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Nonviolenza: questa rivoluzione copernicana

Tanto si e' scritto e si continua a scrivere sulla teoria e l'esperienza della nonviolenza, e sul suo intreccio col pacifismo. Mi limitero' a poche riflessioni sull'oggi.
Vorrei che entrambi i concetti mantenessero il nucleo originario nella visione delle giovani e future generazioni. Allora, partiamo dalla radice comune di  "violare" e "violenza". I due termini risalgono alla vis latina, quella forza che anche nel quadro del riconoscimento in progress dei diritti civili, sociali, e dei diritti umani, non ha mai cessato di farla da padrona. Osserviamo che  non sempre la sfera dei diritti viene violata con azioni brutali comunemente definite "violente", come non  sempre azioni definite "violente" sono prive di ragioni a loro favore.

Dove mettere i paletti? Proviamo a stabilire che violenta e' qualsiasi azione non soltanto esteriormente connotabile come brutale, aggressiva, crudele, ma ogni atto comunque lesivo della  liberta', della dignita' della persona, di una comunita', di un popolo.

Nonviolenza: di questa rivoluzione copernicana del secolo scorso si ha l'impressione che i giovani di oggi non possano ben comprendere tutta la portata, cosa ha voluto dire uscire dalla prospettiva della tragedia delle guerre, della sopraffazione, dell'odio razziale, per avviare la costruzione di inedite prospettive di pace in cui la difesa delle rispettive posizioni doveva avvenire in un confronto democratico, razionale, al di fuori di ogni scontro armato, col protagonismo dei popoli oppressi, l'emersione di soggetti  costretti da sempre a subire. Gli esempi di Gandhi, Capitini, le grandi  affermazioni di principi, il riconoscimento dei diritti umani da parte di organismi internazionali...

Ma la nonviolenza in cammino divenuta, si', patrimonio ideale, alimento per progetti di pace e di emancipazione - benche' negata nei fatti dalle agende politiche delle grandi potenze - incontra oggi nuovi, forse imprevedibili agguati.

Uno di questi era annidato nel concetto stesso di "non violenza", in una sorta di lectio facilior, di interpretazione volgare del suo senso.

Il rifiuto della violenza, frainteso come rifiuto del conflitto, come annebbiamento dei confini tra una posizione e l'altra, delle ragioni che hanno determinato scelte diverse, nel presente come nel passato, ha certamente contribuito allo stravolgimento del suo valore in questo clima "bipartisan" nel quale siamo oggi immersi. Il revisionismo storico in cui vengono passati al setaccio personaggi, fatti, imprese, rivoluzioni, nella foga di riabilitare ragioni fin qui "sottovalutate" o "misconosciute", o "a torto denigrate", ha alla sua base la condanna di "violenze" che avrebbero fin qui determinato un certo corso dell'analisi storica.

Oggi, in nome della "non violenza", si puo' ben compiere un cammino a ritroso e porre tutte le posizioni sullo stesso piano (un esempio  lo abbiamo avuto lo scorso 20 settembre a Roma per il 140esimo anniversario della Breccia di Porta Pia, con una cerimonia presieduta dalla comune presenza dello Stato italiano e del Vaticano, dove ognuno accettava le ragioni dell'altro, con buona pace delle vicende storiche in cui quell'evento ebbe luogo).

Cosi' come all'insegna della "non violenza" si svolgono le tavole rotonde televisive, dove le diverse rappresentanze sono rigorosamente garantite, ma non l'estraneita' della violenza dal dibattito.

Un secondo agguato e' rappresentato dalla manipolazione mediatica delle forme della protesta, ad uso e consumo di chi ci sta governando. Visto che la protesta non deve disturbare il manovratore, la gran parte dei  mezzi di informazione tende a dare spazio a immagini eclatanti che colpiscono l'opinione pubblica per "cio' che mostrano": folkloristiche e pacifiche le immagini di docenti e operai sui tetti o incatenati o raccolti "nell'isola dei cassintegrati", studenti infilati nei sacchi della spazzatura... comunque, rassicuratevi, si tratta di uno spettacolo come tanti altri: tutti "non violenti"... Quando la protesta assume forme piu' dure e decise, sempre ovviamente tenendo conto della visibilita' reclamata dalla comunicazione, allora, ecco che la contestazione viene tacciata di "violenze inaccettabili", quando non addirittura di "terrorismo", col suo accostamento ai momenti piu' drammatici degli anni di piombo... E' cio' che e' accaduto, ad esempio, con la  "Freedom flotilla", nei confronti del tentativo nonviolento di forzare il blocco  inaccettabile di Gaza. Ma la sostanza nonviolenta della lotta per i diritti del popolo palestinese ha vinto e si prepara una "flotilla di pace" ancora piu' autorevole, e partecipata dagli stessi ebrei che non condividono la politica di Israele...

Il cammino della nonviolenza deve tener conto di questi agguati e sconfiggerli via via con consapevolezza e determinazione.

Lo strumento piu' idoneo e', a mio avviso, la tenacia di cui dobbiamo tutti e tutte munirci. La tenacia va oltre la notizia di un giorno comunicata dall'immagine o dalla notizia strumentale dell'evento, la tenacia costruisce un percorso quotidiano da cui la violenza e' bandita ma non sostituita dall'indifferenza delle posizioni, dove il conflitto tra le idee deve continuare a esistere e ad essere chiaramente percepibile anche se il confronto non deve essere cruento ma razionale e soprattutto laico.

Il traguardo e' ancora molto lontano, ma non possiamo rischiare di perderlo di vista, non dobbiamo consentirne l'affossamento in una sterile contrapposizione tra diritti acquisiti e diritti umani. La pratica nonviolenta ha come obiettivo grande - oggi - quello di contribuire alla globalizzazione dei diritti acquisiti.

Fonte: Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo