Pubblichiamo questa riflessione di Maurizia Giavelli, educatrice in comunità per minori a rischio, pubblicato dal Centro di Ricerca della Pace di Viterbo. come suo contributo alla richiesta di intervista proposta da Paolo Arena e Marco Graziotti. Mi chiamo Maurizia Giavelli, sono nata a Cuneo il 29 marzo 1974, attualmente vivo e lavoro nella città di Asti come educatrice professionale presso le politiche sociali - servizio disagio adulti ed handicap del Comune di Asti. Sono diplomata educatrice professionale ed animatrice sociale.
La nonviolenza attiva è un cammino che non solo si sceglie ma anche ti sceglie; così è successo a me: sono partita da una mia predisposizione ai giochi cooperativi per poi arrivare ad approfondire le tematiche ed il cammino della nonviolenza attraverso l'incontro con il Centro studi "Sereno Regis" di Torino.
Il mio incontro con la nonviolenza viene da un interesse specifico e personale ai giochi cooperativi e "contemplativi" che deriva da una infanzia passata con i nonni in campagna nelle Langhe a giocare con gli animali, i fiori e la natura, ed una certa avversione a quei giochi in cui c'è un vinto ed un vincitore, dove il campo di battaglia presenta sempre qualche vittima.
Non credo sia necessario qui approfondire troppo il discorso, ma penso siano queste le motivazioni che mi hanno spinta ad ottobre del 2003 ad iscrivermi al corso organizzato dalla Uisp dal titolo "Il gioco e i conflitti" tenutosi nella ludoteca di Gradara.
Dice Sigrid Loos: "Sono convinta che la competizione in sè non fa male, ma l'uso che se ne fa può essere negativo. La competizione è come il sale nella minestra. Quando ce n'è troppo la minestra è guastata".
Le categorie della possibilità e della progettualità sono quelle che più mi hanno folgorato nell'incontro con l'animazione socioculturale; il sogno di una vera rifondazione culturale e politica in cui i solidali, i comunitari, coloro che sono dotati di senso dell'umorismo, non debbano sentirsi gli eterni profeti di qualcosa che ha da venire, gli eterni esclusi dal ciclo produttivo, ma soggetti attivi in grado di innescare processi di coscientizzazione e partecipazione. Quel sogno mi fa sperare.
Ci vuole una dimensione politica intesa nel senso di partecipazione, uno stare nel presente, "produrre impegno anziché parole. Lavorare, crescere culturalmente, essere in mezzo alla gente con coraggio, con ottimismo, con volontà di comprendere le situazioni dal loro interno, con il senso dei limiti, con fedeltà, senza stanchezze inutili e atteggiamenti viscerali, con realismo corretto da un pizzico di utopia e molto senso dell'umorismo"; dice così don Aldo Ellena, uno dei padri dell'animazione nel primo numero di "Animazione sociale" del 1971. Senza questa dimensione politica, ogni pedagogia rischia l'intimismo, mentre c'è bisogno di senso critico, resistenza, coraggio.
Chi educa alla cooperazione, alla ecocompatibilità, chi si oppone allo spietato dominio della "mors tua vita mea" nel gioco, nelle attività scolastiche, nella vita di tutti i giorni, oggi è sorretto solo dal futuro, dalla tensione verso una società in cui verranno "insegnate" come prioritarie la simpatia, l'empatia o meglio, come dice la Sclavi, l'exotopia e la capacità di gestire i conflitti attraverso la nonviolenza.
Le professioni legate all'educazione, all'istruzione, all'animazione hanno la responsabilità etica, a mio parere, di muoversi in un orizzonte di nonviolenza, di diritti umani, di democrazia, di solidarietà che non incultura l'altro uomo, l'altro gruppo, ma, riconoscendone l'alterità, scopre la necessità di alfabetizzarsi e coscientizzarsi per produrre insieme una vera crescita, ottenuta nella complessità dello stare nella differenza.
Questa può essere una via per sviluppare un autentico dialogo interculturale che faccia maturare nuovi percorsi che portino a lavorare alla ridefinizione dei diritti per tutti ed a scelte di vita più eque.
