Pubblichiamo, come approfondimento alla nonviolenza, questa intervista, a Elena Liotta, psicoterapeuta e psicologa analista, particolarmente attivo nella formazione, realizzata da Marco Graziotti, Marta Mureddu e Paola Pisterzi, della redazione di "Viterbo oltre il muro. Spazio di informazione nonviolenta", un'esperienza nata dagli incontri di formazione nonviolenta che si svolgono settimanalmente a Viterbo.
Questo ciclo di interviste verrà utilizzato nei momenti formativi realizzati dall'Associazione.
- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: Da dove cominciare? Lei è nata a Buenos Aires nel 1950 e risiede a Orvieto, in Umbria; è psicoterapeuta e psicologa analista, ma ha svolto e svolge varie altre attività: didattiche, di coordinatrice e docente di corsi di formazione, di consulente per servizi pubblici ed enti locali oltre che per associazioni di volontariato; ha lavorato in ambito editoriale, giornalistico, per istituti di ricerca e biblioteche; ha scritto vari libri; ed è anche stata assessore alle politiche sociali presso il Comune di Orvieto. Dimentichiamo qualcosa di essenziale?
- Elena Liotta: io aggiungerei una cosa personale, però importante perché è stata un pò un motore della mia vita: sono mamma, e adesso anche nonna. E credo che tutte le cose che ho fatto e potuto scrivere riflettano l’importante cambiamento avvenuto nella nostra società occidentale nei rapporti tra uomini e donne, da me pienamente vissuto.
- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: La sua è una vita di intenso impegno culturale e civile. Quali esperienze sono state decisive nelle scelte della sua vita, e quali maggiormente formative, e quali maggiormente coinvolgenti, più appassionanti?
- Elena Liotta: Sicuramente nascere in America Latina nel 1950, dove ho studiato e sono cresciuta, ha segnato la mia vita. Poi, trovarmi a 18 anni nel ’68 in Italia (e non in Argentina dove probabilmente non sarei sopravvissuta) ha significato qualcosa. Date, luoghi che mi hanno indirizzato fortemente. Poi, ancora, l’università, la mia prima laurea in Lettere, ma indirizzata all’orientalistica, che ha dato una sfumatura diversa al mio dissenso, al mio bisogno di cambiamento nella società in cui vivevo, non prendendo la forma della protesta come reazione violenta, ma del cambiamento tramite l’osservazione di sè. I miei studi sono stati di tipo filosofico-religioso, la storia delle religioni, delle tradizioni popolari, antropologia e tutta l’orientalistica: religione e filosofia dell’India e dell’Estremo Oriente, la storia, la letteratura. Anche nell’avvicinarmi alla psicologia del profondo, che è stata oggetto della mia seconda laurea, mi sono sempre domandata che cosa succede dentro all’essere umano, più che cosa fa fuori. Cosa induce a certi comportamenti, individuali e sociali. La protesta, il cambiamento, tutto fa ritorno alla psiche dell’essere umano. Bisogna sapere che cosa si sta facendo, perché lo si fa e come funziona la nostra mente in generale. Una mancanza di consapevolezza può creare gravi danni nei passaggi culturali e storici. Ho conosciuto e studiato in quei contesti il pensiero di Gandhi, naturalmente, che unisce mirabilmente il dentro e il fuori dell’essere umano. Poi il mio impegno politico più recente, inaspettato. Infatti, prima che diventassi assessore nei primi anni Novanta, io ero già impegnata politicamente nei vari movimenti di contestazione e critica sociale, ma mai ero stata iscritta ai partiti. Un altro passaggio importante della mia vita, e soprattutto scelto, è stato venir via da Roma per vivere in campagna, in un centro più piccolo e nella natura, non tanto in cerca di isolamento, ma per trovare una dimensione a misura d’uomo e di donna. Dopo poco e in modo parzialmente casuale, sono stata invitata ad occuparmi delle politiche sociali, educative e sanitarie della città. Questa esperienza mi ha permesso di osservare concretamente la dimensione locale, il suo rapporto con quella metropolitana e in via di globalizzazione. Mi ha permesso anche di capire che la realizzazione di modelli di vita alternativi non è semplice. C’è in giro tanta letteratura ecologica, spesso maturata in ambiente metropolitano, sul risparmio energetico, la decrescita, il localismo, cose di cui mi occupo con interesse profondo. Vivere fuori dalle città aiuta a capire cosa e come si può fare davvero e cosa no, almeno per oggi. Potrebbe sembrare che sia facile, oltre che desiderabile, cambiare stile di vita, e invece non lo è per niente.
- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: Che risultati ha ottenuto con la sua attività di promozione dei diritti sociali? Quali ostacoli ha incontrato?
- Elena Liotta: Quando sono stata attiva nella politica istituzionale, esperienza nuova per me, ho capito com’è difficile governare in Italia in una politica come quella che abbiamo, per chiunque. Essendo tutto collegato in strani equilibri, qualunque cosa si faccia ci sarà qualcuno che protesterà; è molto difficile il lavoro di mediazione, non si è mai a conoscenza fino in fondo di ciò che sta accadendo. Quindi per chi è abituato a essere responsabile in prima persona non è facile muoversi in un contesto politico. Ci sono in Italia ancora vari strati di potere perciò se si è in un partito, e poi in una giunta, si è soggetti a controllo, che è giusto, ma anche ad una forma di espropriazione di quello che si fa o no, o anche ad una forma di complicità che a volte è ignota. Se in una giunta, ad esempio, una persona non si intende di lavori pubblici, o altre materie, potrebbe un giorno trovarsi nei guai senza aver personalmente fatto nulla di male. Dopo circa tre anni mi sono dimessa perché non mi sentivo al mio posto. Come esperienza è stata molto utile perché mi ha fatto capire meglio di quanto potessi immaginare come funziona il potere. Ma io avevo scelto molto presto nella vita di lavorare in altri contesti, quelli di cura, educativi, di sostegno ai deboli. La politica è andata bene perché in qualche modo nel sociale non circolano grandi somme di denaro e spesso tutto viene affidato alle donne. Inoltre, non si tratta di un’area particolarmente appetibile e lavorando con tanto impegno ho stabilito un contatto positivo con la città, che ancora dura in altre forme. Sono consulente del Comune per il settore educativo-scolastico e per la biblioteca. La mia uscita non è stata di protesta ufficializzata, ho spiegato che, oltre a questioni personali che mi avevano colpito (lutti familiari), mi sentivo sovradimensionata da una parte e sottodimensionata dall'altra, questo perché non sono cresciuta nella politica istituzionale nè pensavo di volerlo fare. Avevo già più di quarant'anni, e a posteriori sono contenta così. Si può fare politica anche in altri modi.
- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: Visto che ne parlavamo, in quali progetti è impegnata attualmente?
