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L'amore, senso centrale di tutte le religioni serie, non è solo sentimentale, ma è volontà, decisione e azione costruttive, dedizione agli altri, forza di vincere il male col bene.
Nel nostro tempo, all'epoca dei diritti è seguita l'epoca del calcolo. Negli anni 1940-1970, alle guerre e dittature reagirono riconoscimenti e dichiarazioni dei diritti umani: costituzioni, carte internazionali, movimenti popolari. Almeno i paesi più fortunati e più democratici realizzarono alcune strutture e leggi tese ad attuare i diritti, ad affermare e difendere la dignità umana.

Tra i tanti striscioni visti alla marcia Perugia- Assisi, quello che più efficacemente riassumeva la voce univoca della manifestazione, diceva: "Non tagliare i salari, ma le spese militari". Se dovessimo sintetizzare in una sola parola lo spirito dell'intera marcia, questa parola è certamente "disarmo".

Introduzione

La nonviolenza, come disse Gandhi, è vecchia come le montagne. Questa parola viene usata in tutto il mondo per tradurre concettualmente il termine "ahimsa", una parola in sanscrito che significa letteralmente "non nuocere". La radice del termine è "hins", ovvera la "forma desiderante" di "han" che significa ammazzare, uccidere o danneggiare. Perciò "hins" implica il desiderio di uccidere, ferire o distruggere. La "a" iniziale è una negativa, perciò "ahimsa" ha il più vasto significato di non avere alcun desiderio, intenzione o volontà di uccidere, ferire e distruggere.

Caro Gino,
nella tua replica, così come nell’articolo di Gianmaria, ho trovato affinità e distanze dal mio pensiero. Provo a buttar giù qualche riga, sperando di riuscire a spiegare le mie perplessità soprattutto. La mia non vuole però essere una critica, solo l’esternazione di dubbi che forse appartengono solo a me e semmai facilmente cestinabili. Non è neppure una analisi di tutto quanto avete espresso, ma solo delle riflessioni provocate dagli scritti, dai quali ricavo sensazioni, anche oltre la volontà di chi li ha prodotti. Mi perdonerete per questo!!

È più che giusto dissacrare la "festa della vittoria" del 4 novembre, perché una vittoria militare è lutto e non festa. Ma non basta togliere rispetto a questa celebrazione.
Sul primo punto, basterebbe rileggere Kant, per il quale sarebbe giusto, a guerra finita, dopo la festa del ringraziamento, "decretare un giorno di espiazione per chiedere perdono al Cielo, in nome dello Stato, per la grave colpa della quale il genere umano continua a macchiarsi, rifiutando di  sottomettersi ad una costituzione legale che regoli i rapporti con gli altri popoli, e preferendo usare, fiero della sua indipendenza, il barbaro mezzo della guerra (per mezzo del quale tuttavia non si decide ciò che si cerca, vale a dire il diritto di ogni Stato)".

Ciao Gianmaria,

ho letto la tua mail su "Forum Massa" (pubblicata in calce - ndr) e provo a sviluppare un ragionamento "collettivo". Non voglio certamente entrare nel merito dei contenuti della manifestazione, che tu sai bene che condivido (anche se non c'ero perché ero andato a quella della Funzione Pubblica della CGIL la settimana prima), ma nemmeno parlare e giudicare i fatti accaduti sabato. Vorrei, invece, tentare di riflettere sul tema della violenza e nonviolenza, che tu in qualche modo poni e che, ovviamente, viene escluso dai dibattiti dei media, tutti presi a sviluppare, in maniera ipocrita, il tema della violenza dei manifestanti, non riflettendo sulla violenza in generale del sistema.