"L'incontro con Altri rappresenta immediatamente la mia responsabilità per lui: la responsabilità per il prossimo". Riproponendo la centralità dell'altro uomo, riconoscendo l'umanità dell'altro, può iniziare il vero umanesimo, il cui destino sarà di giustizia e di liberazione, e che Levinas chiama pace.
Fondamentale è ricordarsi della lezione di Paulo Freire, secondo cui "Nessuno educa nessuno, nessuno educa se stesso, ma ci si educa insieme". Si tratta di agire in modo da accompagnare l'altro uomo, l'altro gruppo al piacere di crescere senza giudizi nè competizioni sfrenate, prendendo progressivamente coscienza dei propri bisogni e possibilità e dei bisogni e possibilità degli altri, del valore dell'ascolto reciproco, del rispetto delle norme ragionevoli e condivise, vivendo giorno per giorno il senso di responsabilità individuale e collettivo. "L'umanità della coscienza non risiede affatto nei sui poteri, ma nella sua responsabilità... È l'altro che è il primo, e qui la questione della mia coscienza sovrana non è più la prima questione".
In altre parole non posso animare, educare, insegnare se non nel rispetto della persona, se non rendendomi degno di una trasmissione di valori e di una pedagogia di liberazione e di ascolto che si fondi sulla coerenza mezzi-fini e quindi su una nonviolenza praticata, vissuta in ogni momento, prima ancora che affermata o sbandierata.
Una definizione di nonviolenza Si possono distinguere due principali concezioni della nonviolenza. La prima, l'ahimsa, indica letteralmente il non nuocere, il non uccidere, l'innocentia. Essa induce un significato prevalentemente di astensione, di passività, che riguarda la sfera personale, soggettiva. Dal punto di vista morale si richiama al principio del "non commettere" violenza. Ma la nonviolenza gandhiana introduce esplicitamente una seconda concezione, il satyagraha, intesa come "forza della verità", nonviolenza attiva, intervento e lotta contro ogni ingiustizia. Essa si richiama al principio morale del "non omettere", non permettere che altri commettano violenza e ingiustizia.
Come ci ricorda Aldo Capitini, la nonviolenza è una rivoluzione permanente che si basa su un metodo di lotta, il satyagraha, inventato e sperimentato da Gandhi, che è fondamentalmente un principio etico, l'essenza del quale è una tecnica sociale di azione.
L'introduzione del metodo gandhiano in qualsiasi sistema sociale e politico effettuerebbe necessariamente modificazioni di quel sistema, altererebbe l'abituale esercizio del potere e produrrebbe una ridistribuzione e una nuova strutturazione dell'autorità. Esso garantirebbe l'adattamento di un sistema sociale e politico alle richieste dei cittadini e servirebbe come strumento di cambiamento sociale.
Autori e persone da cui non si può prescindere: Mohandas Gandhi, Aldo Capitini, Giogio La Pira, Danilo Dolci, Paulo Freire, Johan Galtung, Edgar Morin, Marinella Sclavi, Ernesto Balducci, don Lorenzo Milani, Nanni Sanlio, Tonio Dell'Olio, don Luigi Ciotti, Angela Dogliotti Marasso, Daniele Novara, Sigrid Loos, don Tonino Bello, padre Angelo Cavagna, Emmanuel Levinas, Immanuel Kant. Ho avuto inoltre modo di conoscere un prete operaio di Ottiglio (poco lontano da Casale Monferrato), don Gino Piccio, che è uno dei pochi casi di applicazione del metodo di Paulo Freire in Italia e che ancora all'età di 90 anni organizza esperienze teorico-pratiche presso la sua Cascina G.
Maurizia Giavelli: Ho iniziato il mio percorso formativo e professionale come educatrice in comunità per minori a rischio nell'anno 1994, ho scoperto poi (anno 2002) l'animazione socioculturale e scelto una formazione specifica sulle tematiche della nonviolenza (anno 2003), dell'educazione alla pace, alla trasformazione nonviolenta dei conflitti e dell'educazione alla legalità ed all'antimafia.