- Elena Liotta: Attualmente lavoro sempre meno sul piano clinico, ovvero con pazienti singoli, come ho fatto per molti anni. Insegnavo anche nella formazione specialistica di futuri psicoterapeuti, cosa che ho mantenuto. Come anche l’attività di supervisione di vari servizi sociali, pubblici, su base mensile, o se necessario con più frequenza.
Qui a Viterbo lavoro all'Arci per il servizio a favore dei rifugiati, a Pisa alla Casa della donna, per il gruppo che si occupa del maltrattamento, tramite l’ascolto telefonico, la Casa rifugio, il gruppo delle avvocate, ecc. A Roma, sempre per il Comune, sono alcuni anni che svolgo attività formativa con le educatrici di una decina di asili nido. Con il Comune di Orvieto sono ufficialmente coordinatrice pedagogica dal 2000, e seguo vari servizi, dalla prima infanzia (asili nido) all'adolescenza (Centri di aggregazione giovanile), mi occupo di genitorialità, faccio incontri all’Università della Terza Età, in biblioteca tengo dei laboratori (sul sogno uno e l’altro sugli stili di vita), in pratica mi curo di tutta la componente umana, ma non psicoterapeuticamente in senso stretto. Ho elaborato nel tempo una modalità in cui il sapere intorno alla psiche viene trasmesso a partire dall’esperienza diretta di comportamenti e vissuti comunicati in un’atmosfera conviviale, come direbbe Illich, e con linguaggi semplici e chiari, non specialistici. Di fatto lavoro per creare maggiore consapevolezza, rispettando il punto di partenza delle persone. Ad esempio, se si parla di ambiente, si parla di ambiente, non si fanno interpretazioni psicologiche, tantomeno psicoanalitiche. È un modo per educare a un pensiero più profondo. Dimenticavo, faccio la coordinatrice pedagogica anche per il Comune di Città della Pieve.
- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: Non si annoia!
- Elena Liotta: No, non mi annoio, a volte mi sento anche un pò caricata.
Però voglio spiegare che tutto questo dentro di me è fortemente collegato, io ho queste due o tre idee-cardine e alla fine sono sempre quelle (tra cui la nonviolenza è fondamentale!), e vedo che sono giuste per i bambini, per gli adulti, per le donne, per tutti. È solo che vanno "somministrate" in ogni situazione con il linguaggio di quella situazione, l'abilità è tutta lì, questo è ciò che fa la differenza, affinché tutti capiscano con la loro possibilità di capire per poi ampliarla.
- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: Passiamo alla nonviolenza, com'è avvenuto il suo accostamento ad essa?
- Elena Liotta: Io penso che pur considerandomi una persona reattiva, infatti non è che le cose mi scivolino addosso, ho sempre avuto una forma di rifiuto mio, intrinseco, per la violenza, di qualsiasi genere. È proprio una cosa naturale. Ho potuto rinforzarla quando lessi Teoria e pratica della nonviolenza di Gandhi, che per me è stato un libro fondamentale, in occasione del mio primo esame di Religioni e filosofie dell'India. Dopo aver fatto anche un periodo di ricerca per il Cnr a Londra, sull'incontro tra Oriente e Occidente, feci la mia tesi con Corrado Pensa, su Vimala Thakar, una filosofa indiana che è morta di recente. Questa donna aveva studiato economia e filosofia, e per un periodo aveva seguito Vinoba Bhave, uno dei più grandi seguaci di Gandhi in India, e il suo movimento. Dopo aver trovato un suo orientamento personale, Vimala è venuta in Europa, ha viaggiato per il mondo tenendo seminari sulla consapevolezza, è stata come un'anima femminile gandhiana. La considero una mia maestra. Tra le altre importanti figure ci sono stati Krishnamurti, e tutti coloro che rappresentano quella parte dell'India, fecondata nel ‘900 dal pensiero di Gandhi, che in Occidente ha fatto moltissimo. Non sono i guru, che hanno costituito un altro tipo di influenza, sono filosofi, pensatori, come può essere oggi Panikkar.
Grazie alla mia tesi ho approfondito molto, con uno sguardo femminile, meno politico, non movimentistico, ma più di cambiamento interiore, come si fa a diventare nonviolenti dentro, poi ho conseguito anche la laurea in psicologia e contemporaneamente ho fatto un training analitico che ha prodotto altre consapevolezze e cambiamenti in me. L’attenzione all’interiorità non significa passività, come molti immaginano a torto. Sono una persona attiva, che non si tira indietro se e quando c'è da fare. Ecco, secondo me bisogna anche fare, venendo dal '68 posso dirvi anzi che qualcosa bisogna anche fare. Soprattutto oggi.
- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: A questo proposito quando dice che l'avvicinamento alla nonviolenza debba partire dall'interno, come possiamo attuare questo cambiamento considerando che “di natura” l'uomo tende a prevalere sull'altro, o almeno è questo ciò che ci hanno insegnato?
- Elena Liotta: Esatto, questo è quello che ci hanno insegnato, perché non è così, ne parlo anche nel mio libro Su Anima e Terra: il mondo è fatto più di persone nonviolente che di persone violente, perché la maggior parte delle persone non va in giro nè ammazzando nè prevaricando, sono molti meno quelli che lo fanno. In tutta l'America Latina ci sono state tante lotte interne, però a nessuno è venuto in mente di venire a colonizzare l'Italia o l'Europa, nessuno si è mosso da lì per venire a colonizzarci. L'Europeo ha questa natura troppo... diciamo "intraprendente" o "invadente"? Molti popoli della terra non sono così, quindi significa che essere umani non vuol dire automaticamente essere violenti. Però viene insegnato questo. A furia di dirlo si realizza.
Il fatto di poter avere delle reazioni estreme aggressive non significa essere di natura violenta. Quindi io credo molto che si possa cambiare, ma i contesti sono il vero problema. Il contesto è la cultura, la politica, l'economia di un paese, è questo che fa l'essere umano, che è poi condizionabile, e questo, ahimè, di sicuro lo è. Per me l'educazione è tutto.
- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: Che cosa possiamo fare concretamente per accostarci alla nonviolenza?
- Elena Liotta: Io direi che dipende proprio dal contesto in cui ci si muove, chiaramente se si è attivisti della nonviolenza si dovranno organizzare delle campagne, delle iniziative ecc. questo va da sè. Le soluzioni devono essere sempre integrate. Credo che chiunque voglia possa lavorare sulla nonviolenza, con un pò di esame di sè, di consapevolezza, di osservazione delle proprie parti violente, rabbiose, reattive. Chiunque lo dovrebbe fare, io lo metterei quasi come obbligo morale. Fa un certo effetto sentire persone che parlano di nonviolenza e sono le prime ad essere profondamente violente, anche verbalmente. Si tratta di un punto molto gandhiano. Gandhi lo diceva sempre. Diceva “non faccio mai niente se non l'ho prima elaborato dentro di me”, che è il principio di qualsiasi psicologia del profondo, del guardarsi dentro. Conoscere se stessi. È facile dire, scrivere, parlare. Ma se vogliamo disinnescare la violenza dobbiamo esperire in prima persona, capire di prima mano come funziona e come funziona invece la nonviolenza. Qui arriviamo alla fondamentale differenza tra psicologia e psicoterapia. La psicologia è lo studio e la conoscenza della psiche, si tratta di imparare "come funziona la macchina", lo dovrebbero fare tutti, penso che dovrebbe essere in tutti i corsi di studio universitari, è un preliminare.
