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Molti sarebbero i pensieri belli, tante le variopinte testimonianze che si potrebbero valorizzare in occasione della Giornata internazionale della nonviolenza, fissata dall'Onu il 2 ottobre per ricordare la nascita di Gandhi, ispiratore dei movimenti per la pace, la giustizia, la liberta' di tutto il mondo. E invece scelgo di evidenziare che: la nonviolenza e' in cammino! E non si perde d'animo!

Vorrei partecipare alla giornata mondiale dedicata alla nonviolenza da - diciamo cosi' - una posizione "dal basso".

Non sono particolarmente esperta di tematiche geopolitiche dell'area mediorientale, ma da sei anni partecipo alle lotte nonviolente dei paesani dei villaggi palestinesi nella west bank e li conosco uno per uno, giovani e meno giovani, sindaci e contadini, e conosco pure i volontari internazionali che vengono con me a prendersi le pallottole di gomma (e ultimamente anche quelle "vere") ed i lacrimogeni a tutte le manifestazioni che vengono organizzate nei villaggi, a Bi'lin, Al Masara Nil'in, Budrus, Sheik Jarrah e tanti altri. Mi piace dire che sono anche amica dei giovani e meno giovani israeliani che stanno insieme a noi sempre in prima fila a "proteggere" come possono i manifestanti dei villaggi.

La nonviolenza e' un grandissimo ideale di pace, che tuttavia non serve a consolare chi lo conosce in un vagheggiamento solipsistico. Anzi, non lascia tranquillo chi l'ha scoperto e lo incita continuamente a trovare atti concreti di "apertura al tu" (Aldo Capitini), tutti i tu. Questi atti nascono dall'appello del mondo vivente, affetto dal limite e dalla morte, atti dal nucleo doloroso perche' originano da una coscienza appassionata che strappa i veli della realta' e la guarda senza maschere, sopportando il dolore di una visione cosi' pesantemente affetta dal limite.

Come approfondimento alla nonviolenza, pubblichiamo insieme le interviste, realizzate singolarmente da Paolo Arena e Marco Graziotti, della redazione di "Viterbo oltre il muro a Achille Scatamacola, Vergiliano Scorticossi, Giulio Vittorangeli, Giuseppe Moscati, Generoso Canagliozzi e Michele Boato.

Spazio di informazione nonviolenta", un'esperienza nata dagli incontri di formazione nonviolenta che si svolgono settimanalmente a Viterbo.

Questo ciclo di interviste verrà utilizzato nei momenti formativi realizzati dall'Associazione.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Come è avvenuto il suo accostamento alla nonviolenza?

  • Achille Scatamacola: Giocando a scacchi, leggendo Leopardi, militando nella nuova sinistra negli anni Settanta del secolo scorso.

  • Vergiliano Scorticossi: er un sentimento di disgusto e di disprezzo nei confronti della bassezza intrinseca nella violenza e nella menzogna. Ovvero: per un sentimento di rispetto della mia stessa dignita'.

  • Giulio Vittorangeli: È avvenuto agli inizi degli anni ’80. Allora militavo in un piccolo partito di sinistra, estremamente vivace dal punto di vista del dibattito e dell’analisi; oltre che partecipare a quello che possiamo definire l’arcipelago ecopacifista di quegli anni, sintetizzato nello slogan "agire localmente e pensare globalmente".

    C’era l’impegno contro la realizzazione della centrale nucleare a Montalto di Castro, contro l’ampliamento del poligono militare di Monteromano; e poi le grandi questioni internazionali, all’interno della Guerra fredda (conflitto Est-Ovest), rappresentata emblematicamente dall’installazione dei missili Cruise a Comiso e Pershing nell’Occidente e gli SS20 nell’Europa dell'Est.

    Allo stesso tempo le lotte di liberazione nel cosiddetto Terzo Mondo definivano i contorni di un nuovo conflitto tra Nord e Sud. Si pensi alla lotta contro l’apartheid in Sudafrica, quella in Palestina, l’intero Centroamerica sconvolto dalla guerra di bassa intensita', in realtà ad alta intensità per le popolazioni che ferocemente la subivano. Non avrebbe risparmiato niente e nessuno: dall'arcivescovo monsignor Romero assassinato nel 1980 ai gesuiti trucidati nel 1989, sempre in Salvador. Dieci anni aperti però anche dalla speranza della rivoluzione sandinista in Nicaragua e terminati con la sua sconfitta ed involuzione. Evidentemente tutto questo imponeva una seria riflessione sul rapporto tra i mezzi ed il fine: per cui un fine che aveva bisogno di mezzi ingiusti non era un fine giusto.

    Da qui l’incontro con la nonviolenza, in particolare con la figura e gli scritti di Aldo Capitini, a cui sarebbe seguito l’abbonamento ad "Azione nonviolenta", rivista fondata da Capitini stesso. Era la scelta della nonviolenza non come strumento tattico e contingente, ma come strategia irrinunciabile e come vera opzione di principio.

    Allo stesso tempo una nonviolenza "impura", perché sceglieva (sotto la forma della solidarietà internazionale) di schierarsi con gli oppressi, con chi lottava per la propria liberazione, non avendo paura di sporcarsi con la storia, ma avendo sempre la capacità di ripulirsi. Cercava di superare il contrasto tra movimenti di liberazione e movimenti per la pace, tra le culture che li ispiravano: "Come essere solidali con i movimenti del Terzo Mondo che praticano la lotta armata, quando in Europa ci si batte per il disarmo totale?".

  • Giuseppe Moscati: Attraverso la lettura di Aldo Capitini, che mi ha aperto un nuovo orizzonte e - in buona parte - cambiato vita e prospettiva.

  • Generoso Canagliozzi: Da militante politico della sinistra antitotalitaria.

  • Michele Boato: Mi sono avvicinato alla nonviolenza dal 1972, quando, a 25 anni, ho cominciato a capire, durante un convegno nazionale semi-clandestino di Lotta Continua a Rimini, il suicidio umano e culturale della prospettiva della "guerra di popolo", tipo Irlanda del Nord (Ira) o Paesi Baschi (Eta), che veniva proposta con sempre maggior insistenza da una buona parte del gruppo dirigente, forzando in senso insurrezionalista la lettura delle lotte di quegli anni (dai cortei della Fiat del '69, alle barricate delle imprese d’appalto di Marghera del '70, alle lotte dei carcerati e dei soldati, fino ai moti per Reggio Calabria capoluogo). Così Lotta Continua tendeva ad assumere (ma per fortuna si è sciolta prima) i connotati di un partitino leninista, gerarchizzato, con un "servizio d’ordine" numeroso ed aggressivo, tradendo l’ispirazione antiautoritaria e movimentista (Rosa Luxemburg) con cui l’avevamo costruita, anche a Venezia e Marghera, nell’autunno del 1969.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali personalità' della nonviolenza hanno contato di più' per lei, e perché'?

  • Achille Scatamacola: Elenco alcuni nomi, tra molti altri che parimenti mi sono assai cari. Dei defunti: Franco Basaglia, Franco Fortini, Franca Ongaro Basaglia. Dei viventi: Renato Solmi, Silvia Vegetti Finzi, Giuliano Pontara.

  • Vergiliano Scorticossi: Socrate, Spartaco.

  • Giulio Vittorangeli: Come ho già detto, inizialmente dal punto di vista teorico, Aldo Capitini.

    Poi, come compagno di strada, Alexander Langer. Ecopacifista concreto, dallo sguardo cosmopolita, portatore di speranza; una vita militante spesa con passione e con generosita', sempre e comunque dalla parte delle vittime a prescindere dal campo di appartenenza. Oltre che un maestro di inquietudini, non ha mai avuto una relazione pacificata con il mondo e non ha mai trovato pace per se stesso. Resta la sua eredita', come il testo intensamente, profondamente politico, scritto il 21 ottobre 1992, per commentare il suicidio di Gert Bastian e Petra Kelly, leaders dei Verdi tedeschi; e le ultime estreme parole, scritte in tedesco, lasciate ai piedi di un albicocco, il 3 luglio 1995: "Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto".

    Infine, vorrei ricordare almeno tre personalità imprescindibili, anche se non so se si possono iscrivere nell’albero genealogico della nonviolenza: Primo Levi, Virginia Woolf e Rosa Luxemburg. Primo Levi che ha saputo, dopo aver vissuto Auschwitz, non solo raccontarcelo memorabilmente ma interpretarlo con lucidità in tutte le sue connessioni. Virginia Woolf, per aver messo in discussione le categorie fondamentali della cultura patriarcale. Senza una stanza personale da dove poter pensare la vita e trasmettere pubblicamente le loro convinzioni, le donne si sentono estranee nel pensiero. Rosa Luxemburg, per aver saputo spaziare in un tempo ben più ampio di quello disegnato dalla politica del suo tempo e come il mondo era per lei la singolarità di ogni essere umano, oltrepassando la visione gerarchica degli esseri, anche tra animali e umani, senza, per questo, mai cadere nella retorica e nel vago sentimentalismo.

  • Giuseppe Moscati: Dicevo di Capitini, che è stato e rimane per me il primo riferimento, essenzialmente per quel suo argomentare persuaso intorno alla necessità e anzi urgenza di apportare - ciascuno a suo modo, nessuno escluso - la propria "aggiunta" di opposizione alla "insufficienza della realta'" (a più livelli). E per aggiunta dobbiamo intendere quella "facoltà di innovare non solo una parte ma la totalità del mondo umano e naturale, senza togliervi nulla" (S. Paolini Merlo, La teoria della compresenza di Aldo Capitini. Fisionomia logica di una categoria religiosa, in "Itinerari", n. 3/2009, p. 60). Poi, dopo Capitini, anche Danilo Dolci, Tolstoj, Gandhi ovviamente, ma sempre letti e riletti con gli occhi di Capitini. Forse è un limite, pero'... E, se mi permettete, tra gli autori della nonviolenza vorrei inserire anche un Kafka, lucido interprete delle dinamiche vittima-carnefice e a mio avviso suggeritore di un’opposizione nonviolenta molto originale.

  • Generoso Canagliozzi: Forse Vittorio Emanuele Giuntella. Come testimone e come educatore.

  • Michele Boato: Con Alex Langer ho avuto molte occasioni di collaborazione, prima in Lotta Continua, poi nei Cristiani per il Socialismo, infine nei Verdi: l'attenzione agli interlocutori ("amici" o "avversari"), la volontà di costruire ponti tra culture, societa', gruppi diversi, la fiducia nella forza della verita', della denuncia, della proposta chiara anche se apparentemente impossibile: queste alcune delle caratteristiche che fanno di Alex un vero amico della nonviolenza.

    Papa Giovanni, il "contadino" che sbaraglia le piccole macchinazioni della Curia romana dando voce alla base della chiesa dei cinque continenti, convocando il Concilio ecumenico Vaticano II: il colloquio con i carcerati di Roma, le parole chiare della Pacem in Terris, l'azione decisa e insieme diplomatica per impedire che la crisi dei missili a Cuba facessero di Kennedy e Krusciov gli assassini dell'ntera umanita'.

    Il Cristo di "chi è senza peccato scagli la prima pietra", di "è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli", il Cristo di "porgi l'altra guancia" e quello che scaccia i mercanti dal tempio, salvo poi insegnare che per pregare non servono i templi.

    Francesco d'Assisi che mostra con i fatti cosa significhi il messaggio evangelico e disarma anche i più violenti con la parola e la coerenza.

    Don Lorenzo Milani che mi ha aperto il cervello sulla realtà delle guerre, con la sua Lettera ai capellani militari.

    Infine il Gandhi della marcia del sale, della disobbedienza nonviolenta di massa e dell'arcolaio dell'economia locale.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali libri consiglierebbe di leggere a un giovane che si accostasse oggi alla nonviolenza? E quali libri sarebbe opportuno che a tal fine fossero presenti in ogni biblioteca pubblica e scolastica?

  • Achille Scatamacola: A una persona giovane: Mohandas Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza; Giovanni Cacioppo (a cura di), Il messaggio di Aldo Capitini; Vandana Shiva, Il bene comune della terra.

    Nelle biblioteche: Aleksandr Solzenicyn e Varlan Salamov, Hannah Arendt e Primo Levi, Ivan Illich e Tzvetan Todorov.

    Ma si potrebbe anche dire, per l'una e per le altre: i tragici greci, Cervantes, Melville. O anche: Ernst Bloch, Guenther Anders, Hans Jonas. O ancora: Virginia Woolf, Simone Weil, Simone de Beauvoir.

  • Vergiliano Scorticossi: Macbeth, Tartuffe.

  • Giulio Vittorangeli: Esiste una enorme bibliografia ed una enorme produzione editoriale sulla nonviolenza, dalla rivista "Azione nonviolenta" alle Edizioni del Movimento Nonviolento, dai Quaderni di Azione Nonviolenta ai "Quaderni Satyagraha" di Gandhi Edizioni (Pisa); dagli scritti e libri di e su Aldo Capitini, Mohandas K. Gandhi, Danilo Dolci, Martin Luther King, don Lorenzo Milani, Lev Tolstoj, Lanza del Vasto, ecc. Per cui proporrei semplicemente di iniziare a leggere uno qualsiasi degli autori considerati come "classici" della nonviolenza; se non piace, non c’è problema, basta passare ad un altro, di modo che ciascuno - attraverso una propria strada, un proprio percorso letterario - possa costruire una personale bibliografia.

    Quanto ai libri che dovrebbero essere presenti nelle biblioteche, penso che almeno uno per ognuno degli autori e delle personalità fin qui citate sarebbe indispensabile.

  • Giuseppe Moscati: Non posso che citare gli Elementi di un’esperienza religiosa e Religione aperta di Capitini che, contrariamente a quanto possa sembrare, non trattano di religione quanto piuttosto del’apertura religiosa che dovrebbe innescare la co-evoluzione dell’educazione nonviolenta. Ma, tanto più che è stata ristampata una seconda volta a distanza di poco tempo - fatto singolare considerando tema e autore -, di Capitini segnalerei l’antologia Le ragioni della nonviolenza curata da Mario Martini per la Ets di Pisa. Chiedo un’altra licenza: suggerisco di inserire, tra i libri dei grandi nonviolenti, anche i lavori editoriali di tanti artigiani della nonviolenza: penso alla rivista "Azione Nonviolenta", alla stessa "Nonviolenza in cammino"... Quella della nonviolenza, credo, è una tematica di cui discutere senza sosta e quindi ai classici accosterei gli scritti "minori" di chi riesce a tenere vivo il dibattito su di essa.

