi commuovo di fronte all'impegno dei volontari. Le esperienze che conosco maggiormente sono quelle dell'Associazione Papa Giovanni XXIII, alle quali sono particolarmente affezionato perché presenti su diversi territori di conflitto, sia quelli più evidenti nel mondo dove sono come "caschi bianchi", ma anche nelle nostre citta', vicini alle persone emarginate, alla prostituzione, alla tossicodipendenza, tutti terreni fertili per generare violenza.
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Gaetano Farinelli: Le iniziative di rappacificazione che vengono tentate in vari paesi dell’Africa, a partire dall’esempio del Sud Africa, e poi in Guinea Bissau, in Sierra Leone.
Paolo Arena e Marco Graziotti: In quali campi ritiene più' necessario ed urgente un impegno nonviolento?
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Osvaldo Caffianchi: Ovunque una persona si trovi, cominci li'.
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Agostino Letardi: Credo che il settore educativo sia quello che attualmente possa avere i migliori benefici da un impegno efficace da parte del movimento nonviolento.
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Giovanni Benzoni: A tutto campo: prioritario il lavoro quotidiano nella informazione e nel’ambito culturale.
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Valter Toni: Potrebbe sembrare che vado fuori tema, ma la mia risposta personale e forse impulsiva è la famiglia. Perché è diventata il palcoscenico quotidiano di azioni violente in cui i minori, i soggetti più indifesi, sono le principali vittime.
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Gaetano Farinelli: In Occidente, che ha fatto della guerra uno strumento privilegiato di dominio e di espansione.
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Gloria Gazzeri: Per il momento nel campo privato: ecologia, rapporti interpersonali.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali centri, organizzazioni, campagne segnalerebbe a un giovane che volesse entrare in contatto con la nonviolenza organizzata oggi in Italia?
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Osvaldo Caffianchi: Suggerirei di contattare il Movimento Nonviolento.
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Agostino Letardi: A parte la realtà viterbese di cui fate parte, trovo interessante il rapporto con la Tavola per la Pace di Perugia e il lavoro che fa l'associazione Libera.
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Giovanni Benzoni: Esperienze comunitarie educative, perché c’è la necessità prioritaria di un recupero della "normale" relazionalità tra le persone; e realtà di movimento tipo Pax Christi.
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Valter Toni: I caschi bianchi.
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Gaetano Farinelli: Conosco ed ho seguito in parte l’attività del Centro di ricerca per la pace di Viterbo, che può essere uno spazio “protetto” per entrare in rapporto con la nonviolenza.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Come definirebbe la nonviolenza, e quali sono le sue caratteristiche fondamentali?
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Osvaldo Caffianchi: Propongo una definizione "larga" e inclusiva: sono nonviolente tutte quelle pratiche (anche quelle pratiche teoriche) che contrastano la violenza e la menzogna, che propongono la misericordia e la solidarieta', che promuovono responsabilità e umanita', e che lo fanno con premesse, metodologia e strumentazione coerenti sia col fine della promozione e della difesa della dignità e dei diritti di tutte le persone, sia col fine del rispetto del vivente e della tutela della biosfera.
Secondo questa definizione "larga" sono nonviolente tutte le pratiche di riduzione della violenza, di riduzione della sofferenza e del danno, di lotta per i diritti d tutti, di opposizione alle ingiustizie e alle menzogne, purchè tali pratiche siano agite nel rispetto della vita, della dignità e dei diritti di tutte le parti coinvolte attivamente o passivamente in tali pratiche.
Ma di nonviolenza si può dare anche una definizione più ristretta e specifica: la nonviolenza è la lotta contro la violenza, la lotta la più nitida ed intransigente; ovvero: la nonviolenza è la difesa della dignità e dei diritti di ogni essere vivente e del mondo comune; ovvero: la nonviolenza è prassi di solidarietà e di liberazione agendo secondo il principio responsabilità (Arendt, Levinas, Jonas).
Poi mi piace citare il testo della "carta ideologico-programmatica" del Movimento Nonviolento, che - come è noto - afferma: "Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunità mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti. Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
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l'opposizione integrale alla guerra;
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la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
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lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
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la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
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Agostino Letardi: Come ho già detto, non ho una formazione teorica "solida" sulla tematica. Trovo essenzialmente interessante il convergere di alcuni presupposti di tale approccio esperienziale ed alcuni aspetti delle scienze naturali di cui sono più esperto (sono per formazione e per passione un appassionato di scienze naturali), in particolare l'efficacia di un approccio altruistico nell'interazione tra organismi viventi.
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Giovanni Benzoni: Francamente trovo una perdita di tempo una risposta che risulterebbe catechistica: dobbiamo ridurre la violenza, riconoscere non in astratto le zone critiche dell'azione nonviolenta.
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Valter Toni: La nonviolenza nasce da una pace interiore che è dono (cultura, famiglia, fede, incontro), ma anche impegno perché la pace interiore va coltivata.
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Gaetano Farinelli: Il non uso della forza fisica e psicologica per imporre un comportamento o un sistema di relazioni. La nonviolenza parte da una convinzione di dignità e libertà dell’uomo concreto, che va costruita in una condivisione di valori, costruita attraverso l’azione e le parole in una relazione costante con le persone, uomini e donne
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della libertà di informazione e di critica. Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli".
Ma naturalmente molte altre definizioni possono darsi; ed in coda a questa intervista ne ripropongo una già in altre interviste ripetuta.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e femminismo?
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Osvaldo Caffianchi: Ripeto quello che è stato già detto molte volte: il femminismo è la maggiore esperienza storica della nonviolenza.
Così come il maschilismo e il patriarcato sono le manifestazioni più arcaiche e longeve della violenza.
La liberazione dell'umanità passa attraverso l'abbattimento del sistema di potere maschilista e patriarcale che nega l'uguaglianza di diritti di tutti gli esseri umani e quindi pretende di disumanizzare metà dell'umanità e così facendo peraltro effettualmente disumanizza l'altra metà di cui vorrebbe essere l'ideologia trionfante ed è in realtà l'alienazione più abissale.
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Agostino Letardi: Ho una conoscenza troppo generica del femminismo per poter dare una risposta in merito.
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Giovanni Benzoni: Questa domanda, come molte altre, mi pare sia il risultato di una volontà onnicomprensiva che a me fa un curioso effetto di dare risposte un pò meccaniche e scontate che non credo siano di una qualche utilita', ma visto che ho promesso di rispondere lo faccio, in un modo altrettanto meccanico e del tutto metodologico. Come tutti i grandi fenomeni teorico-pratici di liberazione il rapporto c’e', ed ha senso nella misura in cui produce ulteriori capacità critiche teorico-pratiche sia all’interno (nel femminismo), sia all’esterno.
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Valter Toni: Purtroppo è storia di questi giorni nella mia citta', Fano: un rapporto pieno di malintesi ideologici, e che sui temi etici trovano un territorio di conflitto.
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Gaetano Farinelli: Nascono ambedue dalla dignità dell’uomo e della donna, dall'affermazione della libertà e della uguaglianza dell’uomo e della donna. Il femminismo in genere viene proposto e difeso dalle donne, che prendono coscienza della loro sottomissione, e vivono e lottano per fare in modo che la società accetti attraverso leggi e comportamenti la parità tra uomo e donna, e che gli obiettivi di uguaglianza e di libertà siano assimilati a partire dalle militanti, anche se conquistati nel tempo e contro le leggi e le tradizioni...
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza ed ecologia?
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Osvaldo Caffianchi: Chiamiamo ecologia la relazione nonviolenta tra gli esseri umani e la natura tutta.
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Agostino Letardi: Trovo una forte connessione tra alcuni fondamenti della nonviolenza e alcune leggi che regolano aspetti chiave dell'ecologia; tanto per fare un esempio il parallelismo di come determinate situazioni hanno una maggiore "resistivita'" in presenza di un più elevato livello di interconnessioni tra gli elementi presenti nella situazione stessa.
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Giovanni Benzoni: L’ecologia è nonviolenza, almeno una delle possibili forme dell’odiena ecologia.
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Valter Toni: Fondamentale. La terra si sta ribellando in maniera apocalittica alla violenza dell'uomo. Il liquido nero, risultato della putrefazione organica, che chiamiamo petrolio e che esce dal Golfo del Messico è solo un primo terribile segno. Dio perdona sempre, l'uomo qualche volta, la natura mai.
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Gaetano Farinelli: La supremazia dell’uomo sulla terra, sulle piante e sugli animali e sulle cose non può essere di dominio, ma di umile servizio. Se l’autorità è un servizio, anche la vita dell’uomo sulla terra deve essere un servizio
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza, impegno antirazzista e lotta per il riconoscimento dei diritti umani di tutti gli esseri umani?
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Osvaldo Caffianchi: La nonviolenza è intrinsecamente e sostanzialmente lotta per il riconoscimento dei diritti umani di tutti gli esseri umani; quindi essa è costitutivamente antirazzista.
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Agostino Letardi: Credo che molti elementi fondamentali dell'idea nonviolenza nascano proprio dall'emergere di una coscienza dell'universalità dei diritti umani.
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Giovanni Benzoni: Dialettici, interattivi e biunivoci.
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Gaetano Farinelli: Spesso la nonviolenza è nata in un ambiente ove il clima che si respira, le condizioni che si vivono, sono razziste. Vedi Gandhi e Martin Luther King; questo non significa che ogni lotta per i diritti umani sia nonviolenta. E qui il discorso si complica, perché torna la domanda: cosa sia nonviolenza. Essa infatti non è una tecnica, ma una scelta di vita, e come tale non si può imporre, neppure attraverso la pressione psicologica. E non è neppure una scelta mia che vincola gli altri.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e lotta antimafia?
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Osvaldo Caffianchi: Nonviolenza e antimafia sono la stessa parola, lo stesso concetto, la stessa lotta.
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Agostino Letardi: Credo che a livello sociale l'approccio nonviolento sia il "pericolo" maggiore per la criminalità organizzata.
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Giovanni Benzoni: Specifico nel senso che per quanto so sono limitate le forme nonviolente che hanno sinora prodotto esiti significativi nel processo di scomposizione delle organizzazioni mafiose.
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Gaetano Farinelli: Quando si dice che le forze dell’ordine da sole non possono combattere la mafia, vuol dire che la coscienza civile deve fare la sua parte, e la coscienza civile non è armata ma costruisce relazioni e cultura orientate non solo alla legalita', ma alla difesa della vita e delle scelte di vita. Questo può combattere la mafia.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e lotte del movimento dei lavoratori e delle classi sociali sfruttate ed oppresse?
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Osvaldo Caffianchi: La nonviolenza è oggi il fondamentale riferimento teorico-pratico e l'indispensabile "cassetta degli attrezzi" del movimento delle oppresse e degli oppressi. La nonviolenza eredita ed invera la correnta calda delle tradizioni socialiste e libertarie, ed intreccia queste esperienze e riflessioni con il femminismo e l'ecologia.
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Agostino Letardi: Mi sembra che vi siano ottimi esempi storici di come l'approccio nonviolento abbia data risultati positivi più duraturi in molti esempi di lotta in difesa di gruppi più o meno ampi di persone oppresse.
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Giovanni Benzoni: Decisivo, e maturante e affinante, che consente un supplemento di intelligenza nel sindacato tant’è che si coglie solo in alcune circostanze, quando il movimento per la pace registra una fase alta.
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Gaetano Farinelli: Nella condizione e nelle lotte dei lavoratori la violenza che opprime e la nonviolenza che lotta per dignità e diritti si manifestano già nel momento in cui si contesta la mala distribuzione del reddito, o si alza la testa da terra, o si va in bagno due volte durante il lavoro.
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Gloria Gazzeri: Sia i lavoratori che i popoli oppressi devono per forza usare i principi e le tecniche della nonviolenza attiva, se vogliono ottenere qualcosa.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e lotte di liberazione dei popoli oppressi?
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Osvaldo Caffianchi: La liberazione dei popoli oppressi è legata alla scelta della nonviolenza; la storia ha dimostrato che altre vie hanno esiti liberticidi.
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Giovanni Benzoni: Ci sono solo se sei dentro e e sai coglierne o proporre la prospettiva qualificante.
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Gaetano Farinelli: Qui viene in evidenza una parola importante: liberazione, che è opposta a liberta'. Libertà è un termine astratto. Va bene per tutti ed in ugual modo. Liberazione riguarda chi vive nella sottomissione fisica e morale. Come prenderà coscienza del suo stato chi vive nella sottomissione o nella abiezione? Chi accenderà la scintilla che mostri la sua condizione?
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e pacifismo?
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Osvaldo Caffianchi: Un pacifismo senza nonviolenza è destinato alla declamazione inane e ipocrita.
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Agostino Letardi: Laddove l'obiettivo sia una soluzione pacifica dei conflitti, l'approccio nonviolento è lo strumento più efficace.
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Giovanni Benzoni: trettamente biunivoco e tale da imporre alle componenti nonviolente di affinare gli obiettivi; ammesso e non concesso che ci possa essere pacifismo senza la ricerca e la pratica della nonviolenza, a chi e o crede di essere nonviolento spetta il ruolo di saper precisare gli obiettivi e renderli praticabili, il che raramente è successo e succede, anche volendo guardare le cronache degli ultimi anni.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quale rapporto tra nonviolenza e antimilitarismo?
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Osvaldo Caffianchi: Nonviolenza e antimilitarismo sono sinonimi sotto tutti i riguardi.
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Agostino Letardi: Credo semplicemente che l'approccio nonviolento sia la miglior strategia per contrastare una visione "militaristica" del destino dell'umanità e per perseguire l'obiettivo della riduzione del peso che gli armamenti comportano sull'economia mondiale.
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Giovanni Benzoni: Una strada comune anche se l’antimilitarismo oggi sembra un dato ottocentesco, purtroppo.
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Gaetano Farinelli: L’antimilitarismo riguarda l’uso delle armi. La nonviolenza esclude ogni forma di violenza; ma usa ogni forma di resistenza.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e disarmo?
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Osvaldo Caffianchi: Il disarmo - in ogni ambito di relazioni - è l'obiettivo primario della lotta nonviolenta.
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Giovanni Benzoni: Essenziale e vincolante per creare quella certezza di sicurezza che è sempre stato il pretesto per la corsa al riarmo.
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Gaetano Farinelli: Il disarmo è un passaggio importante nella lotta contro l’uso della forza.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e diritto alla salute e all'assistenza?
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Osvaldo Caffianchi: Essendo la nonviolenza un prendersi cura delle altre persone essa non solo lotta per quei diritti, ma li invera nel suo stesso darsi.
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Agostino Letardi: Francamente non saprei.
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Giovanni Benzoni: È il principio interno che vale, e cioè la connessione con le tematiche della cura e della tenerezza.
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Gaetano Farinelli: Diritto alla salute ed all’assistenza: perché parlare sempre di diritto alla salute, all’assistenza? Perché non trasformarlo in una forma di dovere, inteso come responsabilità alla salute, responsabilità all’assistenza come forma nuova di relazione; in cui la relazione diviene più importante del consumo di salute e di assistenza? Il diritto all’assistenza ha introdotto le badanti, forma anonima di assistenza; e il diritto alla salute ha portato alla esasperazione delle cure, che non tengono conto della relazione del paziente con il mondo degli uomini.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e psicoterapie?
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Osvaldo Caffianchi: La nonviolenza è terapeutica. E proprio nell'ambito dell'assistenza al sofferente psichico in Italia si è data una delle esperienze fondamentali della nonviolenza in cammino: il movimento della psichiatria democratica e la lotta contro le istituzioni totali guidata da Franco Basaglia.
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Agostino Letardi: Non mi intendo minimamente di psicoterapie...
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Giovanni Benzoni: Conosco troppo poco per rispondere, anche se teoricamente c’è una convergenza nella consapevolezza e nella cura.
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Valter Toni: Dei percorsi terapeutici che iniziano con "psico" nutro grande fiducia ma anche timore. Le scuole di pensiero sono fin troppo diversificate, spesso in conflitto. Ho conosciuto operatori in questo campo che lavorano abilmente per far uscire nelle persone la parte migliore, quella che cerca di liberarsi dell'umanità egoico-bellica, direbbe Marco Guzzi, che contraddistingue l'essere umano da sempre. Le terapie psicologiche possono dare un grande contributo in questo passaggio epocale di definizione di una nuova umanita', ma purtroppo non tutti gli operatori sono preparati a questo. Non tutti sono in grado di cogliere l'essenza di una umanità che va oltre il sensibile e sconfina nella spiritualita'.
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Gaetano Farinelli: Non conosco il processo che innesta la psicoterapia; se innesta un processo di autostima astratto, che comporta una aggressività astratta, che tende in assoluto a rompere le barriere e la relazione con l’altro, questo sarebbe in contrasto con una nonviolenza attiva, che coltivi la relazione. Se invece l’aggressività della persona porta al confronto continuo con il mondo degli uomini e delle cose, allora credo che possa trovare nella nonviolenza un buon margine. Così procedendo, pare che la nonviolenza sia un parametro imprescindibile.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e informazione?
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Osvaldo Caffianchi: Essendo la nonviolenza "forza della verita'" (che è la traduzione del termine gandhiano "satyagraha"), essa richiede anche un particolare impegno conoscitivo, di studio, di informazione, di documentazione, di coscientizzazione, di messa a disposizione di tutti degli strumenti per sapere, per interpretare, per valutare. Una corretta informazione, interpretazione e valutazione dei fatti e del contesto è "conditio sine qua non" dell'azione nonviolenta.
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Agostino Letardi: Anche qui, non mi intendo in particolare della questione...
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Giovanni Benzoni: La totale assenza di rapporto con l'informazione dominante oggi è sotto gli occhi di tutti; se invece informazione è innanzitutto esattezza e approssimazione alla verita', uso corretto delle fonti, rispetto, ecc., allora il rapporto tra informazione (veritiera e adeguata) e nonviolenza è palese.
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Valter Toni: L'informazione è un elemento fondamentale della comunicazione. La comunicazione è il nucleo della relazione. Senza relazione la nonviolenza muore.
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Gaetano Farinelli: Anche qui: quale informazione? C’è una informazione che sembra una serie di puntate che vuole scoprire il nemico o che vuole mettere in iscacco il nemico ed illude il lettore sulle possibilità di vittoria. L'informazione diventa così una specie di giallo a puntate. C’è una informazione che racconta i fatti e cerca di attenersi ai fatti, alle parole, ai pensieri, alle persone. Li mostra, con attenzione al lettore perché capisca e non perché dia consenso. La nonviolenza sa infatti pentirsi, chiedere perdono, riflettere sugli errori per non farli, senza attenzione al consenso.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione filosofica?
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Agostino Letardi: Riguardo alle domande circa l'apporto della nonviolenza alla riflessione nei vari campi del sapere (filosofia, religioni, educazione, economia, diritto, etica e bioetica, scienza e tecnologia, storia e storiografia...) mi mettono in crisi, perché rispondervi in modo semplice e sintetico è difficile, e ci vorrebbe molto tempo per discutere della cosa. Forse anche proprio perché il mio approccio alla nonviolenza è molto istintivo e poco teorico...