Bisogna capire, ad esempio come funziona un gruppo, ormai oggi si sa: anche i gruppi hanno dinamiche psicologiche, se non le conosci come puoi gestire, governare un gruppo? Una classe, una squadra, una qualsiasi aggregazione. Magari alla fine si governa solo con l'autoritarismo. Ci si casca facilmente in queste derive. La deriva autoritaria è sempre lì pronta, è in chi non ha altri mezzi e oggi, lo sapete, si può essere autoritari senza neanche alzare la voce, senza neanche usare le armi, abbiamo tante altre forme di costrizione e ricatto. Sempre violenza è.
- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: Cosa ne pensa dell'attuale legge sull'immigrazione in particolare della legge 94/2009, dei Cie (Centri di identificazione ed espulsione), delle deportazioni; e cosa si dovrebbe fare?
- Elena Liotta: Ne penso il peggio possibile, tutto ciò mi ferisce, come italiana e come straniera. Vorrei che tutti gli immigrati scioperassero così l’Italia si fermerebbe! Ma se neanche gli italiani lo fanno più? Cioè è qui che le domande e le risposte si fanno complicate, perché il rapporto tra le culture, il modo in cui è organizzato tutto oggi è fortemente concatenato ad interessi corporativi, mafiosi, c'è dentro di tutto. Come si fa a prendere in considerazione solo l'immigrato che arriva, che è l'ultimo tassello? Non vi so rispondere a questa domanda, non so cosa si può fare, però io intanto ho scelto di lavorare con chi arriva. Per lui posso fare qualcosa, qualcosina. Occorrono pratiche nuove, vedo che esistono modi per uscire dai circuiti più stretti, grazie all'uso di internet. Oggi se si lavora sul piano locale, non va dimenticato che tante cose che succedono sono collegate a ciò che succede nel mondo. È importante fare buon uso di internet o comunque essere abili in questo, un giovane non può rinunciarvi. Come anche conoscere una lingua, è importante se si vogliono aprire un pò gli orizzonti. Anche inventarsi delle pratiche nuove, perché a volte quelle a cui si è abituati producono pochissimo, cioè producono il consenso in chi il consenso ce l'ha già, e ci si ritrova sempre tra gli stessi. Va benissimo perché ci si tiene su, ci si rinforza, ci si consola, si è pochi ma buoni, si dicono una serie di cose, ma per allargarsi bisogna sapere argomentare, fare attività che raggiungano più persone, appassionarli a una visione diversa della realtà. Inoltre, parlando di nonviolenza è fondamentale essere di modello col proprio esempio, ci vuole almeno un pò di coerenza. Poi scrivere, usare le immagini, comunicare nei modi in cui oggi si può, fare senz’altro un'attività di diffusione in modo convincente ma anche incontrarsi tra persone, guardarsi in faccia, ristabilire rapporti di vicinanza. E, infine, dare un certo sfogo alla fantasia per trovare nuovi modi, non rimanere intrappolati nella formule altrui. Mi piace dire che se le cose umane sembrano sempre più o meno le stesse, sono i tempi in cui avvengono che non sono gli stessi. E questa variabile va rispettata.
- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: Ogni giorno la tv ci bombarda di notizie dove il problema è identificato sempre nell'immigrato, come possiamo evitare di essere influenzati?
- Elena Liotta: Anche qui, ricordiamoci che nel mondo sono numericamente molti di più i non razzisti che i razzisti. Spesso facendo delle supervisioni di gruppo con operatori vari di situazioni sociali mi si parla dei casi singoli come se rappresentassero la realtà intera. Si tratta invece dell’eccezione che turba. Se usato in modo manipolativo questo fattore drammatizzante sposta fortemente l’opinione pubblica. La maggior parte della gente non è razzista, non è che lo sta diventando o non lo sta diventando, certamente se ci si mettono di punta e si inizia dall'infanzia si riesce a far diventare razzisti, nazisti, un intero popolo. Allora come si può contrastare questo rischio? Ognuno può farlo intanto nel proprio campo e raggio di azione. A me stare con gli stranieri piace molto, a volte sto meglio con loro che con gli italiani, figuriamoci, ci sono nata e cresciuta, sono abituata alle pelli di altri colori, ma molta altra gente è così. Allora ci vogliono sempre più occasioni di incontro, vediamo tutto quello che fanno anche qui a Viterbo all'Arci, con tutte le difficoltà che a volte ci sono. I rifugiati non è che siano tutti tranquillissimi (come potrebbero? ci si mette mai davvero nei loro panni?), però la maggior parte lo è, la maggior parte si integra, fa il suo percorso. Poi c'è qualche caso, ma quello è normale, anche tra gli italiani è così. Io sono favorevole a una costante demistificazione di ciò che viene detto sui media, dubitare su tutto. Tante volte si riecheggiano parole che tutti dicono, e questa è la manovra del grande giocoliere della società dello spettacolo: a furia di dire una cosa, quella diventa vera. Tutti quanti cominciano a pensare che è vero, ma se guardi alla realtà che hai accanto puoi vedere che ci sono pochi casi e che tante persone sono ben disposte verso gli stranieri. Con quel nucleo di diffidenza umana che si ha anche tra italiani che non si conoscono, di altre regioni o addirittura quartieri...
- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: Ci continuano a far vedere soltanto dei singoli casi...
- Elena Liotta: Esatto; è una manovra sottile, psicologica. Come per la crisi: c'è la crisi, non c'è la crisi, alla fine non si sa se c'è la crisi o no; cioè: qual è il punto? Che non si sa, che ti resta il dubbio. Magari vedi che hai da mangiare, il tetto sulla testa c'è, ma allora che crisi è? Poi però intorno a te c'è chi ha perso il lavoro. È vero che c'è. Quel dubbio corrode, e l'essere umano quando non ha le cose chiare tende mediamente a ricadere su un piano materialistico, quindi a cercare rassicurazione nelle cose concrete, allora spende di più. Queste sono delle perversioni e chi governa lo sa benissimo. Per gli stranieri andrei avanti facendo attività di integrazione, lavorando con gli immigrati, per gli immigrati, quando è possibile. Infine, se si può, è importante esprimere un parere con il voto, con una protesta, perché la parte politica ha bisogno di essere scossa dal basso.
- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: Sull'ambiente, prima ci ha parlato della vita in campagna, quali sono gli ostacoli che incontra ogni giorno?