  • Generoso Canagliozzi: Le opere di Norberto Bobbio, modello di ragionamento equanime; le opere di Primo Levi, testimonianza dell'umana dignita'; le opere di Ernesto Balducci, che fondano la scienza e la sapienza della pace; tutte le autrici del pensiero delle donne e del plurale movimento femminista, che della nonviolenza è la corrente calda; tra le recenti: le opere di Vandana Shiva; le opere di Giuliano Pontara. E vorrei cogliere l'occasione per ricordare ancora Remo Cantoni.

  • Michele Boato: Alex Langer, Il viaggiatore leggero, Sellerio: il meglio dei messaggi di Alex, con frequenti riferimenti a Ivan Illich, Leonardo Sciascia, Adriano Sofri, Petra Kelly.

    Malalai Joya, Finchè avrò voce, Piemme: La lotta di una giovane donna afgana contro i signori della guerra e l'oppressione delle donne afgane. Una visione straordinariamente chiara della criminalità di questa ennesima guerra.

    Bernhard Haering - Valentino Salvoldi, Il Vangelo che ci guarisce. Dialoghi sulla nonviolenza. Edizioni Messaggero di Padova: dialogo-intervista al coraggioso moralista, precursore dei Beati i costruttori di pace.

    Mohandas K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi: antologia degli scritti più importanti con un'ottima introduzione di Giuliano Pontara, forse il miglior divulgatore di Gandhi.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali iniziative nonviolente in corso oggi nel mondo e in Italia le sembrano particolarmente significative e degne di essere sostenute con più' impegno?

  • Achille Scatamacola: Tutte le lotte delle donne per i diritti umani di tutti gli esseri umani e per un mondo vivibile; tutte le iniziative che salvano le vite; ogni umana resistenza all'inumano.

  • Vergiliano Scorticossi: Quelle contro la guerra (e gli eserciti, e le armi). Quelle contro il razzismo (e la schiavitu', ed ogni discriminazione).

  • Giulio Vittorangeli: Penso sicuramente alle lotte in cui sono protagoniste le donne, i popoli indigeni, ed a tutte quelle che praticano forme di resistenza popolare non armata e creativa.

    Guardando poi all’attualità non si può non pensare, ancora una volta, al Medio Oriente ed al Centroamerica.

    Credo che sia di vitale importanza sostenere quelle associazioni ed organizzazioni popolari (la società civile palestinese affiancata dai pacifisti israeliani) che cercano di trovare una via di uscita alla drammatica spirale di odio e di violenza tra palestinesi e israeliani. Una violenza fortemente asimmetrica, ma dolorosa per entrambe le parti.

    Poi l’Honduras, con la lotta del Fronte Nazionale di Resistenza Popolare (movimento sociale ampio, eterogeneo e unitario), contro il colpo di Stato che ha rovesciato il governo di Manuel Zelaya.

    In Italia abbiamo i movimenti cosiddetti territoriali: quello contro la Tav, il movimento No dal Molin, contro la base americana di Vicenza, quello contro il Ponte sullo Stretto, ecc.

  • Giuseppe Moscati: Nel mondo vanno sicuramente sottolineate le energie impiegate dai movimenti nonviolenti internazionali, dagli organismi più noti alle associazioni meno in vista; in Italia mi permetto di ricordare il lavoro svolto dall’Associazione Nazionale Amici di Aldo Capitini, di cui sono il segretario (presidente ne è il nipote di Aldo, Luciano Capitini): l’Anaac nel suo piccolo si sforza di far circolare delle idee ri-partendo soprattutto dai giovani. Questo significa che non c’è bisogno di un Eurostar ad alta velocità per veicolare la nonviolenza, ma anche che non guasterebbero gli aiuti a spingere anche i piccoli, carichi carretti nonviolenti.

  • Generoso Canagliozzi: Quelle contro la guerra (e quindi anche contro gli eserciti e le armi), contro la fame (ovvero contro i rapporti sociali ed internazionali di sfruttamento e ingiustizia, e contro la devastazione della biosfera), contro il maschilismo (e qundi contro tutte le mafie), contro il razzismo.

  • Michele Boato: Le moltissime iniziative di donne contro la guerra e le violenze in Afghanistan, in Kossovo-Serbia-Bosnia, in Iran, negli Stati Uniti, in Colombia, Cile e altri stati latinoamericani, in India e Pakistan.

    La lotta No Tav piemontese. Le iniziative antinucleari di GreenPeace in tutto il mondo.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: In quali campi ritiene più' necessario ed urgente un impegno nonviolento?

  • Achille Scatamacola: Contro la guerra. Contro il colpo di stato razzista. Contro il maschilismo.

  • Vergiliano Scorticossi: Sui campi di battaglia, nei campi di detenzione.

  • Giulio Vittorangeli: Considerando che viviamo in un mondo dominato da un solo sistema, il capitalismo patriarcale, militare e violento, è evidente che l’impegno nonviolento deve orientarsi contro la violenza di genere, contro la guerra e la corsa agli armamenti, contro l’ingiustizia ecologica e quella sociale.

  • Giuseppe Moscati: C’è ancora tanto da fare - e subito - per fermare le guerre e al contempo le logiche che dietro ad esse risiedono feroci e indifferenti. Poi non mancano angoli dimenticati della Terra dove bisogna ricominciare da zero per affermare e tutelare i diritti dei più deboli, siano quelli dei bambini costretti al lavoro più nero e triste possibile o quelli delle donne calpestati in vario modo da questo o quell’oppressore.

  • Michele Boato: Sia nella difesa dei diritti umani dove sono più calpestati, sia nella denuncia dell'inutile crudeltà delle guerre, sia anche nell'impedire l'autodistruzione ecologica della specie umana.

    C'è ancora un bel pezzo di mondo che vive in assenza di democrazia, libertà e giustizia: comanda chi ha soldi ed armi.

    C'è un altro pezzo, più esteso (anche nella nostra Italia), dove la democrazia c'è solo di nome, ma comandano bande di violenti (più o meno legalizzate) al soldo di padroni più o meno occulti.

    Il cammino verso la liberta', la giustizia e la democrazia è lentissimo, pieno di soste e brusche retromarcie; non sarà mai terminato e ci sarà sempre qualcuno che vuole sopraffare gli altri.

    L'impegno sociale e nonviolento tende a concentrarsi su questo orizzonte, a partire dalle peggiori situazioni di dittatura, mafia e guerra.

    Ora però al problema della pacifica convivenza si aggiunge quello della pura e semplice sopravvivenza: ogni anno intere popolazioni sono decimate o rischiano la morte per carestie, mancanza d'acqua potabile, epidemie e sempre più frequenti disastri atmosferici.

    Anche se per millenni gran parte della popolazione mondiale è vissuta in condizioni di schiavitù (o servitù della gleba o simili), mai nella storia dell'umanità si è verificata una emergenza sociale e sanitaria così estesa, con la migrazione di milioni di persone all'anno da situazioni di fame e miseria verso luoghi in cui c'è il miraggio della sopravvivenza.

    Questa situazione ha diverse cause: lo sfruttamento di vastissime aree geografiche da parte di alcuni stati o societa', più forti militarmente ed economicamente; un rapidissimo aumento della polazione, specie nelle aree "deboli"; la desertificazione di zone sempre più vaste, provocata sia dai cambiamenti climatici che dalla distruzione delle foreste e dal colonialismo alimentare-monocolturale.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali centri, organizzazioni, campagne segnalerebbe a un giovane che volesse entrare in contatto con la nonviolenza organizzata oggi in Italia?

  • Achille Scatamacola: Il Movimento Nonviolento, il comitato che si oppone al mega-aeroporto di Viterbo e s'impegna per la riduzione del trasporto aereo, le iniziative segnalate da Maria G. Di Rienzo.

  • Vergiliano Scorticossi: Sia lui il centro, cominci con l'aver cura di chi gli sta intorno e del luogo in cui vive.

  • Giulio Vittorangeli: A livello nazionale, tanto per citare i primi che vengono in mente, il Movimento Nonviolento, Mir, Centro Gandhi di Pisa, Emergency, Amnesty International, ecc. Oltre ai movimenti territoriali citati precedentemente, aggiungerei il Centro nuovo modello di sviluppo di Vecchiano (Pisa) e lo stesso Centro di ricerca per la pace di Viterbo. Altrettanto importanti sono quelli "minori" che operano a livello locale: associazioni, movimenti sociali, organizzazioni della cosiddetta società civile. Senza però dimenticare i limiti e le contraddizioni di ciascuno, grandi e piccoli.

    Per fare un esempio, mi ha sorpreso negativamente trovare citata tra queste organizzazioni (in più di una delle precedenti interviste) anche quella che ha ospitato in Italia il cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa, invitato alla conferenza dal titolo: "Oltre la violenza e la poverta'. Proposte di cambiamento per l'America Latina". Era senz’altro la persona meno indicata a parlare di "proposte di cambiamento", avendo legittimato il colpo di stato in Honduras con cui ha avuto brutalmente termine il processo, questo si', di cambiamento avviato dal presidente Manuel Zelaya.

  • Giuseppe Moscati: Sono talmente tanti che si rischia di segnalarne troppo pochi: direi che a partire dal sito del Movimento Nonviolento (www.nonviolenti.org) il giovane (e non solo lui) può accedere a tutta una serie di sollecitazioni e di rimandi utili a farsi una panoramica degli impegni possibili.

  • Generoso Canagliozzi: Il Movimento Nonviolento. E abbonarsi a questo notiziario telematico quotidiano, finchè continuerà ad essere pubblicato.

  • Michele Boato: Casa per la nonviolenza di Verona, Mir di Brescia, Centro Regis di Torino, Casa per la pace di Firenze, Ecoistituto del Veneto di Mestre, Centro di ricerca per la pace di Viterbo.

    Campagne: Acqua bene comune, Non abbiamo bisogno del nucleare, No alle basi Usa in Italia: Aviano, Vicenza, Ghedi e le altre.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Come definirebbe la nonviolenza, e quali sono le sue caratteristiche fondamentali?

  • Achille Scatamacola: La lotta contro la violenza. L'ascolto. La misericordia.

  • Vergiliano Scorticossi: La lotta contro la violenza, la compassione universale.

  • Giulio Vittorangeli: Premesso che non mi convince la visione "assolutista" della nonviolenza, considero la nonviolenza pluridimensionale l’umano ai tempi del disumano. Uno stile di vita ed un metodo per ottenere positivi cambiamenti sociali, senza che questo comporti distruzione, umiliazione, punizione di chi vi si oppone. La nonviolenza attiva è una risorsa a disposizione di tutte le persone e di tutti i popoli per affermare i propri diritti e dunque la propria dignita'. Combattere perciò i meccanismi di oppressione e ingiustizia senza cadere prigionieri della spirale disumanizzante della violenza.

    Detto questo, auspico l’attenzione concreta alle ragioni degli oppressi e considero la nonviolenza un elemento determinante della solidarietà internazionale "tenerezza dei popoli". Mi rendo conto che questo comporta una visione "eretica" della nonviolenza stessa (impura, come detto all’inizio dell’intervista) che forse farà arricciare il naso a molti.

  • Giuseppe Moscati: La definirei come una persuasione ad avere cura che l’alterità (il vicino di casa e il maori lontanissimo) venga realmente rispettata nella sua autonomia. Nel momento in cui questa cura - perdendo la sua creatività costitutiva - mirasse a proteggere l’altro allo scopo di renderlo simile a noi, al nostro clan e alle sue peculiarita', la nonviolenza decade.

  • Generoso Canagliozzi: La nonviolenza è la lotta dell'umanità contro la violenza: ovvero contro ogni aggressione, ogni ingiustizia, ogni oppressione, ogni sofferenza, ogni ignoranza, ogni menzogna.

    La nonviolenza è la ricerca della verità per mezzo della verita': per questo Gandhi la chiama satyagraha: la forza della verita', la verità che rende solidali e quindi liberi.

    La nonviolenza è la coscienza del conflitto necessario e della dialettica incessante.

    Ma innanzitutto la nonviolenza è la lotta qui ed ora contro la violenza che qui ed ora opprimendo un qualunque essere umano opprime anche te, umiliando un qualunque essere umano umilia anche te, sfigurando un qualunque essere umano sfigura anche te.

  • Michele Boato: Lotta per la giustizia e una società sobria, con la forza della verita', la coerenza personale, la solidarietà e il coraggio di non cedere a opportunismi e settarismi.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e femminismo?

  • Achille Scatamacola: Se la nonviolenza non è queste tre cose insieme femminismo, ecologia e lotta per il riconoscimento dei diritti umani di tutti gli esseri umani), non è nulla.

  • Giulio Vittorangeli: Non è facile, dal versante maschile, affrontare un tema come questo. Tra genere maschile e femminile esistono delle differenze, anche abbastanza marcate, nel definire che cosa intendiamo per femminismo e che cosa intendiamo per nonviolenza. Mi sembra, pero', che sia stato definitivamente messo in crisi lo stereotipo che vuole il genere femminile come quello "che dà la vita e la protegge" e il genere maschile come quello "che toglie invece la vita con violenza". Certo, la guerra non è mai stata abitudine femminile (si pensi al binomio guerra-violenza sessuale), e quello che continua a comparire sulla scena storica è un genere maschile, è un individuo mutilato, che lascia gran parte della sua esperienza in consegna al corpo femminile: la vita affettiva, la naturalità del vivere. Una figura maschile predominante, contemporaneamente fragile e feroce. È la debolezza maschile oggi a schiacciare le donne, le affossa perché si continuano ad accettare ruoli di consolazione e di sostegno agli uomini.

    Alla luce di queste brevi considerazioni, mi sembra molto appropriata la definizione che è stata data del femminismo: "Non si tratta di una minoranza oppressa che si organizza su questioni valide ma pur sempre minori: si tratta della maggioranza del genere umano che afferma che ogni problema la riguarda"; e su questo si deve vedere come la scelta nonviolenta possa cancellare gli orrori della violenza e dell’ingiustizia di genere.

  • Giuseppe Moscati: Accennavo prima alla questione della donna oppressa. Se ancora nel 2010 dobbiamo parlare di casi di soprusi e violenze ai danni delle donne nel mondo, allora abbiamo ancora bisogno della forza propulsiva del femminismo, anche come elaborazione teorica e quindi - ancora una volta - come un prendersi cura di qualcosa di essenziale al progresso dell’uomo tutto. Mi viene in mente Simone de Beauvoir che pioneristicamente ha scardinato il dominio colonialista dell’immaginario maschile, senza peraltro tacere della "colpa morale" di quelle donne che hanno contribuito a costruirlo e fortificarlo, quell’immaginario: un grande esempio di coraggio intellettuale.

  • Generoso Canagliozzi: Il femminismo è la nonviolenza in cammino; delle esperienze teoriche e pratiche della nonviolenza quelle del femminismo sono di gran lunga la parte maggiore e migliore. E se posso cogliere l'occasione per fare qui - alla rinfusa, ahimè - l'elenco di nomi che non ho fatto in occasione di una precedente risposta, suggerirei a tutte e tutti di leggere almeno le principali opere di Olympe de Gouges, Mary Wollstonecraft, Rosa Luxemburg, Maria Montessori, Virginia Woolf, Simone Weil, Edith Stein, Etty Hillesum, Simone de Beauvoir, Hannah Arendt, Betty Friedan, Ursula K. Le Guin, Angela Davis, Adrienne Rich, Kate Millet, Shulamith Firestone, Germaine Greer, Juliet Mitchell, Sheila Rowbotham, Rosemary Ruether, Carol Gilligan, Martha C. Nussbaum, Seyla Benhabib, bell hooks, Judith Butler, Luce Irigaray, Julia Kristeva, Maria Zambrano, Marianella Garcia, Luce Fabbri, Fernanda Pivano, Franca Ongaro Basaglia, Silvia Vegetti Finzi, Lidia Menapace, Rossana Rossanda, Luciana Castellina, Laura Boella, Carla Lonzi, Elena Gianini Belotti, Lea Melandri, Luisa Muraro, Adriana Cavarero, Annarosa Buttarelli, Daniela Padoan, Wanda Tommasi, Silvia Zamboni, Assia Djebar, Fatema Mernissi, Anna Politkovskaja, Vandana Shiva, Emilia Ferreiro, Anna Bravo, Giovanna Providenti, Elena Pulcini, Maria G. Di Rienzo. Ed aggiungerei ancora almeno Saffo, Madame de Sevigne', Madame de Lafayette, Madame du Deffand, Jane Austen, le sorelle Bronte, Emily Dickinson, Anna Achmatova, Marina Cvetaeva, Sibilla Aleramo, Sylvia Plath, Martha Robert, Elsa Morante, Ingeborg Bachmann, Christa Wolf, Dacia e Toni Maraini... Ma fermiamoci qui, che l'elenco diventa infinito.

  • Michele Boato: l femminismo è una delle incarnazione della nonviolenza, particolarmente importante non solo nei paesi in cui le donne non godono di alcun diritto, in Asia e in Africa, ma anche in tutto il resto del mondo, Italia compresa.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza ed ecologia?

  • Giulio Vittorangeli: C’è una premessa che mi preme fare, è quella che vede l’ecologia legata all’ingiustizia sociale. Dobbiamo tenere sempre presente che c’è un miliardo di persone che vive al limite della sopravvivenza con appena un dollaro al giorno. E ci sono 2,6 miliardi (il 40% dell’umanita') che vive con meno di due dollari al giorno. Per cui un abitante degli Usa mediamente dispone di una ricchezza centinaia di volte superiore ad un abitante del Congo. Ora, se è vero che la devastazione della natura e l’attuale riscaldamento globale colpiscono tutti i paesi, è altrettanto vero che i ricchi hanno più possibilità di adattarsi a mitigare gli effetti dannosi dei cambiamenti climatici. Pertanto l’ecologia implica una presa di posizione in primo luogo sul conflitto Nord-Sud, capitale e natura.

    Partendo da questo la nonviolenza può dare un contributo determinante, non solo praticando uno stile di vita rispettoso della natura e delle sue risorse, ma nelle analisi e nella ricerca di alternative tra la logica produttivistica e competitiva del grande capitale e la difesa dell’ambiente.

  • Giuseppe Moscati: L’atteggiamento nonviolento non conosce compartimenti stagni. Esso è tale se sa accompagnare alla cura di cui dicevo anche in generale la cura per tutti gli esseri (fino alla formica e oltre): nonviolenza è necessariamente nonviolenza per il cosmo e per il microcosmo.

  • Michele Boato: Ecologia e nonviolenza sono sorelle siamesi: l'una non può vivere senza l'altra.

    Un'ecologia dirigista, che si basa solo su leggi e divieti, non ha alcun futuro: il pianeta (anzi, la specie umana) può avere un futuro solo se un nuovo stile di vita, sobria e solidale, si afferma, con la forza della verita', nelle menti e nei cuori delle popolazioni, "ricche" e "povere".

    Ma anche una visione nonviolenta che si limiti all'antimilitarismo non ha futuro: non basta che cessino le guerre aperte per realizzare una società più giusta e un mondo dove non si debba morire di siccità e di fame.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza, impegno antirazzista e lotta per il riconoscimento dei diritti umani di tutti gli esseri umani?

  • Giulio Vittorangeli: Se restringiamo il campo di analisi all’Italia, la situazione mi sembra veramente disarmante. Non siamo riusciti (non solo come movimento nonviolento) a porre un solo argine al dilagare dei "valori" razzisti, del "mors tua vita mea". C’è stata e c’è una sottovalutazione della questione razzista, che va ben oltre l’azione dell’attuale governo che, non a caso, punta il suo consenso sull’assecondare le viscere più basse dei propri cittadini. Mi sembra che la possibilità di invertire la situazione sia estremamente legata al ruolo che sapranno svolgere gli immigrati stessi nel far valere i propri diritti. Sarà fondamentale la capacità di creare un vasto movimento di migranti e di associazione antirazziste. Questo è il nuovo terreno in cui dovrà misurarsi la nonviolenza.

  • Giuseppe Moscati: La lotta al razzismo come in generale gli sforzi per il riconoscimento dei diritti umani costituiscono delle vere e proprie espressioni della nonviolenza. Quest’ultima è una sorta di vocabolario e come tale ha più voci che non solo la costituiscono, ma la determinano, la contestualizzano, la attualizzano.

  • Michele Boato: Come il femminismo e l'ecologia, anche la lotta per i diritti umani è una incarnazione della nonviolenza, che in una grande parte di aree del pianeta (dal Tibet alla Cecenia, dall'Iran alla Palestina e l'Afghanistan) assume addirittura la massima priorita'. In Italia l'impegno antirazzista assume grande rilevanza in questi anni di sbornia anti-immigrati.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e lotta antimafia?

  • Achille Scatamacola: Nonviolenza è antimafia. Nonviolenza è da sempre la sola valida teoria-prassi delle classi oppresse in lotta. Solo la scelta della nonviolenza garantisce esiti di autentica liberazione alle lotte dei popoli.

  • Vergiliano Scorticossi: Nonviolenza e antimafia sono la stessa cosa. Le due stesse parole si equivalgono in perfetto equilibrio.

  • Giulio Vittorangeli: Penso che la lotta alla mafia non è soltanto una opera di repressione, "ma un movimento culturale e morale che coinvolga tutti", per ricordare le parole di Paolo Borsellino, pronunciate poco prima che fosse assassinato. In questo senso mi sembra che il lavoro culturale svolto da diverse associazioni (come Libera, il Centro di documentazione Peppino Impastato, il Centro Studio Pio La Torre, i ragazzi di "Addio pizzo", di "E adesso ammazzateci tutti", l'Associazione Rita Atria, la Fondazione Antonio Caponetto e di tante altre, altrettanto attive e altrettanto importanti) abbia tutti i connotati di una lotta nonviolenta per la legalità e contro il regime criminale mafioso.

  • Giuseppe Moscati: Vale un pò il discorso appena fatto: pure la lotta alla mafia, o meglio alle mafie, è un’espressione nonviolenta che deve tendere sempre a riconvertire le energie (umane e non) dallo stato alienato a uno stato "liberato". Penso a Libera e a tutte le campagne che ogni volta è capace di ideare e realizzare.

  • Michele Boato: Nonviolenza significa anche democrazia e giustizia: esse sono calpestate, derise, annullate dall'imperversare di bande mafiose, armate e violente, in larghe aree dell'Italia (e non solo: basta pensare all'Abania, alla Moldavia alla Russia).

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e lotte del movimento dei lavoratori e delle classi sociali sfruttate ed oppresse?

  • Giulio Vittorangeli: C’è un paradigma dilagante che descrive le conseguenze del mondo in cui viviamo, ma non analizza le cause. Mi sembra particolarmente evidente nell’attuale conflitto capitale-lavoro. Lo sfruttamento non diminuisce, semmai si estende e torna prepotentemente, anche sotto forma di schiavitu', nei cosiddetti punti alti dello sviluppo. Basta vedere il tentativo, per il momento fallito, della Fiat di introdurre nello stabilimento di Pomigliano d’Arco il meccanismo delle "zone franche", zone industriali dove i salari, i diritti, i tempi di lavoro sono completamente sganciati dalla legislazione e dalla contrattazione nazionale. È il meccanismo già conosciuto delle maquiladoras, presenti in Centroamerica, rilocalizzato però dentro il cosiddetto Primo Mondo. Tutto questo dovrebbe spingere lo stesso movimento nonviolento a pensare ancora più in grande la liberazione di masse di poveri, di oppressi e di emarginati divenute, a tutte le latitudini, più numerose. A cercare nuove forme che permettano di trasformare i rapporti sociali di produzione, in modo da rendere la società a misura dell’essere umano: una società di liberi e uguali.

  • Giuseppe Moscati: Il loro legame per me si chiama socialismo, che definirei come l’anelito a coniugare libertà e socialità (qui torna il Capitini del liberalsocialismo, assieme a Guido Calogero pur nella differenza di accenti) in vista di un mondo migliore. Non un ottimo mondo, ma un mondo oggi migliore di ieri e tuttavia non ancora come domani.

  • Michele Boato: Lo sciopero, a partire dall'Aventino della plebe romana contro i privilegi dei patrizi, è una delle più importanti tecniche nonviolente; forse però i sindacati non ne hanno molta consapevolezza e non è raro, nei picchetti o nelle assemblee operaie, sentire irridere la nonviolenza.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e lotte di liberazione dei popoli oppressi?

  • Vergiliano Scorticossi: Solo in quelle lotte si dà la nonviolenza. Solo la nonviolenza quelle lotte porta alla vittoria.

  • Giulio Vittorangeli: Come prima cosa dobbiamo riconoscere che la relazione tra strategia liberatrice armata e nonviolenza è stata, ed e', incentrata sulla diffidenza e la polemica. Per i movimenti di liberazione, il discorso nonviolento copre la violenza del sistema e, pertanto, non reagisce in modo efficace contro di essa. La critica è verso chi considerava normale la violenza dei più forti e demonizza la violenza dei più deboli. In effetti la nonviolenza, definita essenzialmente come alternativa alla lotta armata, si presenta come contrapposta alla cultura della liberazione, finendo con il diventare un'arma ideologica della conservazione che occulta la violenza del sistema in cui viviamo. Conseguentemente la prospettiva nonviolenta, dissociata dalla cultura della liberazione, rischia di eclissare il suo obiettivo di trasformazione globale e strutturale, e di rimanere prigioniera del solo orizzonte metafisico e aconflittuale. Per i nonviolenti, i movimenti di liberazione oppongono alla violenza vigente un’altra forma di violenza e di conseguenza non riescono a cambiare profondamente le cose perché mezzi violenti possono solo generare nuove situazioni di violenza. In effetti, separata dalla prospettiva nonviolenta, la cultura della liberazione rischia di perdere di vista il carattere alternativo del suo progetto di liberazione, che appunto può essere definito solo in antitesi al sistema imperniato sulla violenza. Una contrapposizione radicale che, paralizzando entrambe, ha impoverito il loro impatto trasformatore della storia. È possibile, invece della sterile contrapposizione, un incontro tra le due culture per spezzare il dominio dell'ingiustizia e della violenza nella storia? In questo caso la cultura della nonviolenza non è solo strategica, ma un'alternativa di cultura e di civilta', che inevitabilmente si trova a doversi schierare nel conflitto Nord-Sud, imperi-popoli. Una prospettiva nonviolenta elaborata perciò dal punto di vista dei popoli oppressi che prendono coscienza del loro diritto non solo alla vita, ma alla libertà ed all'iniziativa storica. L'esperienza del Nicaragua sandinista, con la scelta rivoluzionaria dei cristiani, ha rappresentato un tentativo assai significativo di articolare la cultura della liberazione e della nonviolenza. "Considerare l’opzione per gli oppressi come anima della rivoluzione recava con sè anche una opzione strategica. Cioè che se la rivoluzione aveva dovuto ricorrere alle armi per spezzare la violenza schiacciante della dittatura, l’asse della sua strategia non era la forza delle armi, bensì la forza del diritto, la giustizia, la solidarieta', l’amore. Solo una strategia nonviolenta, proclamava il sandinismo, poteva fondare una società nonviolenta e contribuire alla gestazione di una civiltà alternativa (...) Essa infine crea le condizioni di quella confluenza tra marxismo e cristianesimo, che è una delle caratteristiche più innovative di quella rivoluzione" (Giulio Girardi). Sull'esperienza sandinista Girardi ha scritto pagine interessantissime ed umanamente commoventi; cito, per tutti, il libro Sandinismo, marxismo, cristianesimo: la confluenza, Borla, Roma 1986. Un'ultima considerazione: in perfetta buona fede, il termine nonviolenza è stato genericamente schiacciato sulla questione dell’uso o non uso delle armi, con risultati molto riduttivi, finendo con il perdere di vista la pari dignità tra mezzi e fini. Se analizziamo le cosiddette "rivoluzioni colorate", quelle che, a partire dal modello applicato in Serbia nel 1999 dal movimento Otpor per scalzare il regime di Milosevic, sono state esportate in altri paesi dell’ex-Urss; possiamo affermare che sono rivoluzioni nonviolente nei mezzi, ma assai discutibili per quanto riguarda i fini, che si riducono ad essere un generico ingresso nelle democrazie capitaliste, spesso all’insegna di uno sfrenato neoliberismo. Si evita la violenza diretta della lotta armata, ma si cade "dalla padella nella brace" di una violenza strutturale persino peggiore di quella dei regimi precedenti. Se poi aggiungiamo che queste rivoluzioni sono state finanziate e sostenute da varie fondazioni statunitensi, ed agenzie collegate più o meno direttamente con la Cia, allora possiamo parlare (non tanto provocatoriamente) di "nonviolenza della Cia". Mi sembra che anche su questo manchi una seria riflessione da parte del movimento nonviolento; l’unica avanzata è stata da parte di Nanni Salio nei "Quaderni Satyagraha".