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Giovanni Benzoni: Dovrebbe rompere l’aplomb di certo modo di filosofare, e offrire terreno fertile alla interrogazione filosofica.
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Gaetano Farinelli: La nonviolenza non nasce da una riflessione attiva sulle relazioni umane, sul perché del vivere, e sulla assurdità del morire? non nasce dal rapporto degli umani e degli umani con il mondo e con la vita e con la morte? C'è nella domanda di fondo della nonviolenza un lato di trascendenza che ha fondamento nella relazione, da cui nasce la persona. La persona è un valore che nasce da un primo elementare rapporto tra due individui che si riconoscono. E dunque la nonviolenza è anche amore per la sapienza, che è comprensione dell’altro, e accoglienza.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione delle e sulle religioni?
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Giovanni Benzoni: Ovviamente una pedagogia nonviolenta per stadi progressivi favorendo all’interno di ogni grande religione il prevalere delle sensibilità e pratiche non fondamentaliste. La tradizione ecumenica da questo punto di vista potrebbe ritrovare vigore a fecondo contatto con le problematiche evidenziate dalla pratica e dalla riflessione nonviolenta.
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Gaetano Farinelli: La religione, le religioni sono uno strumento di mediazione con il trascendente; non sono il fine dell’uomo; la loro finalità è dunque la relazione e anche la relazione con la divinità è relazione alla pari, pur nel riconoscimento dei propri limiti, che non impedisce la formulazione di interrogativi e di perché esistenziali.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sull'educazione?
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Giovanni Benzoni: Una vasta gamma di consapevolezza e di attenzioni.
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Valter Toni: Su questo tema mi sento di spendere due parole, se non altro perché sono stato coautore insieme ad Andrea Canevaro, Silvia Sanchini e Patrizia Casadei di un cd-rom edito da Erickson dal titolo: "Lo scontro è l'occasione per fare pace".
Sfida educativa, addirittura emergenza educativa... tutti ne parlano, ma perche'? Come mai ci troviamo a scuola, in famiglia, in chiesa, nel lavoro, a dover raccogliere cocci di continui conflitti, spesso banali, ma di cui non veniamo più a capo? Ci saranno dei percorsi utili per uscire da questo stato delle cose che genera mal-essere, mal-educazione, mala-vita. Tutto sembra destinato al male. No, io non credo. Partendo dal piccolo, dal quotidiano che va educato in tutti gli ambiti, a cominciare dalla scuola dell'obbligo, per capire che anche un conflitto può essere risorsa, occasione per fare pace, se a guidare lo stile comunicativo relazionale è la nonviolenza. A questo io ci credo proprio. Ma sono indispensabili percorsi costruiti con pazienza per aiutare soprattutto i più giovani a dare un senso all'alterita', alla diversita', non confinandola negli spazi di una salutare "sopportazione", ma facendola percepire come valore altissimo di crescita. Come direbbe Tonino Bello, non cultura dell'indifferenza, e neppure cultura delle differenze, ma convivialità delle differenze. Sono sicuro che il terreno nei bambini e nei ragazzi è ancora fertile, l'ho visto con i miei occhi. Chiaro è che la famiglia gioca un ruolo fondamentale. Ma la sua assenza non deve diventare una scusante per la scuola a non impegnarsi a educare alla nonviolenza, al diritto, al senso civico.
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Gaetano Farinelli: Un atteggiamento diverso rispetto alla vita sociale, alla funzione critica della educazione che non può essere succube della economia, del potere e della religione intesa come sottomissione rassegnata; l’educazione infatti non è funzionale al lavoro, ma interessata al bene comune.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sull'economia?
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Giovanni Benzoni: Dovrebbe offrire efficaci argomenti per smascherare la radice di violenza che si annida nella legge-motore dell'economia dominante che è il profitto.
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Gaetano Farinelli: Che l’economia è in funzione dell’uomo, che la finanza è uno strumento e non il metro di misura dell'economia, che l’economia del profitto è violenta ed è contro la libertà esistenziale, anche se pretende di difendere a spada tratta la libertà di tutti, mentre garantisce la libertà del potente e del ricco.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sul diritto e le leggi?
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Giovanni Benzoni: Il diritto di per sè è contenimento e regolamentazione degli istinti individuali e collettivi "non umani", però anche espressione di una parte - quella dominante - degli esseri umani, mentre la nonviolenza dovrebbe ridurre le forme e le modalità del dominio, in particolare quando questo tende ad assumere la modalità della oggettivita', della pretesa naturalita'.
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Gaetano Farinelli: Fa distinzione tra giusto ed ingiusto, tra giustizia e legalita', trova la misura della giustizia nel rispetto degli ultimi, dei più deboli, e non nel rispetto dell’ordine formale, e non nella difesa della proprieta', e non nella difesa della religione, che sono pure questi beni funzionali all’uomo, alla relazione tra gli uomini e alla relazione con Dio.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sull'etica e sulla bioetica?
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Giovanni Benzoni: Ne dovrebbe sconvolgere le fondamenta e i presupposti, perché tesa a sviluppare le potenzialità della natura secondo ciò che pare consentito dalla vita nelle forme che riteniamo di conoscere e secondo il principio prudenziale della reversibilità delle scelte.
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Gaetano Farinelli: La nonviolenza con il suo bagaglio di indicazioni relazionali, di rispetto della persona e della vita di relazione conferma una morale non individuale e rafforza il rapporto con la vita come rapporto con l’essere vivente, non considera la vita come un prodotto di consumo, ma lo spazio vivo della relazione con il mondo e con gli uomini.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sulla scienza e la tecnologia?
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Giovanni Benzoni: Rendere ragione della presunta oggettività della tecnologia, e rendere più consapevoli sulle interne e sottili sollecitazioni all’uso della scienza e della tecnologia per volontà di dominio e di potenza.
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Gaetano Farinelli: Che il percorso della conoscenza è funzionale all’uomo orizzontale, a tutti gli uomini e non al potere sugli uomini; che le scoperte non sono il prestigio di uno, ma la festa di tutti; che la scienza ha un limite nelle proposte di distruzione e la tecnologia nel suo sostituirsi all’uomo e porsi contro l’uomo.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione storica e alla pratica storiografica?
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Giovanni Benzoni: L'attenzione ai diritti di tutti e l’ottica con cui fare ricerca storica.
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Gaetano Farinelli: La nonviolenza è al servizio della verita', non è per una verità contro qualcuno, ma una verità che libera gli uomini nelle scelte di vita. Riconoscere il bene ed il male degli uomini aiuta a procedere con occhi aperti e con passo sicuro. Chi nasconde le violenze della guerra, commette una seconda violenza, e ne prepara altre ancora.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Tra le tecniche deliberative nonviolente ha una grande importanza il metodo del consenso: come lo caratterizzerebbe?
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Osvaldo Caffianchi: Il "metodo del consenso" è la principale tecnica deliberativa nonviolenta, la cui caratteristica fondamentale è che si prendono solo le decisioni su cui si raggiunge l'unanimità dopo aver permesso a tutti i partecipanti di esprimersi compiutamente e dopo aver discusso costruttivamente tutte le proposte. Vi sono varie modalità attraverso cui utilizzare il metodo del consenso, modalità che consentono di adottare questo metodo anche in situazioni complesse e con una partecipazione al processo decisionale molto numerosa.
È un metodo che offre alcuni grandi vantaggi: il primo è che tutte le persone partecipanti al processo deliberativo sono responsabilizzate, sanno che il loro parere conta e che il loro voto - il voto di ciascuna persona - è decisivo, infatti ogni persona ha potere di veto su qualunque decisione. Disponendo di un così grande potere ogni persona si sente responsabile di usarne saggiamente. Il secondo è che ogni persona deve impegnarsi sia ad esprimersi, sia soprattutto ad ascoltare le proposte di tutte le altre persone che partecipano al processo decisionale. Il terzo è che il metodo abitua a guardare all'essenziale e a raggiungere accordi non sulla base di rinunce ma sulla base dell'inclusione dei diversi punti di vista in sintesi più elaborate, più ricche, più profonde. Il quarto è che la sperimentazione del metodo del consenso rivela quanto facile sia costruire il consenso se solo se ne ha la pazienza e la disposizione dialogica adeguata.
Nella mia personale esperienza tutte le volte che se ne è fatto uso ha dato risultati molto positivi: non solo per la qualità delle decisioni, ma soprattutto per il miglioramento della qualità delle comunicazioni e delle relazioni tra i partecipanti durante il processo decisionale. Quando poi accade che non si riesca a prendere una decisione, ciò non va vissuto come scacco, ma come utile stimolo a riprendere la riflessione e la discussione da altri punti di vista e con un di più di creativita'.
Beninteso: il metodo del consenso non è garanzia assoluta di ottimalità delle singole concrete decisioni con esso prese; si può ottenere l'unanimità su una proposta che poi all'atto pratico si rivela sbagliata. Ma è certo che avendo ogni partecipante al processo decisionale il potere di bloccare ogni decisione, questa è una garanzia maggiore che non quella offerta dal semplice procedere a maggioranza.
Peraltro una delle implicazioni del metodo del consenso è che tutte le decisioni possano essere nuovamente poste in discussione, quindi tutte devono avere il carattere della reversibilita', ovvero della non distruttivita'.
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Agostino Letardi: È la ricerca strategica del miglior risultato per tutti non intesi nel complesso ma nelle singole parti (non quindi la ricerca del bene comune ma del miglior benessere per tutti).