- Elena Liotta: Prima di tutto qui vorrei dire: no alle mode! Sono diciassette anni che vivo in campagna e non ci vivo nemmeno da contadina, pur avendo un orto, figuriamoci come sarebbe viverci da contadine. Ci sono tutti quei libretti, i manualetti, su come risparmiare e tutta una lista di cose che si dovrebbero fare, la maggior parte delle quali invece non si possono fare. A meno che non si sia pensionati o disoccupati. Io non posso non usare la macchina, perché non esiste una rete decente di autobus in tutto il territorio che io possa utilizzare. Adesso hanno anche tagliati i treni. Le persone anziane nella frazione in cui abito io, come i ragazzi e le ragazze, o vengono accompagnate o restano isolate. Hanno svuotato le frazioni, hanno fatto un disastro sul piano delle comunità, allora la comunità bisogna ricostruirsela, mettendo petrolio dentro le automobili. Qualcuno dice di prendere la bicicletta. Ma dove la prendi la bicicletta? A Ferrara o a Pisa. L'Italia, l’Umbria poi e l’Alto Lazio, è fatta tutta di colline! Non è praticabile con la bicicletta. E poi in bicicletta chi ci va? Il giovane, il single, perché la mamma coi bambini, che deve andare a fare la spesa, che lavora, con orari da cani, come fa? I giornalisti che si buttano in queste innocenti imprese volendo dire alla gente come debba campare, non hanno la più pallida idea di come campa veramente la famiglia media italiana. Questa è una cosa che sempre noto. Tante manovre di tipo pubblicitario. Sembra che si faccia qualcosa, sembra che si faccia la raccolta differenziata, ma poi tutto quanto viene buttato in discarica. Sembra che... sembra che... e la realtà è sempre scollegata. C’è la realtà ideale, c’è quella pubblicitaria, poi c’è quella vera.
- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: In realtà si consiglia ma non si mette la gente in condizione di farlo...
- Elena Liotta: No, infatti. Alcune, poche, rare persone sono nelle condizioni giuste per "ridurre la loro impronta ecologica". Le altre soffrono nel desiderarlo, ma accorgendosi di non poterlo fare o non riuscirci, aumenta il proprio disagio. Nell’insieme i rifiuti aumentano e gli stili di vita non cambiano. Questo vale per tutto, risparmi energetici compresi. È un disastro, un vero disastro; è molto triste.
- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: A questo proposito, lei ha aderito alla campagna contro il mega-aeroporto di Viterbo...
- Elena Liotta: Ma è proprio lo stile di vita che è in gioco, anche qui. Al laboratorio sugli stili di vita, che è il progetto a cui terrei di più, la gente non viene sempre volentieri. C’è incostanza, non si percepisce l’urgenza. Forse è una vera a propria rimozione. Pochi vogliono affrontare le sfide di una reversione di comportamenti. Alla fine ci vengono gli stessi, i soliti. Magari si va una tantum ad ascoltare le conferenze tradizionali, più "culturali", sull'arte, le antichità, le teorie scientifiche, ecc., ma sul come stiamo vivendo, tutto sommato pare che non si desideri capirne di più. Nel laboratorio non si danno suggerimenti su "come si dovrebbe vivere". Ecco no, io non lavoro così. Io lavoro sul come si vive realmente. Come state vivendo? Abbiamo fatto l'inventario degli oggetti nell'armadio. Quanti vestiti, quante scarpe, quante maglie. Vogliamo cominciare dalla verità? Cerchiamo di capire perché dobbiamo sempre essere pieni zeppi di cose. Quando anch'io mi sono messa a contare, pur avendo già eliminato molte cose, vedendo il numero di sciarpe che avevo - molte mi sono state regalate - ero comunque allibita. Non so! Più di una cinquantina. Ma uno che ci deve fare con cinquanta sciarpe? Con quaranta paia di scarpe? Dove le tieni? Occupi spazio, ci vuole manutenzione. È uno spreco, è proprio il modo in cui viviamo, grida vendetta su tutta la linea, figuriamoci prendere gli aerei quando non serve. E quando serve davvero?Domandatevi perché vi volete muovere tanto. In una vignetta di Altan si legge: “cerco di andarmene lontano ma mi vengo sempre dietro”, tanto dovunque tu vada sei sempre tu, no? E allora forse anche su questo desiderio di fuga da se stessi, di fuga lontano da tutto, indotto poi mediaticamente, è meglio riflettere. Vado in aereo a respirare aria buona lontano, mentre me la inquina il traffico aereo a casa? È demenziale. Ci inducono ormai ad andare via (voli a prezzi stracciati) mediamente una volta al mese. Facendo il conto delle feste ho calcolato che ce ne è una al mese, feste in cui si spendono soldi e la tv dice "dove andranno gli italiani?Quanto spenderanno?". Ma perché ci dovrebbe interessare? E giù con le induzioni. La festa della mamma, del papà, del nonno, della donna, Natale, Pasqua, Santi e morti, i famosi ponti. C'è chi si sorprende se dici che non vai da nessuna parte, ma perché dovrei? Finché questa mentalità non cambia e non si comincia tranquillamente a dire “perché dovrei partire con l’aereo?” e qualche volta sarà sì, ma molte altre no, non cambierà nulla. Magari però qualcuno può pensare che se anche la dottoressa non parte, non è poi così sconveniente e forse può non partire anche lui. I cambiamenti avvengono anche così. Avendo il coraggio di modellare un comportamento diverso, senza fare chiasso, senza gridare, ti comporti in un certo modo e lo dici chiaramente. Lo ammetto, io non compro i giornali da anni. Perché non credo a quasi nulla di ciò che scrivono. Tutti.
- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: Per quanto riguarda gli spostamenti in aereo, alcune persone sostengono di essere costrette a spostarsi da una città all'altra in breve tempo, e in questo caso l'aereo sembra quasi necessario, cosa pensa di questo?
- Elena Liotta: Diciamo che se accadesse una catastrofe questo si modificherebbe da sè, così uno non potrebbe andarci più. Spontaneamente il sistema non si modifica, ma non so se dobbiamo essere contenti di aspettarci le catastrofi. Forse bisogna rivedere l’idea della "necessità" con cui si giustificano troppe scelte.
Una cosa che secondo me ha a che fare anche con la pace e con la nonviolenza, è che una società troppo frammentata non permette il costituirsi del legame di comunità umana. Se si vive da una parte, si studia da un'altra, si lavora in un'altra ancora, non ci si può dimenticare che per quanto si possa comunicare via internet, l'essere umano ha bisogno di stare vicino alle persone, vederle, toccarle. Una coppia che non si incontra mai, è destinata ad avere una crisi, alla fine la famiglia non c'è più. Bisogna parlare, guardandosi in faccia. Questa frammentazione totale significa anche, per certi versi, controllare meglio tutto. "Divide et impera", no? Qui arriviamo al problema del localismo, che come la decrescita, definita “felice” - io più che felice, che mi pare un pò troppo, direi serena - definirei come "localismo intelligente". È assolutamente necessario che si lavori su base locale, avendo una comunità di riferimento, potendo vedere i tuoi figli crescere. Passati certi momenti, non li recuperi più. Deve esserci un ritorno a una dimensione umana della vita, per questo l'aereo è smisuratamente "fuori". Sono d'accordo che gli aerei esistano, sono stati inventati, ma che vengano usati per le cose necessarie, come all'inizio è stato per i cellulari, ce li avevano solo i medici o coloro che comunque gestivano emergenze.