  • Giuseppe Moscati: Questo accostamento mi fa pensare alla teologia della liberazione: è significativo che ciò che avrebbe dovuto fare, laicamente, la politica in quanto condivisione socio-politica di un di più di democrazia lo hanno fatto, subendo strali anche dalle gerarchie ecclesiastiche, i teologi della liberazione.

  • Michele Boato: Troppe volte viene teorizzata ed utilizzata la violenza, con giustificazioni che si rivelano sempre più inconsistenti.

    Questo ha indebolito per decenni la giusta lotta del popolo Palestinese, di quello Basco, della popolazione dell'Irlanda del nord, del Messsico (Chiapas), di Kossovo e Bosnia. Gli esempi delle Filippine di Cory Aquino, della Polonia di Solidarnosc, dell'India di Gandhi, dei neri di Martin Luther King nel Sud degli Usa, della caduta del muro di Berlino mostrano la strada. Quella che perseguono Malalai Joya in Afganistan, Aung San Suu Kyi in Birmania, il Dalai Lama del Tibet, che ha perseguito Rugova in Kossovo.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e pacifismo?

  • Achille Scatamacola: La nonviolenza è l'azione per la pace con mezzi di pace; la nonviolenza è l'antimilitarismo antimilitarista (quindi antigerarchico, antidogmatico ed antiautoritario); la nonviolenza è il disarmo in tutte le strutture e in tutte le relazioni.

  • Giulio Vittorangeli: Provo ad articolare la risposta sintetizzando la domanda in "quali rapporti esistono tra nonviolenza e movimento pacifista". Nei "Comitati per la pace" degli anni ’80 si era avviata una prima e feconda riflessione su temi quali: nonviolenza, pacifismo, antimilitarismo, disarmo, riconversione delle fabbriche che producevano armi, ecc. Riflessione non facile, ma estremamente interessante; purtroppo andata dispersa, anche nella memoria storica, con l’esaurirsi di quella prima spinta verso la pace e contro la guerra. È evidente che, oggi, un primo rapporto tra queste tematiche (per quanto indispensabile) può avvenire ad un livello teorico, di analisi, chiarendo anzitutto che cosa si identifica con questi termini. Evitando l’inconveniente di usare spesso le medesime parole, per indicare in realtà concezioni e valori diversi.

  • Giuseppe Moscati: Rimango sempre più affezionato al primo termine: più che di una pacificazione, dovremmo andare in cerca di una liberazione nonviolenta. Detto questo, sarei ingiusto se non attribuissi il giusto valore a quanto i pacifisti di ogni tempo e di ogni luogo hanno fatto e continuano a fare.

  • Michele Boato: La nonviolenza comprende anche il vero pacifismo, quello che lotta per la pace senza doppi fini e senza compromessi. Ma non si esaurisce in esso: c'è una visione nonviolenta dell'economia ((il microcredito di Muhammad Yunus ne è un esempio), della scuola (Maria Montessori ne è sta una maestra), della medicina ecc.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quale rapporto tra nonviolenza e antimilitarismo?

  • Giuseppe Moscati: I primi passi la nonviolenza non può che compierli in chiave antimilitarista. La milizia è un’idea di aggressione all’altro come straniero, dissidente, altro-da-noi: aggressione e paura insieme.

  • Michele Boato: Il nonviolento è assolutamente antimilitarista, ma non tutti gli antimilitaristi sono nonviolenti: in certi cortei contro la guerra dell'Irak mi vergognavo di tanti slogan truculenti gridati a squarciagola e ossessivamente.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e disarmo?

  • Giuseppe Moscati: Stesso discorso: la volontà di disarmo internazionale è la grande opportunità che l’umanità ha di riformarsi in senso nonviolento. Non si tratta di attuare una palingenesi, che sarebbe cieca e a sua volta oppressiva, ma di costruire un pensiero condiviso e creativo di alternativa possibile.

  • Michele Boato: Il Costarica dimostra, nonostante si trovi in una zona piena di conflitti, che il disarmo, non solo nucleare, ma proprio l'abolizione dell'esercito non è una pia illusione.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e diritto alla salute e all'assistenza?

  • Vergiliano Scorticossi: La lezione di Giulio A. Maccacaro e di Franco Basaglia.

  • Giuseppe Moscati: Il diritto alla salute è come il diritto a respirare e poi tutti noi abbiamo un gran bisogno di essere assistiti. Non tanto da una Provvidenza quanto piuttosto da un ideare e fare comuni nonviolenti.

  • Michele Boato: Anche nella difesa della salute valgono i principi nonviolenti della verita', giustizia, minima sofferenza. Quindi rapporti corretti tra malati e medici o sanitari, decisioni chiare e condivise, prevenzione prima che cura, accesso ugualitario alle cure, cure naturali e reversibili.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e psicoterapie?

  • Giulio Vittorangeli: Su questo mi sembra che, ancora oggi, l’esperienza di Basaglia resti la più avanzata. La consapevolezza che un altro modo di curare è possibile; che non c’è più il malato di mente "pericoloso per sè e per gli altri e di pubblico scandalo", ma una persona bisognosa di cure. Un individuo che, pur vivendo un profondo disagio, ha in sè risorse per vivere, amare, che ha capacità di scelta ed è comunque soggetto di diritto. Antitotalitarismo, antiautoritarismo, l’affermazione dei diritti civili per tutti, non sono ideologia ma conquiste dell’umano; e su questo la nonviolenza può apportare un contributo importante. Considerando che, se In Italia i manicomi sono stati chiusi, la "cultura" manicomiale resta "aperta". Infine credo che sia importante ricordare anche la lezione di Marco Lombardo Radice, in particolare per la psicoterapia dei bambini.

  • Giuseppe Moscati: Le seconde possono essere intese come esercitazioni sul sè affinché si apra all’altro-da-se': forse può sembrare un concetto troppo filosofico, ma nell’atto pratico si tratta pur sempre di una strategia operativa nonviolenta di "cura per".

  • Michele Boato: Ancora più importanti sono i principi nonviolenti nella cura della mente, dove nei secoli si sono viste le peggiori pratiche, dal ripudio all'esorcismo, dalla caccia alle streghe agli elettrochoc, dall'imprigionamento alle sevizie e violenze quotidiane. La lotta di Franco Basaglia e di tanti suoi amici e collaboratori è stata una delle più importanti esperienze nonviolente a livello mondiale: va difesa e sviluppata perche', a trenta anni dalla sua morte, la scienza ufficiale spinge per tornare alle pratiche violente da lui fatte abolire.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e informazione?