Ho collaborato dal 2004 al 2007 in qualità di consulente e referente alla costitituzione dell'Ufficio per la Pace del Comune di Asti, luogo che aveva come obiettivi la promozione di una cultura di pace e nonviolenza sul territorio astigiano e che utilizzava come strumento fondamentale il lavoro di rete e come interlocutori privilegiati le scuole, le associazioni, i gruppi attivi sul territorio locale ma anche una buon network a livello regionale e nazionale (Tavola della Pace, Coordinamento Nazionale Enti Locali per la Pace).
Ho partecipato e coordinato progetti di formazione rivolti a docenti, a volontari ed a studenti delle scuole superiori in qualità di formatrice sulle tematiche della trasformazione nonviolenta dei conflitti e dell'educazione alla legalità ed antimafia.
L'esperienza dell'Ufficio per la Pace del Comune di Asti L'esperienza dell'Ufficio per la Pace del Comune di Asti si è conclusa nel 2007 per l'avvento di un'amministrazione di centrodestra che non vedeva di buon occhio un ufficio di tal genere.
L'Ufficio per la Pace del Comune di Asti era nato nell'anno 2002 dall'idea di un gruppo di lavoro (il più possibile rappresentativo delle "esperienze di educazione alla pace" astigiane) convocato dall'Assessorato alle Politiche Giovanili per pensare/progettare percorsi di educazione alla pace; fin dal primo incontro il gruppo aveva scelto di "allargare gli orizzonti" del proprio mandato e di ragionare su un possibile progetto di Ufficio per la Pace del Comune di Asti per promuovere, sostenere e dare continuità alle iniziative che nascevano sul territorio astigiano ed avevano la finalità di promuovere la cultura di pace, partecipazione, legalità democratica, solidarietà e gestione nonviolenta dei conflitti. L'Ufficio per la Pace nacque ufficialmente nell'ottobre 2003 e da subito avviò una serie di collaborazioni, supporti e contatti, collaborando anche alla realizzazione di una serie di iniziative e progetti.
Il punto focale dell'Ufficio per la Pace era quello di promuovere una cultura di pace cercando di coinvolgere attivamente tutti: enti locali, realtà organizzate, mondo del volontariato e singoli cittadini.
Il Comune di Asti ha partecipato dal 2003, al "Coordinamento Nazionale Enti Locali per la Pace e i Diritti Umani". Fondato nel 1986, il Coordinamento nazionale degli enti locali per la pace e i diritti umani è un'associazione che riunisce i Comuni, le Province e le Regioni impegnate in Italia a promuovere la pace, i diritti umani, la solidarietà e la cooperazione internazionale. Il Coordinamento è gestito da una Presidenza nazionale, eletta dall'Assemblea, della quale fanno parte 40 Comuni, Province e Regioni. Le sue finalità sono (articolo 4 dello Statuto): promuovere l'impegno costante degli Enti Locali e delle Regioni a favore della pace, della solidarietà e della cooperazione internazionale, valorizzandone le iniziative; promuovere il coordinamento nazionale e lo sviluppo di iniziative comuni, lo scambio di informazioni ed esperienze tra gli Enti Locali e le Regioni impegnati sui diversi problemi della pace; approfondire la ricerca e la riflessione politica e giuridica sui compiti degli Enti Locali per la pace e i diritti umani; realizzare un archivio nazionale dell'attività degli Enti Locali per la pace e i diritti umani; assicurare il collegamento con le principali associazioni europee e internazionali degli Enti Locali, e favorire la partecipazione degli Enti Locali italiani alle Conferenze internazionali; favorire la collaborazione tra gli Enti locali, le Regioni e le associazioni della società civile che operano per la promozione della pace, dello sviluppo e dei diritti umani; promuovere tra la gente e in particolare tra i giovani - lo sviluppo della cultura e di comportamenti di pace e solidarietà.
La scelta di collocare l'Ufficio per la Pace presso il Centro Giovani della città di Asti - Assessorato alle Politiche Giovanili è stata da subito fondamentale: la vicinanza ai giovani e il desiderio di renderli protagonisti dei progetti intrapresi sono infatti stata parte delle priorità di quell'amministrazione e il Centro, accessibile a tutti, dispone di buoni spazi e strumentazioni.