Ciascuno poi fa quel che può nel corso di una vita. Personalmente scelgo di non fare più certe cose e di non nasconderlo. Quanto posso influenzare gli altri io con le mie scelte? Forse un pò sì. Scrivo, cerco di esprimere un dissenso per quello che vedo, perché sono profondamente convinta da psicologa e psicoterapeuta che il malessere globale delle persone è tale che se non cambia lo stile di vita avremo sempre più clienti, pazienti, droghe, farmaci, antidepressivi, perché pian piano sta diventando sempre peggio. La gente vive male, continua a vivere male. Non bisogna essere tossicodipendenti ed entrare nel meccanismo specifico; le dipendenze sono tutte tossiche, eccetto quelle affettive primarie, che sono le uniche sane (se rimangono all’infanzia), il resto è tutto tossico.
- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: Ecco, lei come psicoterapeuta cosa ne pensa dell'uso e dell'abuso degli psicofarmaci?
- Elena Liotta: In questa cornice? Innanzitutto è ormai frequente che alcuni pazienti assumano farmaci e vadano contemporaneamente in psicoterapia. Per quanto io pensi il peggio delle industrie farmaceutiche, sono diventata più flessibile nei casi di sofferenza concreta delle persone reali che ho conosciuto. La gente sta sempre peggio e considerando anche i tempi e i costi delle psicoterapie e il fatto che i farmaci, soprattutto gli antidepressivi, sembrano migliorati nel corso degli anni, credo che in alcuni casi siano l’unica risposta praticabile. Inoltre, le persone non sono tutte in grado di affrontare un dolore psichico eccessivo, una patologia mentale, in momenti particolari della vita. Se lo fossero si potrebbe giocare sempre la carta della psicoterapia, ma alcuni non sono davvero in grado di trarne giovamento. È come per il lavoro con le tossicodipendenze, alla fine ci si appoggia alle comunità, perché è molto difficile seguire passo passo le situazioni in psicoterapie individuali, soprattutto quando il problema è grave. Detto questo, molte persone vanno in psicoterapia e non prendono farmaci e accettano di trascorrere anni ad affrontare disturbi che si portano dietro da molto tempo. Io non mi fermerei però al discorso sui farmaci. Mettiamo sempre in discussione la cornice, chiedendoci perché la gente sta male, perché il malessere è cresciuto e perché la pressione sulle persone è cresciuta, le aspettative, tutto si è intensificato e mette le persone in crisi permanente. Non si può stare bene in un mondo così, ma ci capita di vivere in questo periodo. Si cercano le fonti di speranza, la motivazione ad andare avanti, anche per aiutare questa situazione generalizzata ad evolversi al meglio. Ci si impegna nelle cose positive anche dentro al malessere. Però a chi scivola in stati interiori di grande e grave malessere a volte serve proprio l’aiuto chimico. Oggi ci si può informare, si deve smitizzare anche il medico, sia quello del corpo sia quello dell’anima. Ci sono i falsi maestri della psiche. Quando c’è bisogno e si proietta la salvezza su qualcuno si possono subire danni ben peggiori degli effetti collaterali di un buon farmaco. Affidarsi anima e corpo in momenti difficili richiede almeno che si verifichi l’affidabilità e la competenza. Oggi possiamo, abbiamo più strumenti, se un medico ti cura male si può cercarne un altro, no?
- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: Questo però è difficile, una persona va da un medico se è già debole di per sè e sente di aver bisogno di un aiuto, quindi spesso si affida totalmente...
- Elena Liotta: Non dev'essere più così ovvio, anche questo è indotto. Va contestato. Può comunque capitare, ma quando ci si accorge di questo, diventa un'esperienza maturativa. Purtroppo è un'aspettativa ancora infantile, quella della mamma o del papà buono che ci salva, che poi nemmeno i genitori veri sono così, può esserlo forse un estraneo? Anche in questo ambito c'è stata una grossa degenerazione rispetto alla psicologia. Troppe scuole, troppa facilità, persone inesperte che hanno i titoli. Non basta avere i titoli, bisogna esercitare coscienza critica, che manca in generale. La coscienza critica nasce anche dall’ascoltare se stessi: quando le cose non tornano. Quando eravamo ragazzi noi, nessuno ci aveva insegnato niente di tante questioni della vita, era finita la guerra da poco, non si sapeva nulla di quello che veramente accadeva nella politica, nell’economia, nel resto del mondo. Occorreva pensare, sforzarsi di capire, vagliare, cercare la verità. Mi è rimasta la prudenza, l’intuizione di quello che non va, e raramente mi sbaglio. Posso non capire esattamente cosa, ma se qualcosa non va il mio sistema mente-corpo lo avverte. Questo è il segno di una maggiore responsabilità. Quando dicono che le nuove generazioni sono infantilizzate, credo che siano state cresciute dalla famiglia, dalla scuola, con poca fiducia nella loro capacità di essere responsabili. Questo l'ho visto in molte situazioni, e allora si cresce sempre immaginando che occorra sempre un'autorizzazione da qualcuno, perché nessuno ti ha mai detto: “fà, fà a modo tuo, prova, sbaglia, impara”.
Difendo sempre le generazioni dei giovani, perché li vedo resi deboli, minati, e non dovrebbero essere così! Il bambino, io lo vedo, è proprio esplosivo di vita! fin dagli inizi. Già alla scuola dell’infanzia iniziano a mettergli il cappuccio sopra. Già al nido i genitori chiedono “ma oggi cosa ha fatto?”. Cosa dovrebbero aver fatto a un anno e due mesi un bambino o una bambina? Il genitore vuole già dei risultati, dei prodotti. I più vitali chiaramente reagiscono male. Alla materna stanno già costretti sulle seggioline, in file, cerchi, fermi, non sembra pre-scuola, ma scuola. Si tarpa l’autonomia, la creatività, e quindi anche il senso di responsabilità che per svilupparsi ha bisogno della libertà. Nemmeno gli adulti ci sanno stare fermi e concentrati così a lungo. Gli anticipi di scolarizzazione sono delle vere incongruità.
Tornando al dolore psichico e a chi non lo tollera, anche Gandhi diceva che la nonviolenza richiede un sacrificio. Chi non riesce a fare un sacrificio, cioè soffrire e tener duro, non può uscire dalla dipendenza, è come se gli mancasse un organo per fare una certa azione. Le persone vanno aiutate ad affrontare il disagio, tornando alla causa a monte, perché oscuramente la persona può capire qual è la cosa giusta da fare, ma il malessere che prova è così forte che non riesce ad andare oltre. Le trasformazioni sono dolorose, e la tolleranza al dolore è una capacità che si sviluppa, già da bambini. Mentre il messaggio più diffuso attualmente è che per qualsiasi malessere c’è un oggetto o situazione materiale per sanarlo.