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Giovanni Benzoni: Il consenso è significativo se è il risultato della persuasione di sè e dell’altro. In una società complessa come la nostra è da ripensare l’articolazione completa tra norme, leggi, regole, consuetudini, e di conseguenza le istanze in cui le decisioni vengono assunte. C’è la necessità di una "capacità semplificatrice" dove poi i no e i sì a tutti i livelli siano chiari agli occhi di chi sceglie. In tale prospettiva sempre più ridotte ma sempre certe devono essere le sanzioni che probabilmente la pratica della scelte condivise non riesce a rendere completamente superflue.
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Gaetano Farinelli: Non è certo il consenso indotto attraverso le tecniche pubblicitarie che nascondono la realtà e propongono una visione interessata delle cose; ma il consenso che si ottiene attraverso la ragione ed il sentimento, il sentire di se stessi e degli altri. Un consenso che nasce nel dialogo orizzontale e non con tecniche occulte o gerarchiche, o con tecniche di paura.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Tra le tecniche operative della nonviolenza nella gestione e risoluzione dei conflitti quali ritiene più' importanti, e perché'?
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Osvaldo Caffianchi: La prima e fondamentale tecnica operativa della nonviolenza è l'esempio. La cosa giusta da fare, falla tu per primo.
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Agostino Letardi: Credo che esercitare una particolare capacità di ascolto sia cruciale per la gestione dei conflitti.
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Giovanni Benzoni: Non sono uno specialista e credo che la prassi ci consenta quell’accumulo di tecniche che per ora è limitato e circoscritto a pochi casi. Penso allo straordinario processo di Verità e riconciliazione in Sud Africa, penso alle tante pratiche alternative alla reclusione cui fa riferimento Gherardo Colombo nel suo saggio Sulle regole (Feltrinelli, MIlano 2007).
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Gaetano Farinelli: Le azioni che mirano a scoprire le minoranze, le diversita', non per eliminarle con la forza, non per omologarle, non per sopprimerle, ma per fare in modo che diventino le risorse per una nuova societa'; azioni che vanno alla fonte dei conflitti, non per esasperare i torti, ma per superare la competizione e la rivalita'.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Come caratterizzerebbe la formazione alla nonviolenza?
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Osvaldo Caffianchi: Come un'esperienza complessa della complessita'.
Come una ricerca interiore che si esprime attraverso il dialogo, e quel primo necessario passo del dialogo che è la tua disposizione all'ascolto dell'altro.
Come una piena coscienza dell'intersoggettivita', ovvero dell'esistenza degli altri per i quali altri anche tu sei un altro, ed ai quali altri quindi devi riconoscere la stessa dignità e gli stessi diritti il cui riconoscimento tu rivendichi da parte loro nei tuoi confronti in quanto tu medesimo altro per loro.
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Agostino Letardi: Formazione ed addestramento avvengono in modo esperienziale con una comunità di confronto e magari dei bravi trainer.
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Giovanni Benzoni: Servono comunque corsi e discipline anche se manca oggi un contesto culturale favorevole per cui va sviluppata l’arte dell’essere minoranza consapevole evitando per quanto è possibile il proliferare di persone "fissate", per cui sono persuaso che serve ogni fatto aperto ad una azione rigeneratrice generale.
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Gaetano Farinelli: È una formazione che pone al centro la persona, la persona che nasce nella relazione e non nella perfezione della legge e delle norme.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Come caratterizzerebbe l'addestramento all'azione nonviolenta?
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Osvaldo Caffianchi: Poichè la nonviolenza è - in sostanza - la lotta contro la violenza, essa si realizza nell'azione nonviolenta che si oppone alla violenza, ovvero che costruisce solidarieta'. L'elemento maggiormente caratterizzante - e il luogo critico e cruciale di manifestazione - della nonviolenza è l'azione diretta nonviolenta.
L'azione diretta nonviolenta (che sia uno sciopero, uno sciopero alla rovescia, un sit-in, un digiuno, o una qualunque delle pressochè innumerevoli forme in cui concretamente l'azione di lotta nonviolenta si da') richiede una rigorosa preparazione sotto molti profili. Essendo ad un tempo conflitto e comunicazione, affermando la coerenza tra i mezzi e i fini, cercando di promuovere costantemente la comprensione e il negoziato con le controparti, impegnandosi a non esercitare violenza contro l'integrità fisica e morale di ogni essere vivente convolto, la nonviolenza è esigente: coloro che la scelgono sanno che una campagna o un'azione diretta nonviolenta richiede un impegno scrupoloso, un grande esercizio di concentrazione, di responsabilita', di benevolenza. Per questo è necessario non solo "discuterne" prima, durante e dopo l'azione; ma "addestrarsi" ad essa.
Mi è capitato di organizzare e guidare azioni dirette nonviolente: non ho mai permesso che vi partecipassero persone che non si fossero prima preparate per quanto possibile; ed in particolare ho sempre posto come prerequisiti che tutti i partecipanti sapessero tutte le possibili conseguenze dell'azione su ogni piano; che tutti si vincolassero al rispetto assoluto delle regole di condotta nonviolente condivise; che tutti sapessero che la prima azione inappropriata di uno solo dei partecipanti all'azione diretta nonviolenta implicava la cessazione immediata e quindi la sconfitta dell'azione. Con questi criteri abbiamo condotto azioni dirette nonviolente con risultati positivi sia sul piano dell'esito del conflitto, sia sul piano della crescita morale dei partecipanti.
Vi sono molte modalità di addestramento all'azione diretta nonviolenta, ed alcuni libri assai utili. Tra i più noti segnalo Le tecniche della nonviolenza, di Aldo Capitini; Politica dell'azione nonviolenta, di Gene Sharp; Addestramento alla nonviolenza, di Alberto L'Abate. Utilissimo anche Teoria e pratica della nonviolenza, la fondamentale antologia gandhiana curata da Giuliano Pontara con un'introduzione e un indice che sono essi stessi strumenti di lavoro eccellenti.
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Giovanni Benzoni: Mi fa un pò specie questo linguaggio paramilitare e mi va solo se c’è la consapevolezza di una riappropriazione del linguaggio. E poi, forse in controtendenza a quel poco oggi in uso, non mi convincono quelle metodologie che in nome di una pratica nonviolenta fanno fare a tutte le età le stesse cose. Imparare e praticare la nonviolenza non è come imparare i tempi e i passi di un ballo.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali mezzi d'informazione e quali esperienze editoriali le sembra che più' adeguatamente contribuiscano a far conoscere o a promuovere la nonviolenza?
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Osvaldo Caffianchi: Vorrei dire questo foglio, ma temo che non sia elegante.
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Agostino Letardi: Credo che la nonviolenza si apprenda principalmente in modo operativo...
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Giovanni Benzoni: È più facile ricordare quelle che ci sono state che quelle attuali: siamo fondamentalmente carenti di iniziative di largo respiro, e quelle più promettenti sono finite o versano in non facili acque: penso alle ottime Edizioni cultura della pace di Ernesto Balducci da un lato, ed alle Edizioni Gruppo Abele dall’altro. Inoltre non sappiamo nemmeno valorizzare quello che c’e': che fine hanno fatto le riflessioni sul servizio civile?
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali esperienze in ambito scolastico ed universitario le sembra che più' adeguatamente contribuiscano a far conoscere o a promuovere la nonviolenza?
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Agostino Letardi: Sinceramente non ne conosco in modo sufficientemente approfondito.
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Giovanni Benzoni: Premesso che siamo in fase calante rispetto agli anno Ottanta dello scorso secolo. E premesso che molti dei corsi, delle lauree e dei master ideati qua e là per rispondere alla domanda di competenze in ordine alla pace, alle relazioni internazionali frutto del pensiero nonviolento, non sono stati indenni dai tarli tipici dell’università italiana (innanzitutto la sistemazione di sè e dei propri amici e parenti e poi autoreferenzialità a gogo'), questi ora soffrono della stagione dei corsi e master facili e hanno meno vigore di quelli dedicati alla moda. Io sono persuaso che è la tematica della pace - entro la quale la nonviolenza è una delle prospettive - che deve guadagnare a sè tutte le altre posizioni, ma che oggi sia troppo soggetta alle mode e ben poco centrale: mentre è l’unica cosa concreta per cui valga la pena investire allo spasimo energie e risorse.
Paolo Arena e Marco Graziotti: I movimenti nonviolenti presenti in Italia danno sovente un'impressione di marginalità', ininfluenza, inadeguatezza; è cosi'? E perché' accade? E come potrebbero migliorare la qualità', la percezione e l'efficacia della loro azione?
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Agostino Letardi: Non credo, non ho la stessa impressione. Mi pare che lavorino al di fuori di canali di diffusione di massa che comunque tendono attualmente ad alterare e distorcere molti messaggi, dunque non mi dispiace che tali movimenti non si avvalgano di questi canali di diffusione.
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Giovanni Benzoni: Innanzi tutto con una maggior passione per la realtà e minor affezione alla purezza, che quasi sempre è una ideologica armatura per occultare la propria debolezza. Siamo pochi e mancano i giovani: di qui è necessario ripartire spendendo al meglio con generosità ed indulgenza quanto ci resta.
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Gaetano Farinelli: Cosa dire? Forse perché restano prevalenti nella nostra cultura il potere come dominio che elimina gli avversari e mantiene i cittadini sotto il dominio dei forti, sudditi fedeli ed obbedienti; legati al potere da interessi e non da una tensione verso il bene comune.
Paolo Arena e Marco Graziotti: I movimenti nonviolenti dovrebbero dotarsi di migliori forme di coordinamento? E se si', come?
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Agostino Letardi: Sinceramente non conosco l'argomento in modo sufficientemente approfondito.
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Giovanni Benzoni: Confronto, discussione, condivisione di campagne e poi capacità dialogica; il disprezzo e la pretesa autosufficienza che hanno caratterizzato le fasi alte del movimento per la pace sono lussi che nessuno che abbia ancora le rotelle funzionanti si può permettere.
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Gloria Gazzeri: I movimenti nonviolenti sono in fase di stanca, devono ripartire dalla base, secondo noi ristudiare Tolstoj, e indicare programmi anche per la vita privata quotidiana.
Paolo Arena e Marco Graziotti: I movimenti nonviolenti dovrebbero dotarsi di ulteriori strumenti di comunicazione? E con quali caratteristiche?
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Osvaldo Caffianchi: Qualche anno fa mi sembrava giunto il momento per un quotidiano che fosse voce della nonviolenza diffuso anche in edicola, che avrebbe potuto avere un ruolo coagulante e trainante, ma una serie di circostanze (alcune private, altre pubbliche: in primis la catastrofe del movimento pacifista italiano, e la prostituzione alla guerra di tanta parte del panorama politico e culturale di questo paese - prostituzione che tuttora perdura) indussero a rinunciare al progetto (che avrebbe richiesto nella fase di avvio uno sforzo considerevole). Nel frattempo vari quotidiani sono nati (e defunti), ma nessuno che abbia come sua proposta la nonviolenza: ed è la voce che manca, e che sarebbe più necessaria, nel panorama giornalistico italiano (tutto il resto - tutto - è omologato alla cultura dominante della violenza).
Tuttavia a mio avviso ci sarebbero ancora oggi - ovvero oggi di nuovo - le condizioni per organizzare una "filiera corta" multimediale di informazione nonviolenta quotidiana (un sito che sia anche giornale radio e telegiornale web, un notiziario quotidiano diffuso per posta elettronica in formato ultraleggero, un giornale in edicola e periodicamente in supplemento ad esso vari volumi - di classici della nonviolenza, ma anche di testimonianza, inchiesta, formazione, dibattito - e dvd parimenti in edicola oltre che diffusi per abbonamento e via web) e ci sarebbe altresì lo spazio cosiddetto di mercato per un'impresa editoriale così concepita e organizzata.
L'esperienza decennale del notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza è in cammino" dimostra che vi sono le possibilita', gli spazi e le competenze per fare un lavoro di buona qualità con risorse scarse e scelte di sobrietà e di giustizia (e raggiungendo anche un bacino d'utenza di molto superiore a quello raggiunto da molti quotidiani cartacei che pure godono di molte agevolazioni).
Ebbene, con un uso ragionevole delle tecnologie disponibili, e promuovendo una forma di finanziamento basata sull'azionariato popolare, si potrebbe realizzare uno strumento d'informazione della nonviolenza organizzata di effettivo impatto e di cospicua qualita'. Con una redazione diffusa e fortemente partecipata, con molti corrispondenti, con editorialisti di eccellente livello, con una redazione centrale capace di un lavoro di verifica della veridicita', precisione e correttezza dei contenuti e di un editing adeguato dei testi e degli altri materiali multimediali. E con un'amministrazione intelligente non sarebbe difficile trovare il sostegno anche di qualche editore illuminato.
Forse varrebbe la pena di pensarci sopra.
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Agostino Letardi: Trovo che una efficace comunicazione nonviolenta debba essere sufficientemente "diretta", quindi gli strumenti che a mio avviso funzionano meglio sono proprio le mailing list.
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Giovanni Benzoni: A me basterebbe che ognuno di noi imparasse da Beppe Grillo e da Peppe Sini; sono due usi efficaci e puntali delle potenzialità offerte dall’informatica e realizzati in misura delle proprie risorse. Lo stesso fa nel Veneto Amedeo Tosi con "Grillonews". Per non parlare di cosa è riuscito a fare Alessandro Marescotti da Taranto con "Peacelink": con risorse sempre al limite della sopravvivenza ha reso e rende un servizio di grande qualita'. Sono fatti che inducono a ben sperare.
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Valter Toni: Lavoro nella comunicazione, ma rispetto a questa domanda casco dal pero. Certo è che la comunicazione è tale se gli attori giocano alla pari. Il dialogo è fatto di ascolto, come dice un detto irlandese: non abbiamo a caso due orecchie e una bocca, significa che dobbiamo ascoltare il doppio. E invece oggi tutti vorrebbero comunicare, ma in maniera unidirezionale. Ma questa non è comunicazione.
Pertanto le caratteristiche degli strumenti non potranno che essere "apertamente" e dichiaratamente accoglienti e ascoltanti, anche di ciò che non si vorrebbe sentire, con un atteggiamento e una predisposizione al cambiamento, col pensiero costante: e se avesse ragione l'altro? al punto di dire: e se avesse ragione il "violento"? Perché non si tratta di mettere sul banco dell'imputato la "ragione" ma l'azione che ne consegue.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e movimenti sociali: quali rapporti?
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Agostino Letardi: Rispetto ai vari ambiti sociali, civili e culturali (ad esempio: movimenti sociali, istituzioni, cultura, forze politiche, organizzazioni sindacali, agenzie della socializzazione, pratiche artistiche) credo chiaramente che la nonviolenza sia applicabile in ogni contesto sociale, sebbene in alcuni (quali ad esempio le ultime due citate) trova più facilmente spazio per un ambiente più pronto a dinamiche "diverse" dal contesto culturale-ideologico prevalente nel mondo occidentale.
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Giovanni Benzoni: Rispetto alle domande su movimenti sociali, istituzioni, cultura, forze politiche, organizzazioni sindacali, agenzie della socializzazione e pratiche artistiche rispondo tentando di controllare il mio imbarazzo per la sproporzione che percepisco tra la domanda e le possibili risposte, ed mi limito ad un semplice esercizio metodologico, dal momento che ogni altra possibile risposta presuppone una reale argomentazione fondata su non pochi elementi di conoscenza ed esperienza. Un tempo, per esempio per quanti militavano nel Pci non limitandosi ad una adesione personale e gregaria, c’era chi teorizzava l’entrismo come modalità più o meno nobile e consapevole per cambiare dall’interno una realtà riconosciuta come prossima da un lato, ma anche come lontana dal proprio disegno, in questo caso politico. Ecco, cambiando i termini e quindi parlando dei "rapporti tra nonviolenza e ..." (e qui vanno aggiunti i termini secondi delle sette domande, ma potrebbero essere settanta volte sette) sono persuaso in una forma puntuale di entrismo con valenza biunivoca: sei nonviolento e sei capace di pratiche artistiche? allora mostra a te stesso (e agli altri) che sai fare, che sia di guadagno sia per l’arte che per la nonviolenza!
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e cultura: quali rapporti?
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Valter Toni: Se non intravvedessimo nei cambiamenti e nelle crisi del mondo degli spiragli di speranza saremmo fregati. La cultura ci aiuta ad avere chiavi di lettura che vanno oltre il "sensibile" e ci permettono di sperare in un mondo migliore e perciò nonviolento. Siamo da pochi decenni entrati in una fase epocale di cui nessuno di noi in questo secolo avrà la possibilità di vedere i risultati. Come dal neolitico è nato un uomo nuovo, così dovrà accadere da questo travaglio che passa attraverso molte crisi profonde che potranno essere superate solo da una rivoluzione "umana" su tre livelli: culturale, psicologico e spirituale.
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Gaetano Farinelli: La parola cultura può indicare le opere varie dell’uomo, dell’arte, della letteratura, della comunicazione, ma cultura è anche la tradizione, il modo con cui si instaurano i rapporti, le relazioni, personali, sociali, politiche; per questo la nonviolenza, come percezione dell’altro, come attinenza alla verita', è sempre lì presente, indicante ed indicata, proponente e proposta o tradotta nelle relazioni e nelle decisioni.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e forze politiche: quali rapporti?
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Valter Toni: L'indecenza dello spettacolo a cui assistiamo non merita commenti.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e pratiche artistiche: quali rapporti?
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Valter Toni: Il solo rischio è quello che l'arte diventi "autistica" e parli solo agli addetti ai lavori
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e amicizia: quale relazione? E come concretamente nella sua esperienza essa si è data?
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Agostino Letardi: Senza che ciò sia stato minimamente perseguito con questo scopo, la formazione alla pratica nonviolenta nei rapporti interpersonali mi ha permesso di vivere in modo particolarmente soddisfacente i rapporti di amicizia con la maggior parte delle persone con le quali ho allacciato questo tipo di rapporto.
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Giovanni Benzoni: Dò una risposta specifica perché ho una informazione in parte strumentale da dare nell’invitare quanti possono a conoscere la straordinaria figura di un monaco camaldolese che quest’anno a dieci anni dalla sua morte viene ricordato con un convegno che avrà luogo dal 29 ottobre al primo novembre a Camaldoli (in provincia di Arezzo) con il titolo: ”Storie umane, storia di Dio”. Lo segnalo perché Benedetto Calati ha avuto parole illuminanti sull'amicizia parlandome come dell’ottavo sacramento (per informazioni: www.camaldoli.it).
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Gaetano Farinelli: L’amicizia richiede trasparenza e forza. Verità su se stessi e autonomia affettiva, senza la quale l’amicizia diventa ricatto. Richiede fedelta', ma non spegne la propria tensione e la ricerca della propria felicita'.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e percezione dell'unità dell'umanità': quale relazione e quali implicazioni?
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Agostino Letardi: Credo che rischierei di ripetere cose già dette...
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e politica: quale relazione?
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Osvaldo Caffianchi: Nulla è fuori della politica.
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Giovanni Benzoni: Anche per questo gruppo di domande (relazione tra nonviolenza e politica, vita quotidiana, cura del territorio) rispondo dicendo che il secondo termine non solo va descritto in relazione al modo concreto della nonviolenza, ma anche, perché la risposta abbia un minimo di interesse, va reso significativo per chi legge oltre che per chi parla. Mi spiego: se volessi potrei rispondervi descrivendovi come da pensionato felicemente in questo momento nel Casentino siano le mie giornate e quale sia la relazione con le mie aspirazioni di nonviolento. Vi potrei raccontare della Coop di Bibbiena, che malgrado sia niente di più e niente di meno di un ordinato e piacevole centro commerciale, ha come “koppe” (questo è il modo di chiamarla dei casentinesi) una valenza straordinaria, quotidiana per le caratteristiche dei suoi frequentatori; e potrei ricordarvi di come io abbia lì preso una multa per aver occupato in un parcheggio pressochè deserto uno dei venti posti riservati ai portatori di handicap (perché avevo tra l’altro in quel momento qualche fastidio nel camminare), senza avere ragione, anche se lo stesso giudice di pace mi ha detto “lei ha ragione, però non possiamo farci nulla“: anche questa è vita quotidiana che consente qualche considerazione pure in ordine alla relazione con la nonviolenza, ma è chiaro che voi gentili e cortesi intervistatori vi aspettate altro.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e vita quotidiana: quale relazione?
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Osvaldo Caffianchi: La concreta esperienza umana si dà solo nel qui ed ora del ciclo dei giorni e delle notti, nella vita quotidiana. Non ve ne è altra.
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Valter Toni: Vita quotidiana, territorio, persone con cui si vive sono tre punti di partenza fondamentali. Non ci sarà alcun cambiamento, alcun superamento di crisi, se non parta dalla base, dal locale, da ognuno di noi. Dall'alto, oramai lo abbiamo capito, si hanno oggi solo visioni "macro" troppo lontane che non si curano della violenza generata. La nonviolenza non può che partire da queste basi, quotidiane e territoriali, attraverso le persone con cui si vive.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e cura del territorio in cui si vive: quale relazione?
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Osvaldo Caffianchi: La difesa della biosfera, e quindi anche dei diritti delle generazioni future, comincia dalla cura del luogo in cui vivi.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e cura delle persone con cui si vive: quale relazione?
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Osvaldo Caffianchi: Il primo ambito in cui si esercita e si sperimenta la scelta della nonviolenza è quello delle relazioni con i prossimi più prossimi, con le persone con cui entriamo in diretto contatto, e particolarmente con le persone che hanno immediato bisogno del nostro aiuto. Se non ci si prende cura delle persone con cui si vive, tutto il resto sono chiacchiere di ciarlatani.
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Gaetano Farinelli: I piccoli atti, i piccoli moti, le brevi azioni, i sussulti, le azioni ripetitive, le ossessioni, i rumori, gli sguardi, le delicatezze, la troppa confidenza, gli sgarbi, le dimenticanze, la malattia, i difetti, le attenzioni, le gelosie, tutto questo nel bene e nel male diventa conflitto e motivo di scontro, o di passione. Nella relazione con l’altro che vive accanto l’accoglienza e l’accettazione della sua diversita', senza piegarsi e senza omologare, mantiene viva la relazione; altrimenti è la morte.
Paolo Arena e Marco Graziotti: La nonviolenza dinanzi alla morte: quali riflessioni?
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Giovanni Benzoni: Quella dell’uomo e della donna che sognano di poter morire come i patriarchi dell’antico Israele.
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Valter Toni: Ha detto De Andre': "non è la morte a preoccuparmi, anche se mi darà la sua buona dose di paura, ma la violenza con cui è procurata a tanti innocenti".
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Gaetano Farinelli: In questi ultimi anni, per posizioni ideologiche e non certo per amore della persone, si è vista una aggressività feroce nei confronti di chi sceglie di morire in pace, chiudendo un ciclo infinito di sofferenza e di abbandono. Il rispetto e l’amore di quella persona e non l’amore in astratto avrebbe potuto affrontare meglio quelle situazioni.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali le maggiori esperienze storiche della nonviolenza?
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Osvaldo Caffianchi: Tra quelle recenti particolarmente significative l'esperienza della "Commissione per la verità e la riconciliazione" in Sudafrica; e quella del referendum brasiliano per l'abolizione del commercio delle armi: occorre riproporre queste iniziative anche in altri paesi, forti anche di quelle esperienze storiche.
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Giovanni Benzoni: Oramai a me pare siamo giunti ad una elencazione quasi da catechismo: per il secolo scorso sono stati studiati un numero sufficiente per poter dire che la nonviolenza si può praticare e con risultati storicamente ragguardevoli, e tuttavia non così numerosi da consentire di uscire dall’ambito della testimonianza e degli esempi: la nonviolenza, come del resto ogni altra forma di pensiero capace di organizzare in modo completo una visione del mondo, o, per dirla in altri termini, “l’ordine di vita dell’uomo”, se e nella misura in cui lo è - visione del mondo - contiene in sè quanto basta non solo per vedere ed operare nel presente, ma per studiare il passato e aprire gli orizzonti del nostro futuro.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quale è lo stato della nonviolenza oggi nel mondo?
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Giovanni Benzoni: on vorrei pensarci e non ci trovo grande gusto; da questo punto di vista servono saggi e studi come quello di Marcello Flores sulla violenza (Tutta la violenza di un secolo, Feltrinelli, Milano 2005).
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Gaetano Farinelli: Da quello che si vede e si sente, le cose non vanno bene. Ma ci sono pure nei territori di guerra delle azioni e dei movimenti che vanno controcorrente e che propongono azioni e metodi in cui accoglienza e conflitto alla pari, che non elimini l’avversario, rimarginano ferite dolorose.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quale è lo stato della nonviolenza oggi in Italia?
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Giovanni Benzoni: Direi che essendoci in Italia oggi una violenza che è quella che c’è nel mondo (mi autocito: cfr. “Siamo in guerra“, in "Adista" n. 62 del 2010) sviluppata con quelle ulteriori aggravanti provocate dalla congiuntura del dominio berlusconiano in santa alleanza con gran parte della gerarchia cattolica, lo stato della nonviolenza è buono in relazione all’immediato (la cacciata di Berlusconi e dei suoi degni compari) e terribilmente inadeguato per concorrere a un reale mutamento nel Paese.
Paolo Arena e Marco Graziotti: È adeguato il rapporto tra movimenti nonviolenti italiani e movimenti di altri paesi? E come migliorarlo?
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Giovanni Benzoni: Non ho elementi per dare uno straccio di risposta.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quale le sembra che sia la percezione diffusa della nonviolenza oggi in Italia?
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Giovanni Benzoni: Siamo ancora al livello di una comunicazione simbolica dove l’insegna del fucile spezzato è il massimo di efficacia grafica raggiunto ed ha tuttavia un sapore troppo ottocentesco.
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Valter Toni: Non sono così inserito in un contesto associativo da avere una percezione interessante. Dico che sono fondamentali per la diffusione della percezione di qualsiasi esperienza positiva, nonviolenta, il maggior numero di iniziative come da noi a Fano la "Scuola di pace" intitolata a Urbani e organizzata dalla Diocesi attraverso la persona di Luciano Benini.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali iniziative intraprendere perché' vi sia da parte dell'opinione pubblica una percezione corretta e una conoscenza adeguata della nonviolenza?
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Giovanni Benzoni: Se lo sapessi le indicherei; ma innanzitutto non perderei le occasioni che ci sono, poche rispetto all patrimonio accumulato: la Perugia-Assisi; le marce per la pace della maggioranza delle diocesi; gli appuntamenti dei Beati i costruttori di pace e di Pax Christi.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e intercultura: quale relazione?
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Giovanni Benzoni: Tento una risposta di sintesi alle domande sulle relazioni della nonviolenza con scienze umane, linguaggio, stili di vita, critica dell'industrialismo, rispetto per i viventi, la biosfera, la "madre terra", compresenza, convivenza, scelte di vita comunitarie, riconoscimento dell'altro, principio responsabilita', scelte di giustizia, misericordia, coscienza del limite.
Rispondo tentando la via della brevità con qualche piccola aggiunta rispetto al già detto. In tutte queste domande la risposta che mi persuade di più è quella della lezione (interna alla relazione o implicazione che si determina in modo biunivoco se si sanno usare adeguatamente gli strumenti di cui si dispone per rispondere a interrogativi veri). Faccio un solo esempio rinviando alla lettura di un testo di Thomas Merton, La pace nell’era postcristiana (Edizioni Qiqajon, Magnano 2005) che è stato pubblicato circa quarant’anni dopo la sua stesura tanto era il potenziale critico innescato da questo monaco cistercense passato da autore apprezzato dalla Cia a serio propugnatore di una ricerca nonviolenta della pace. È esemplare anche per illustrare il termine "lezione" così caro a Franco Rodano.
Aggiungo solo un’altra osservazione: tutto ciò che favorisce un atteggiamento critico, una capacità di "apertura" - per usare una parola cara a Capitini -, è benvenuto e prezioso, purchè non divenga a sua volta motivo di irrigidimento o di pura e acritica costruzione della propria personalità. Si pensi a proposito di stili di vita alla forza delle scelte e delle pratiche vegetariane, ad esempio.
Infine sui limiti: direi che una sana coscienza dei miei limiti non mi avrebbe portato a rispondere a queste settanta domande; al di là dell’ironia sono convinto che la coscienza del limite sia un incentivo reale alla ricerca.
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Gaetano Farinelli: In questi ultimi vent’anni l’Italia e gli italiani si sono trovati ad affrontare il rapporto con altre persone di altre culture, in un rapporto ravvicinato, in cui non possiamo più nascondere le nostre reazioni, ed in cui non possiamo più dire: "siamo tolleranti", senza pagarne il prezzo. La relazione con l’altro implica necessariamente il conflitto, una relazione di confronto, in cui l’accoglienza non è sottomissione; ma dal conflitto e dal confronto non vengono schiacciate le diversita', nostre e degli altri.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e stili di vita: quale relazione?
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Valter Toni: Proprio stamattina mi continuavo a ripetere che la credibilità e la testimonianza ricevono nutrimento dallo stile di vita. Altrimenti siamo solo "quaquaraqua'" che si fanno belli delle parole belle dette o scritte, a cui nessuno, i giovani prima di tutto, daranno ascolto (ed hanno ragione). Diventiamo "farisei" che danno pesi gravi da sopportare... con le sole parole, pur belle, rendiamo schiavi.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e rispetto per i viventi, la biosfera, la "madre terra": quali implicazioni e conseguenze?
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Agostino Letardi: La conoscenza della biosfera ha sofferto storicamente la riduttiva contrapposizione tra "meccanicismo" e "spiritualismo". Senza voler in poche parole entrare in una questione così complessa, per chi si occupa di scienza c'è senpre stata la difficoltà di "barcamenarsi" tra questi due (solo apparenti) poli se non l'"adesione armata" ad uno dei due fronti contrapposti. Anche se gli sviluppi della filosofia della scienza nell'ultimo secolo hanno permesso di mettere fortemente in crisi questa apparente contrapposizione, ciò è ancora lungi dall'essere patrimonio comune del mondo scientifico che ancora per lo più (e soprattutto nella vulgata comune) si contrappone su questi due fronti semplicistici. Nella mia personale formazione di scienziato, l'approccio nonviolento mi è stato molto utile per approcciarmi "con occhi nuovi" a questioni basilari delle scienze biologiche (che rapporto con "l'osservato", come considerare i diritti del vivente e le esigenze dell'essere umano, e tante altre questioni...).
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Valter Toni: Anche alcuni rappresentanti della Chiesa, come il vescovo di Bolzano Golser, si stanno facendo in quattro per aiutarci a capire l'importanza di questo rapporto.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza, compresenza, convivenza, scelte di vita comunitarie: quali implicazioni e conseguenze?
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Valter Toni: Obbedienza.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e coscienza del limite: quali implicazioni e conseguenze?
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Valter Toni: Nel limite, nella incapacità di indeterminazione di esso, si annida la possibilità di una cultura violenta. Porre un limite a ciò che è vita e ciò che non lo è (caso Englaro insegna) può generare mostri ideologici che ci ingoiano tutti. Sono grato a Peppe Sini per le meravigliose parole dello scorso anno rispetto a questi temi.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza come cammino: in quale direzione?
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Giovanni Benzoni: Qella della liberazione e della salvezza.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e internet: quale relazione? e quali possibilità'?
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Osvaldo Caffianchi: Senza internet questa intervista non ci sarebbe, nè il notiziario telematico quotidiano su cui essa appare.
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Giovanni Benzoni: Fondamentale finchè dura, e purtroppo sottoutilizzata: anche perché non sempre la sovrabbondanza di offerta favorisce la capacità di discernere ed utilizzare ciò che serve.
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Valter Toni: La rete, proprio come quella reale dei pescatori, può essere un valido strumento che può salvarci, ma i rischi di rimanerne intrappolati sono forti. Ci sono alienazioni, assenze di relazione che possono coinvolgere anche chi si dedica a cammini di interesse per la nonviolenza. Tolto questo pericolo, le possibilità di aiuto dalla rete sono ancora non immaginabili perché il linguaggio è ancora giovane e immaturo.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Potrebbe presentare la sua stessa persona (dati biografici, esperienze significative, opere e scritti...) a un lettore che non la conoscesse affatto?
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Osvaldo Caffianchi: Vorrei solo aggiungere quanto segue.
Come dicevo sopra, vorrei riproporre ancora una volta una definizione della nonviolenza già più volte apparsa su questo foglio e già citata in questa serie di interviste.
"I. Una premessa terminologica
Scriviamo la parola "nonviolenza" tutta attaccata, come ci ha insegnato Capitini, per distinguerla dalla locuzione "non violenza"; la locuzione "non violenza" significa semplicemente non fare la violenza; la parola "nonviolenza" significa combattere contro la violenza, nel modo più limpido e più intransigente.
Chiamiamo le persone che si accostano alla nonviolenza "amici della nonviolenza" e non "nonviolenti", perché nessuno può dire di essere "nonviolento", siamo tutti impastati di bene e di male, di luci e di ombre, è amica della nonviolenza la persona che rigorosamente opponendosi alla violenza cerca di muovere verso altre più alte contraddizioni, verso altri più umani conflitti, con l'intento di umanizzare l'agire, di riconoscere l'umanità di tutti.
Con la parola "nonviolenza" traduciamo ed unifichiamo due distinti e intrecciati concetti gandhiani: "ahimsa" e "satyagraha". Sono due parole densissime che hanno un campo semantico vastissimo ed implicano una concettualizzazione ricca e preziosa.
Poichè qui stiamo cercando di esprimerci sinteticamente diciamo che ahimsa designa l'opposizione alla violenza, è il contrario della violenza, ovvero la lotta contro la violenza; ma è anche la conquista dell'armonia, il fermo ristare, consistere nel vero e nel giusto; è il non nuocere agli altri (nè con atti nè con omissioni), e quindi innocenza, l'in-nocenza nel senso forte dell'etimo. Ahimsa infatti si compone del prefisso "a" privativo, che nega quanto segue, e il tema "himsa" che potremmo tradurre con "violenza", ma anche con "sforzo", "squilibrio", "frattura", "rottura dell'armonia", "scissura dell'unita'"; in quanto opposizione alla lacerazione di ciò che deve restare unito, l'ahimsa è dunque anche ricomposizione della comunita', riconciliazione.
Satyagraha è termine ancora più denso e complesso: tradotto solitamente con la locuzione "forza della verita'" può esser tradotto altrettanto correttamente in molti altri modi: accostamento all'essere (o all'Essere, se si preferisce), fedeltà al vero e quindi al buono e al giusto, contatto con l'eterno (ovvero con ciò che non muta, che vale sempre), adesione al bene, amore come forza coesiva, ed in altri modi ancora: è bella la definizione della nonviolenza che dà Martin Luther King, che è anche un'eccellente traduzione di satyagraha: "la forza dell'amore"; ed è bella la definizione di Albert Schweitzer: "rispetto per la vita", che è anch'essa un'ottima traduzione di satyagraha. Anche satyagraha è una parola composta: da un primo elemento, "satya", che è a sua volta derivato dalla decisiva parola-radice "sat", e da "agraha". "Agraha" potremmo tradurla contatto, adesione, forza che unisce, armonia che dà saldezza, vicinanza; è la forza nel senso del detto "l'unione fa la forza", è la "forza di attrazione" (cioè l'amore); è ciò che unisce in contrapposizione a ciò che disgrega ed annichilisce. "Satya" viene tradotto per solito con "verita'", ed è traduzione corretta, ma con uguale correttezza si potrebbe tradurre in modi molto diversi, poichè satya è sostantivazione qualificativa desunta da sat, che designa l'essere, il sommo bene, che è quindi anche sommo vero, che è anche (per chi aderisce a fedi religiose) l'Essere, Dio. Come si vede siamo in presenza di un concetto il cui campo di significati è vastissimo.
Con la sola parola nonviolenza traduciamo insieme, e quindi unifichiamo, ahimsa e satyagraha. Ognun vede come si tratti di un concetto di una complessità straordinaria, tutto l'opposto delle interpretazioni banalizzanti e caricaturali correnti sulle bocche e nelle menti di chi presume di tutto sapere solo perché nulla desidera capire.
II. Ma cosa è questa nonviolenza? lotta come umanizzazione
La nonviolenza è lotta come amore, ovvero conflitto, suscitamento e gestione del conflitto, inteso sempre come comunicazione, dialogo, processo di riconoscimento di umanita'. La nonviolenza è lotta o non è nulla; essa vive solo nel suo incessante contrapporsi alla violenza.
Ed insieme è quella specifica, peculiare forma di lotta che vuole non solo vincere, ma con-vincere, vincere insieme (Vinoba coniò il motto, stupendo, "vittoria al mondo"; un motto dei militanti afroamericani dice all'incirca lo stesso: "potere al popolo"); la nonviolenza è quella specifica forma di lotta il cui fine è il riconoscimento di umanità di tutti gli esseri umani: è lotta di liberazione che include tra i soggetti da liberare gli stessi oppressori contro il cui agire si solleva a combattere.
Essa è dunque eminentemente responsabilita': rispondere all'appello dell'altro, del volto muto e sofferente dell'altro. È la responsabilità di ognuno per l'umanità intera e per il mondo.
Ed essendo responsabilità è anche sempre nonmenzogna: amore della verità come amore per l'altra persona la cui dignità di essere senziente e pensante, quindi capace di comprendere, non deve essere violata (e mentire è violare la dignità altrui in ciò che tutti abbiamo di più caro: la nostra capacità di capire).
Non è dunque una ideologia ma un appello, non un dogma ma una prassi.
Ed essendo una prassi, ovvero un agire concreto e processuale, si dà sempre in situazioni e dinamiche dialettiche e contestuali, e giammai in astratto.
Non esiste una nonviolenza meramente teorica, poiché la teoria nonviolenta è sempre e solo la riflessione e l'autocoscienza della nonviolenza come prassi. La nonviolenza o è in cammino, vale da dire lotta nel suo farsi, o semplicemente non e'.
Esistono tante visioni e interpretazioni della nonviolenza quanti sono i movimenti storici e le singole persone che si accostano ad essa e che ad essa accostandosi la fanno vivere, poichè la nonviolenza vive solo nel conflitto e quindi nelle concrete esperienze e riflessioni delle donne e degli uomini in lotta per l'umanità.
III. Tante visioni della nonviolenza quante sono le persone che ad essa si accostano
Ogni persona che alla nonviolenza si accosta dà alla sua tradizione un apporto originale, un contributo creativo, un inveramento nuovo e ulteriore, e così ogni amica e ogni amico della nonviolenza ne dà una interpretazione propria e diversa dalle altre. Lo sapeva bene anche Mohandas Gandhi che definì le sue esperienze come semplici "esperimenti con la verita'", non dogmi, non procedure definite e routinarie, non ricette preconfezionate, ma esperimenti: ricerca ed apertura.
IV. La nonviolenza come insieme di insiemi
Io che scrivo queste righe propendo per proporre questa definizione della nonviolenza così come a me pare di intenderla e praticarla: la nonviolenza è cosa complessa, un insieme di insiemi, aperto e inconcluso.
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È un insieme di concetti e scelte logico-assiologici, ovvero di criteri per l'azione: da questo punto di vista ad esempio la nonviolenza è quell'insieme di scelte morali che potremmo condensare nella formula del "principio responsabilita'" in cui ha un ruolo cruciale la scelta della coerenza tra i mezzi e i fini (secondo la celebre metafora gandhiana: tra i mezzi e i fini vi è lo stesso rapporto che c'è tra il seme e la pianta).
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È un insieme di tecniche interpretative (il riconoscimento dell'altro, ergo il rifiuto del totalitarismo, della cancellazione o della sopraffazione del diverso da se'), deliberative (per prendere le decisioni senza escludere alcuno) ed operative (per l'azione di trasformazione delle relazioni: interpersonali, sociali, politiche); come esempio di tecnica deliberativa nonviolenta potremmo citare il metodo del consenso; come esempio di tecniche operative potremmo citare dallo sciopero a centinaia di altre forme di lotta cui ogni giorno qualcuna se ne aggiunge per la creatività di chi contro la violenza ovunque si batte.
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È un insieme di strategie: e ad esempio una di esse risorse strategiche consiste nell'interpretazione del potere come sempre retto da due pilastri: la forza e il consenso; dal che deriva che si può sempre negare il consenso e cosi', attraverso la noncollaborazione, contrastare anche il potere più forte.
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È un insieme di progettualità (di convivenza, sociali, politiche): significativo ad esempio è il concetto capitiniano di "omnicrazia", ovvero: il potere di tutti. La nonviolenza come potere di tutti, concetto di una ricchezza e complessità straordinarie, dalle decisive conseguenze sul nostro agire.
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Agostino Letardi: Sono nato a Roma nel 1964 e mi sono trovato per motivi familiari (un fratello obiettore di coscienza al servizio militare, fratello e sorella maggiori, e poi anche io, attivi nello scoutismo, in particolare nel settore scoutistico dell'educazione alla pace e alla nonviolenza) a contatto con la nonviolenza. Parallelamente alla formazione nel settore delle scienze naturali (nel quale ho conseguito la laurea), con un interesse particolare per l'entomologia e la comunicazione nel mondo animale, dopo l'esperienza scoutistica ho intrapreso una attività di intervento nel territorio cofondando l'associazione "Tamburi di Pace" e attivandomi in questa associazione sia nelle relazioni con altre strutture associative cittadine, sia nella formazione di una associazione che lavorasse con il metodo del consenso e che fosse ambiente di crescita personale per chi ne è socio. Attualmente svolto lavoro di ricercatore nel settore dell'ecotossicologia ambientale in un ente pubblico di ricerca e collaboro ad associazioni sportive, scientifiche, educative e ricreative.
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Giovanni Benzoni: Credo basti dire tre cose oltre a quelle che ha talora scritto Peppe Sini per presentarmi, sono un pensionato cui ancora non è venuto meno il gusto di vivere e di trovare riscontro anche in cose cui non ho mai pensato: come diventare produttore cinematografico per caso (cfr. www.casaospitalita.it); mi occupo della Fondazione di partecipazione casa dell’ospitalita'.
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Valter Toni: Sono nato a Cesena nel 1963, battezzato col nome Walter, scopro a quindici anni di chiamarmi Valter. Questa è forse la ragione del continuo dialogo interiore fra due persone, una che fatica a credere e l’altra che aspira a diventar santo (e da cui nasce l'ultimo libro: Nella treccia la speranza, edito da Tau Editrice). Dopo la maturità scientifica e un pò di studi musicali mi diplomo nel 1987 presso l’isia di Urbino. Ho fondato nel 1988 insieme a Franz Ramberti lo studio Kaleidon (www.kaleidon.it). Nel 1988 sono docente di Lettering a Roma presso l’Istituto Pantheon, e di Grafica dal 1994 al 1997 presso l’Isia di Faenza. Dal 1997 al 2009 insegno Informatica Design all’Isia di Urbino. Sono stato membro della Apple Developer Association partecipando alla fase di beta-testing di programmi multimediali. Appassionato di calligrafia e Mac ho scritto nel 1998 Vuota il cestino, manuale di computergrafica.
V. Un'insistenza
Insistiamo su questo concetto della nonviolenza come insieme di insiemi, poichè spesso molti equivoci nascono proprio da una visione riduzionista e stereotipata; ad esempio, è certo sempre buona cosa fare uso di tecniche nonviolente anzichè di tecniche violente, ma il mero uso di tecniche nonviolente non basta a qualificare come nonviolenta un'azione o una proposta: anche i nazisti prima della presa del potere fecero uso anche di tecniche nonviolente.
Un insieme di insiemi, complesso ed aperto.
Un agire concreto e sperimentale e non un'ideologia sistematica e astratta.
Un portare ed agire il conflitto come prassi di umanizzazione, di riconoscimento e liberazione dell'umanità di tutti gli esseri umani; come responsabilità verso tutte le creature.
La nonviolenza è in cammino. La nonviolenza è questo cammino. Il cammino vieppiù autocosciente dell'umanità sofferente in lotta per il riconoscimento di tutti i diritti umani a tutti gli esseri umani.
VI. Una grande esperienza e speranza storica
Non patrimonio di pochi, la nonviolenza si è incarnata in grandi esperienze e speranze storiche, due sopra tutte: la Resistenza, e il movimento delle donne; ed è il movimento delle donne, la prassi nonviolenta del movimento delle donne, la decisiva soggettività autocosciente portatrice di speranza e futuro qui e adesso, in un mondo sempre più minacciato dalla catastrofe e dall'annichilimento della civiltà umana".
Note biografiche degli intervistati:
Agostino Letardi: Ricercatore nel settore dell'ecotossicologia ambientale in un ente pubblico di ricerca e collabora ad associazioni sportive, scientifiche, educative e ricreative.
Giovanni Benzoni: Amico della nonviolenza, animatore di innumerevoli rilevanti iniziative, di vasta esperienza amministrativa, giornalistica ed editoriale, suscitatore di impegno civile e promotore di cultura, è responsabile del "progetto Iride" per la Fondazione Venezia per la ricerca sulla pace; è in gran parte merito suo la realizzazione dell'annuale "Salone dell'editoria di pace" a Venezia, e dell'Annuario della pace, pubblicazione che dal 2001 costituisce un prezioso e irrinunciabile strumento di riflessione e di lavoro.
Valter Toni: Ha fondato nel 1988 insieme a Franz Ramberti lo studio Kaleidon (www.kaleidon.it). È docente di Lettering a Roma presso l’Istituto Pantheon, e di Grafica dal 1994 al 1997 presso l’Isia di Faenza. Dal 1997 al 2009 insegna Informatica Design all’Isia di Urbino. È stato membro della Apple Developer Association partecipando alla fase di beta-testing di programmi multimediali. Appassionato di calligrafia e Mac ha scritto nel 1998 Vuota il cestino, manuale di computergrafica.
Gloria Gazzeri: Docente e saggista, è impegnata per la nonviolenza e nel volontariato, è fondatrice ed animatrice del gruppo di ricerca degli "Amici di Tolstoi", costituitosi nel 1990 in Italia per far conoscere la figura e l'opera di Tolstoi nella sua integrità e diffonderne gli ideali di pace e fratellanza. Opere di Gloria Gazzeri: Diventare vegetariani, Manca, Genova; (con Sebastiano Magnano), Il segreto di Igea. Guida pratica al digiuno autogestito, Manca, Genova; insieme ad altri ha curato Nonviolenza 2000, Edizioni Qualevita, Torre dei Nolfi (Aq) 2000; Tolstoi il profeta, Il segno dei Gabrielli, San Pietro in Cariano (Vr) 2000; ha curato varie edizioni e riedizioni di scritti di Tolstoi
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Paolo Arena e Marco Graziotti, dell'Associazione "Viterbo oltre il muro", che opera nell'ambito della formazione alla nonviolenza, hanno proposto singolarmente agli intervistati queste domande.
Come Accademia Apuana della Pace, nel pubblicare queste interviste,abbiamo deciso di raggrupparle , in modo da permetterne, nella lettura, un confronto tra le diverse posizioni.
Fonte: Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo
Altre interviste di Paolo Arena e Marco Graziotti pubblicate sul sito: www.aadp.it/dmdocuments/doc945.pdf