Gli obiettivi prioritari dell'Ufficio per la Pace erano: 1. Porre come prioritari nell'agenda politica dell'ente locale i temi della pace, del disarmo, e di uno sviluppo a misura d'uomo che riconosca la dignità di tutti; 2. Cooperare con la società civile, coinvolgendo il maggior numero di cittadini possibile e costruendo con loro una rete fatta di una pluralità di voci; 3. Favorire un coordinamento tra le iniziative locali; 4. Promuovere l'educazione alla pace valorizzando i percorsi già attivi nelle scuole astigiane di ogni ordine e grado e costruire insieme ai docenti nuovi percorsi declinando l'educazione alla pace in: educazione alla democrazia; educazione ai diritti umani; educazione all'intercultura e alla convivenza; educazione alla solidarietà; educazione allo sviluppo; educazione alla nonviolenza; educazione alla gestione dei conflitti; educazione alla mondialità; educazione alla legalità.
Inoltre: attivare percorsi formativi rivolti a soggetti che hanno responsabilità educative nei confronti della cittadinanza; creare un centro di documentazione specializzato sui temi della cultura di pace, nonviolenza attiva e dello sviluppo sostenibile.
Ritengo che la fine di questa esperienza sia stata di danno per tutta la cittadinanza astigiana ma rilevo che ancora oggi il concetto di pace, di educazione alla pace ed alla cittadinanza attiva, sia visto purtroppo come qualcosa "di parte" e non di trasversale a tutto il mondo politico.
Ad oggi come educatrice applico con i miei utenti un metodo di educazione più rispettoso possibile della diversità e capace di valorizzare le qualità di ciascuno e partecipo attivamente da volontaria nell'associazione Libera fondata da don Ciotti che mi sembra unire con efficacia il metodo nonviolento ad un impegno sociale di lotta a tutte le mafie che mi pare doveroso nel nostro Paese soprattutto di questi tempi.
Inoltre essendo stata molti anni precaria ed avendo subito fino a due anni fa l'impossibilità di progettarmi un futuro come tanta parte dei giovani del nostro paese (se persone che hanno più di trent'anni si possono ancora definire così) ho inziato sei anni fa a condurre battaglie sindacali attraverso il Nidil-Cgil (nuove identità di lavoro): anche questo mi sembra un ottimo modo, se fatto con serietà, impegno e senso di responsabilità, di difendere i diritti dei più deboli in maniera legale e rispettosa degli altri.
Una bibliografia essenziale Testi di carattere generale su nonviolenza e conflitto Mohandas K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino, nuova edizione aggiornata 1996. Un'antologia di scritti gandhiani, con un ampio e lucido saggio introduttivo di Giuliano Pontara, per comprendere i principi della nonviolenza e del metodo satyagraha di trasformazione dei conflitti nel confronto con la realtà storica del colonialismo britannico, dei conflitti interni all'India, della resistenza non armata al nazismo, della nonviolenza nell'età atomica.
Johan Galtung, Gandhi oggi, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1987. Il noto esponente della peace research presenta l'ottica gandhiana del conflitto. Con una introduzione di Giuliano Pontara.
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Giovanni Salio, Il potere della nonviolenza. Dal crollo del muro di Berlino al nuovo disordine mondiale, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 1995. Una lettura in chiave nonviolenta dei conflitti del dopo '89, dell'ordine (o dis-ordine) mondiale che si è delineato; un'analisi del movimento per la pace e delle sue prospettive.
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Emanuele Arielli - Giovanni Scotto, I conflitti. Introduzione a una teoria generale, Bruno Mondadori, Milano 1998. È il più recente e completo saggio che tenta un'unificazione teorica in un campo di studi tipicamente interdisciplinare e affronta il problema delle strategie di trasformazione costruttiva dei conflitti.
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AA.VV., L'animazione socioculturale, Ega, Torino 2001.
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Fonte: Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo
Nonviolenza: una esperienza ad Asti
- Maurizia Giavelli
- Categoria: Approfondimenti sulla nonviolenza
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