Quando poi volete capire gli altri, guardate a voi stessi, quanto vi è faticoso privarvi di una cosa, e come comprare un oggetto - di cui magari non avete reale bisogno - vi fa sentire bene per un pò di tempo. Il peggio è quando una società si basa su questi meccanismi, anche guardando ai disturbi alimentari che esistono solo perché disponiamo di cibo, il cibo usato come consolazione rende dipendenti. Siamo fortemente nevrotizzati proprio perché viviamo in una società del benessere. La nevrosi è l’effetto collaterale del benessere, non dovendo preoccuparsi di sopravvivere si ha il tempo per indulgere in difficoltà a volte pretestuose.
Alla responsabilità dell’individuo di liberarsi dai condizionamenti corrisponde purtroppo una società mostruosa che fa di tutto per riacchiapparlo. Vedo tanti individui che soffrono di un malessere esistenziale, di una alienazione simile a quella della prima critica sociale marxista al sistema industriale consumistico. La mente si ammala analogamente al corpo intossicato dall’inquinamento. È perciò necessario mettere in moto qualcosa di opposto e purificante da queste contaminazioni con spirito critico costruttivo. Pensiamo che anche gli stimoli negativi possono servire a non farsi annebbiare la mente e risvegliare le reazioni e le difese.
- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: Parlando di questo viene in mente la tipica vita del contadino, che non aveva tempo di essere depresso, infelice, aveva un certo ritmo, si svegliava presto la mattina e lavorava la terra...
- Elena Liotta: Anche volendo tornare alla vita legata alla terra com’è quella del contadino, le cose sono troppo cambiate per poter riattivare quello stile di vita. Prima la giornata finiva col calar del sole non essendoci l’elettricità, c’era la stagionalità, ritmi diversi, oggi invece o si lavora sempre (il quotidiano lavorativo a ore fisse) o non si lavora mai (la vacanza), non c’è un ritmo collegato a quello naturale. Essendo costretti a pagare le tasse, le varie utenze, i mutui ecc. non si può essere autonomi con la terra e basta. Solo chi ha un’azienda agricola, infatti, può fare il contadino puro - e riceve i contributi dello stato - ma per mantenere quella terra deve avere la partita Iva, adeguarsi a tutte le leggi e regolamenti, far parte della confederazione degli agricoltori etc. Non puoi essere un essere umano sulla terra che lavora la terra, prende i frutti della terra e vive con quello. Non sei più tu il solo responsabile di quello che fai.
Come possiamo allora modulare questa complessità con la natura umana? L’essere umano ha bisogno di avere qualche gratificazione nella vita, non può esser solo vessato, sfruttato, manipolato, perché c’è un sè profondo in tutti noi che si ribella, vuole il diritto a vivere, non solo fisicamente ma anche psichicamente. E quella diventa una lotta personale. Ne parlo nel mio libro La maschera trasparente e suggerisco una condizione nonviolenta in cui stare senza essere troppo visibili per non diventare oggetto di dubbie discriminazioni. Fare il più possibile con onestà interiore e non arrendersi mai. Le forme di “guerriglia” sono tante, per usare una parola antitetica a quella della nonviolenza, esiste una guerriglia nonviolenta che è quella di non mollare mai. Io sono convinta che si possa fare.
La globalizzazione è una follia, è una cosa psicologicamente mostruosa, eppure c'è chi la sostiene.
- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: Poi in tutto ci sono sia aspetti positivi che negativi, ma se tutti i paesi vivessero come viviamo noi ora...
- Elena Liotta: Sì, infatti è facile sostenerla, la globalizzazione, per i paesi che sfruttano gli altri per stare bene. Come era prima la colonizzazione, si è cambiato nome…
- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: Parliamo di donne. Nella società, la donna è spesso vista come indifesa e bisognosa di protezione. È possibile, per le donne, riuscire ad ottenere un senso di protezione e sicurezza che vadano oltre la presenza maschile?
- Elena Liotta: Basta accorgersi quanto si è assoggettate e condizionate e voler davvero uscirne. Non tutte lo desiderano e sono disposte a uscire dal guscio.
A me sembra che le cose stiano cambiando, a partire dal secondo dopoguerra. Il femminismo ha dato un’opportunità alle donne, ha permesso di avere coscienza di sè, anche in ambito lavorativo, la possibilità di votare, molti aspetti che non tutte hanno colto. Oggi tante cose vi sembrano scontate, anche andare all'università, ma prima la vita delle donne era molto più controllata, potete immaginarla come in alcune culture extracomunitarie, come anche nel sud dove questo controllo delle donne di casa un pò permane. Io sono figlia di un siciliano che non era neanche nato in Sicilia, mi sono sposata tra il secondo e terzo anno di liceo, è nata mia figlia, dopo sei mesi ho fatto il mio primo esame all’università, ma finché sono stata a casa, non potevo neanche usare tranquillamente il telefono o andare alle festicciole pomeridiane senza un controllo capillare. Appena ho potuto sono andata via di casa. Oggi penso che queste cose non succedano più...
- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: Non proprio, diciamo che la tendenza è quella, poi ci si rende conto che certe cose non sono più realizzabili, però la volontà permane.
- Elena Liotta: Prima era così per tutto, io ringrazio di essere nata nel periodo in cui le cose sono cambiate, altrimenti avrei avuto vita difficilissima. Credo sia fondamentale la fedeltà a se stesse. Proprio per questo ho intitolato il mio libro dedicato alle donne A modo mio, ogni donna sa, se ascolta se stessa e guarda quello che ha intorno, attenta a quello che accade, ciò che vuole e non vuole, e ciò che può e non può, in ogni momento. Le donne hanno questa capacità molto concreta di stare nelle cose. Se poi ci si lascia portar via, come molte, che hanno aderito con grande tranquillità all'ondata consumistica della società dello spettacolo, volendo raggiungere determinate mete che sono tutte pensate e gestite da uomini, io credo sia un forte limite. Poi vado oltre. Consapevolmente dico anche che molti maestri della nostra cultura di donne e di uomini sono quasi tutti maschi, quindi il pensiero che ha creato la società in cui oggi viviamo è maschile, non voglio dire solo patriarcale, ma maschile sì. Allora la donna è fragile, nel senso che non ha mai un pensiero che le corrisponda fino in fondo. Studiando la filosofia occidentale vediamo che il pensiero occidentale è nato in corpo di maschio, in un uomo cresciuto nella cultura occidentale maschile, non dico per questo automaticamente cattivo e sbagliato, però comunque maschile, anche il migliore ha sempre la sua mentalità che è diversa da quella femminile. Gandhi stesso, alla fine della sua vita, si è pentito di come aveva trattato la moglie, essendo un uomo onesto. Noi donne cresciamo, andiamo a scuola studiando le cose pensate dai maschi, il lavoro organizzato dai maschi, perché le donne non hanno mai governato in migliaia di anni, le donne non hanno mai determinato nulla, nè in bene, nè in male. Di sicuro non sono state loro ad intraprendere le guerre, non le hanno decise, nè combattute, non si sono massacrate. Alcuni citano il mito delle Amazzoni (un mito!), parlando di migliaia di anni di carneficine effettuate storicamente dagli uomini. La donna finora è stata nonviolenta, mettiamola a governare sul serio e vediamo se farà guerre, per ora non è successo, questo è un dato storico, indiscutibile e inoppugnabile. Mediamente le donne sono pacifiche, dappertutto. Poi si dice “quella ha ucciso il figlio”, ma per una che lo ha ucciso ce ne sono tante che non lo hanno fatto, e li accudiscono ogni giorno, anche se i figli possono essere tremendi. È centrale per le donne costruire o ritrovare un proprio pensiero o rivedersi nel pensiero di altre donne, perché esiste anche ormai una storia delle donne, una linea del pensiero della differenza, ormai c’è molto materiale in cui ritrovarsi. E chiudo questa parte aggiungendo che io non sono mai stata per il femminismo separazionista, io credo che oggi lo sforzo più grande lo debbano fare gli uomini, le donne hanno già fatto quello che potevano. Mandano avanti lavoro, figli, casa e tutto il resto. Sono gli uomini che devono smettere di essere violenti. Quindi bisogna iniziare a lavorare sugli uomini che si hanno vicino, non possono essere lasciati a se stessi, viviamo insieme in questo sistema che è nefasto per entrambi, e penso che le donne possano migliorare le cose, ma comunque insieme agli uomini.
- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: Tra le maestre donne, chi potrebbe ricordarci?
- Elena Liotta: Sicuramente Vandana Shiva è un grande personaggio. Quando avevo sedici anni lessi un libro trovato in casa, Il secondo sesso, di Simone de Beauvoir, la prima riflessione femminista di una scrittrice, compagna di Sartre. Quando lo prestai ad una mia compagna di scuola suscitò un forte scandalo nella scuola, perché i genitori che non conoscevano la scrittrice, non sapendo che era un libro di filosofia, leggendo il titolo, pensarono che fosse un libro di pornografia. Dovette andare mia madre per sostenermi, parlo del ’66. Poi ho detto già di Vimala Thakar.
Considerando tutto il filone femminista - ecofemminista - oggi sono molto vicina a Vandana Shiva, e per tutte le scelte che ho fatto rispetto alla decrescita, localismo, ambiente e nuovi stili di vita, concordo appieno con la sua linea e con tutte le altre donne che si muovono su quella scia. Rimane comunque fondamentale l’esperienza in prima persona, i libri ci possono ispirare, ci aiutano, ci danno qualche dritta, qualche istruzione, che però dobbiamo mettere in pratica nella nostra vita. Queste cose stanno tutte insieme: la nonviolenza ci aiuta nei confronti dell’ambiente, nel relazionarci con la nostra comunità e con il mondo, ci aiuta ad avere uno stile di vita più solidale, di condivisione. Stare insieme e fare le cose insieme.
Credo che non debba essere tutto diviso, come nelle famiglie in cui ci sono 3, 4 televisori, ciascuno il suo, un telefono per ogni piano, per poterlo avere a portata di mano, uno spreco. E un guadagno per il sistema.
I rifiuti che accumuliamo sono qualcosa di allucinante. Non è solo uno spreco economico, ci intasiamo le case e il mondo, di rifiuti che non sappiamo quando mai si smaltiranno.
- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: In questo caso che soluzione si potrebbe adottare, ci vorrebbe una maggiore sensibilizzazione…
- Elena Liotta: C’è chi suggerisce di rendere obbligatorie certe pratiche, perché finché una cosa non è imposta non la si fa. Io vedo tante proposte, che nell’insieme mi sembrano un girare a vuoto allo stesso livello, dato che il problema è tanto più grande. Allora si è tentati di scoraggiarsi e io a quel punto consiglio sempre di tornare a quello che possiamo fare, qui, oggi, domani. Una prima cosa è dare il buon esempio, e poi agire per sensibilizzare. Ho proposto la raccolta differenziata all’asilo nido: i bambini di un anno e mezzo-due hanno imparato a buttare la carta in un cestino e la plastica in un altro e le bricioline in un altro. È proprio a quell’età che imparano a "differenziare le cose" ed è andata benissimo, abbiamo coinvolto i genitori, si è inserita la raccolta dei tappi. Mettere a regime progetti di questo tipo nell’ambito in cui ognuno agisce non è poco. Quando poi un’idea risulta accattivante ecco che gli altri la copiano, o meglio, la riproducono. Accade spesso nelle scuole in cui sono a corto di idee, non appena gliene proponi una, la accettano di buon grado.
L’unico modo per riuscire a convincere una persona che va in direzione completamente opposta, è far notare, constatare la parte negativa che ricade su se stessi e cominciare da lì. Il disordine, per esempio, ha la parte negativa di richiedere tempo per cercare le cose e per rimetterle a posto. Se si trovano! Avere troppe cose significa doverle collocare, mantenere, quanta manutenzione siamo costretti a fare; monetizziamo i problemi, vediamo i costi delle pratiche sbagliate: sempre dolcemente, mai in modo critico, violento. Così le persone capiscono, si stupiscono, vengono dietro al ragionamento dicendo “È vero!”.
- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: Oggi in Italia è particolarmente necessario un impegno in difesa della democrazia, della legalità, della libertà d'informazione e di espressione. Cosa possiamo fare?
- Elena Liotta: A volte è meglio non fare, astenersi, pensare a cosa non fare è già un fare grande, concetto molto taoista. Si agisce su quello che c’è già, che è più facile, sia a livello materiale che per quanto riguarda i pensieri. Siamo troppo pieni di pensieri, troppe complessità, dobbiamo ripulire per riuscire a trovare la via giusta, si è troppo sopraffatti. E smaltire quello che si ha, mettere a posto i pensieri, per partire con un’altra introduzione. Se non ci sono delle fasi di pausa, di smaltimento, anche la testa ad un certo punto non ce la fa più.
- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: È lì che poi scatta il desiderio d’evasione...
- Elena Liotta: Certo, gli spostamenti sul piano materiale... Io chiedo sempre di provare a tenere un diario, fare un minimo di verifica su se stessi, gli inventari... tutto ciò aiuta le persone a rendersi conto del punto in cui si trovano, senza moralismo, per poter alleggerirsi. La sensazione che si ricava solo facendo spazio è di benessere, eppure non hai aggiunto nulla, anzi hai tolto. È importante donare quello di cui non si ha bisogno ad altri. Rivalutare le pratiche dello scambio e del baratto.
- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: Che opinione si è fatta dell'attività di accostamento alla nonviolenza e di costruzione di uno spazio di informazione nonviolenta che stiamo conducendo a Viterbo presso il centro sociale “Valle Faul”?
- Elena Liotta: Io trovo la vostra realtà molto positiva. All’Arci, dove vado spesso, fanno tante iniziative interessanti. So che molti non la pensano così, ma trovo personalmente che Viterbo sia una città attraente perché non è tutta sistemata come certe città dell’Italia centrale che sembrano quasi finte, tutte ristrutturate allo stesso modo. A me piace la città vissuta, anche con un vicolo sporco, un sampietrino sollevato, perché la vita è così. Le città ricostruite per i turisti, come i casali diventati agriturismi omologati (quando mai hanno avuto le piscine!) mi sembrano un tradimento. Certe cose si possono migliorare, certo, ma rispettando davvero la storia e l’uso originario se devono essere patrimonio culturale e artistico. Il resto si può anche demolire, perché no, e rifare con criteri davvero nuovi, soprattutto sul piano delle risorse energetiche. Le città sono innanzitutto dei loro abitanti. L’importanza che si dà all’apparenza, anche in questo caso riflette la visione del sistema sociale ed economico: produrre involucri attraenti, non importa cosa c’è sotto, anzi meglio se che sia vuoto a perdere.
- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: Alla fine di aprile è scomparso Alfio Pannega, figura storica della Viterbo popolare, che qualche mese fa aveva presentato il suo libro di poesie Allora ero giovane pure io al centro sociale “Valle Faul” di Viterbo. In quell'occasione era presente anche lei e ha potuto conoscerlo. Alfio è stato uno dei partecipanti agli incontri del nostro collettivo redazionale. Che impressione le aveva fatto?
- Elena Liotta: Sono venuta a conoscenza della sua storia tramite miei amici di Viterbo che mi mostrarono delle foto, lessi delle cose e mi raccontarono la sua storia. Sono stata presente appunto alla presentazione del libro di poesie di Alfio, Allora ero giovane pure io, lui era molto felice e mi autografò anche il libro. L’ho trovato fin dall’inizio una persona intensa, che è riuscita a mantenere nel corso di una vita, fino a 85 anni, una vitalità per la città, per la socialità, le amicizie, il luogo in cui ha vissuto, che è rara. La cosa che mi è dispiaciuta è che alla fine la casa non gli è mai arrivata.
- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: Proprio il giorno in cui è morto si chiudeva la raccolta di fondi per l’acquisto della casa...
- Elena Liotta: Figure di questo tipo fanno pensare che è possibile, senza mitizzare, vivere in una comunità ed esserne in parte riconosciuto, rimanendo fedele a te stesso nei tuoi passaggi diversi, nelle diverse età, guadagnando un’autorevolezza che nasce da come sei: citi la Divina Commedia, scrivi, sei poeta a modo tuo. Racconti il tuo vivere e il tuo essere in un luogo, e questo luogo ti accoglie e ti riconosce. Finché ci sono persone così c’è speranza.
- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: A Viterbo anche chi non lo conosceva, lo conosceva...
- Elena Liotta: Sì, come fosse un pò un’anima della città, che non è quella affaristica degli aeroporti, nè quella politica dei compromessi.
- Marco Graziotti, Marta Mureddu, Paola Pisterzi: Un'ultima domanda: lei è nata a Buenos Aires, come vive il rapporto con la sua terra natale?
- Elena Liotta: Non ci sono mai tornata, almeno finora, e vivo questo passato lontano con molta intensità da sempre. Per esempio da poco ho ripreso a parlare spagnolo e ascoltare musica latina e tango senza commuovermi. Per molto tempo è stato tutto dentro custodito quasi segretamente. Ho scritto poesie, brani di vario genere, nel mio libro Su anima e terra dico che ormai tutto è diventato come una poesia, un dipinto, interiorizzata questa terra che oscuramente mi manca sempre, come originaria. Una nostalgia sottile e profonda. Ho scelto di non tornare pur potendolo fare. I ritorni sono difficili, la paura della delusione, della perdita definitiva, è sempre in agguato. Come gli amori del passato o quelli impossibili non è rivedendo, toccando di nuovo qualcosa che nel frattempo è irrimediabilmente cambiato, che si ricostruisce la continuità. La migrazione porta sempre questa ferita dentro, lo strappo c’è stato ed è indimenticabile, non si è mai unificati se non dalla cicatrice. Vivo pienamente nella mia nuova terra, la mia casa reale è qui, ma continua ad esistere questa dimensione di mancanza e nostalgia che non ha più a che fare con le terre e le città, e che alimenta la mia vita interiore, quella dell’anima, nella quale trova finalmente pace.
Elena Liotta, nata a Buenos Aires il 25 settembre 1950, risiede a Orvieto, in Umbria; è psicoterapeuta e psicologa analista, membro dell'Ordine degli Psicologi dell'Umbria, membro dell'Apa (American Psychological Association), socia fondatrice del Pari Center for New Learning; oltre all'attività psicoterapica, svolta prevalentemente con pazienti adulti, in setting individuale, di coppia e di gruppo, ha svolto e svolge altre attività culturali e organizzative sempre nel campo della psicologia e della psicoanalisi; tra le sue esperienze didattiche: professoressa di Psicologia presso la "American University of Rome"; docente in corsi di formazione, e coordinatrice-organizzatrice di corsi di formazione a carattere psicologico, per servizi pubblici e istituzioni pubbliche e private; didatta presso l'Aipa, società analitica accreditata come scuola di specializzazione post-laurea, per la formazione in psicoterapia e per la formazione di psicologi analisti; tra le altre esperienze parallele alla professione psicoterapica e didattica: attualmente svolge il ruolo di Coordinatrice psicopedagogica e consulente dei servizi sociali per il Comune di Orvieto, e di Coordinatrice tecnico-organizzativa di ambito territoriale per la Regione Umbria nell'Ambito n. 12 di Orvieto (dodici Comuni), per la ex- Legge 285, sul sostegno all'infanzia e adolescenza e alle famiglie, occupandosi anche della formazione e monitoraggio dei nuovi servizi; è stata assessore alle politiche sociali presso il Comune di Orvieto; dopo la prima laurea ha anche lavorato per alcuni anni in campo editoriale, redazionale e bibliografico-biblioteconomico (per "L'Espresso", "Reporter", Treccani, Istituti di ricerca e biblioteche). Autrice anche di molti saggi apparsi in riviste specializzate e in volumi collettanei, tra le opere di Elena Liotta segnaliamo particolarmente Educare al Sè, Edizioni Scientifiche Magi, Roma 2001; Le solitudini nella società globale, La Piccola Editrice, Celleno (Vt) 2003; con L. Dottarelli e L. Sebastiani, Le ragioni della speranza in tempi di caos, La Piccola Editrice, Celleno (Vt) 2004; Su Anima e Terra. Il valore psichico del luogo, Edizioni Scientifiche Magi, Roma 2005; La maschera trasparente, La Piccola Editrice, Celleno (Vt) 2006; A modo mio. Donne tra creatività e potere, Magi, Roma 2007