  • Giulio Vittorangeli: Un rapporto non facile, considerando lo stato e la qualità della stampa italiana. È qualcosa che va ben oltre la cosiddetta legge bavaglio. Troppo spesso l’informazione ha scelto da sola di abdicare alla propria liberta'. Lo ha fatto, esemplarmente, tanto per fare un esempio, sulla questione immigrazione. Dove i nostri media hanno colpevolmente voluto narrare una realtà ingannevole, quella che equiparava l’immigrazione alla criminalita'. Credo, invece, che la nonviolenza possa e debba impegnarsi attraverso i canali di quella che possiamo considerare una informazione alternativa, ad iniziare da Peacelink.

  • Giuseppe Moscati: Questo è un punto decisivo e il suo essere cruciale è tutto nell’esigenza - democratica - di essere consapevoli per poter agire responsabilmente. Qui ricorderei Kant, il Kant socratico e anche il Kant che inchioda gli individui all’obbligo di vedere l’altro non soltanto come mezzo, ma anche come fine. Da Kant, su questa linea e passando per Mazzini (e Gandhi), arriviamo ancora a Capitini.

  • Michele Boato: Se nonviolenza è la forza della verita', è fondamentale poter comunicare la denuncie e proposte ai soggetti che debbono liberarsi dalle catene. I mezzi di comunicazione di massa sono importanti, ma spesso non sono liberi di dire la verita', dipendono da chi deve mantenere la popolazione nell'ignoranza per poter fare meglio affari non sempre puliti. Quindi vanno usati senza però farne l'unico strumento di comunicazione.

  • La nonviolenza crea suoi canali diretti, le reti di persone, le riviste, le radio libere, i siti internet, le mailing list. Questi canali vanno gestiti con molta cura, devono essare il più possibili aperti alla partecipazione popolare, mantenendo però stretta vigilanza su possibili abusi e strumentalizzazioni di persone o gruppi ostili alla nonviolenza.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione filosofica?

  • Vergiliano Scorticossi: I ragionamenti rigorizzati da Emmanuel Levinas e da Hans Jonas. Le pratiche del femminismo come inveramento.

  • Giuseppe Moscati: Tanto, davvero tanto: la cifra di questo apporto è proprio nell’idea di apertura/aperture, di cui ha particolarmente bisogno il pensiero filosofico occidentale. Dall’in-se'-e-per-sè ci si deve proiettare verso la capitiniana "compresenza" (non a caso, insieme a Il soggetto della storia, La compresenza dei morti e dei viventi è la più filosofica delle opere di Capitini).

  • Generoso Canagliozzi: Prendere sul serio le conseguenze pratiche delle catene di pensieri. Sapersi fallibili. Avere ugualmente a cuore la vita, la dignità e i diritti propri ed altrui.

    Inoltre, dal mio modestissimo punto di vista, che non ci sono teorie autosufficienti, e non ci sono fondamenti ultimi, se non in forma di criteri orientativi. Dovessi indicare alcuni pensatori che ho trovato in questa prospettiva particolarmente suggestivi, direi Socrate, Lucrezio, il Gesù di Nazareth comunicatoci dai Vangeli, Erasmo da Rotterdam, Denis Diderot, Giacomo Leopardi, Hannah Arendt. Come credo sia evidente, il mio punto di vista su alcuni punti sostanziali forse (ma sottolineo: forse) differisce molto da quelli di Gandhi, di King, di Lanza del Vasto, di altre autorevoli figure della tradizione nonviolenta.

  • Michele Boato: C'è un filone nonviolento, nella storia della filosofia, che collega Pitagora a Socrate, Seneca, Cristo, Agostino, Hildegarda di Bingen, per arrivare fino a Kant, Schopenhauer, Tolstoi, Hannah Arendt, Teilhard de Chardin.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione delle e sulle religioni?

  • Vergiliano Scorticossi: Critica dell'alienazione ed apertura reciproca. E l'incontro tra religione e visione meramente immanente del mondo sul piano dei valori liberamente e responsabilmente assunti e condivisi, con diversi linguaggi declinati.

  • Giulio Vittorangeli: Oggi, assistiamo all’uso politico della religione come uno strumento di terrore da un lato, o di disciplina e di controllo dall’altro. Mi sembra che la nonviolenza dovrebbe non solo tentare di rompere questo uso politico e violento, ma anche costruire un ponte con quelle teologie che parlano non solo di peccato individuale ma anche di peccato sociale e strutturale. C’è un libro, che mi sembra in questo senso estremamente interessante, scritto da Miguel d’Escoto con il titolo Antimperialismo e nonviolenza (Ocean Sur, 2009). "Questo libro - cito dall’introduzione - ha l’obiettivo di aiutare a risvegliare la coscienza sulla nonviolenza militante di Gesù e sull’antimperialismo. Vogliamo far sì che si comprenda che ogni seguace di Gesù deve essere nonviolento e, pertanto, anche antimperialista, poichè l’imperialismo è sempre violento, criminale e terroristico".

  • Giuseppe Moscati: Il pensiero va a Raimon Panikkar, che bene incarna questo apporto: l’orizzonte è il dialogo intrareligioso (più che meramente interreligioso) e perciò un dialogo aperto, senza barriere confessionali, realmente incontro "con" e "fra" le interiorità religiose dei dialoganti in gioco.

  • Michele Boato: Cristianesimo e Buddismo sono intrisi della nonviolenza dei loro fondatori, Cristo e Siddartha, anche se il Buddismo l'ha conservata molto più accuratamente, mentre il Cristianesimo è stato, ed è ancora, infettato ripetutamente da militarismo, corruzione, ragion di stato, imperialismo, razzismo e maschilismo.

    Confucianesimo, Induismo, Ebraismo ed Islam hanno avuto, ed hanno tuttora, rapporti alterni con la nonviolenza, corsi e ricorsi, diverse interpretazioni fino alle strumentalizzazioni di stile talebano dell'Islam in Afghanistan, Iran, Arabia e Pakistan, e di stile fondamentalista dell'Ebraismo in Israele.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sull'educazione?

  • Achille Scatamacola: Che si insegna solo con l'esempio. Che si apprende solo per amore. Che l'altro è sempre infinitamente altro, ed infinitamente prossimo.

  • Vergiliano Scorticossi: Nulla. Tutto.

  • Giulio Vittorangeli: Il termine educazione è estremamente vasto; riguarda la famiglia, la scuola, l’intera societa'. L’unica cosa che mi viene in mente, è che bisogna trovare un linguaggio, anche nell’educazione, che non abbia paura di sporcarsi le mani, di accogliere il presente con il suo miliardo di contraddizioni.

  • Giuseppe Moscati: Tutto il cuore della nonviolenza è educazione e quest’ultima è ricca solo se nonviolenta. Se così non fosse, a cosa servirebbe (ora la domanda la faccio io) una nonviolenza ad uso esclusivo di se stessi?Nonviolenza e', in tal senso, il contrario di possesso.

  • Michele Boato: Steiner e Montessori (solo per citare i più noti) sono espressione di una crescente influenza della nonviolenza nella pedagogia occidentale; il Dalai Lama è un esempio della diffusissima pedagogia nonviolenta nel mondo orientale.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sull'economia?

  • Vergiliano Scorticossi: La corrente calda del marxismo. La corrente calda dell'intreccio tra femminismo ed ecologia.

  • Giuseppe Moscati: Ce lo hanno suggerito Vandana Shiva, Amartya Sen, Serge Latouche e altri: l’economia deve ripartire da una mentalità nonviolenta se vuole evitare una pericolosa implosione del mercato e non solo di esso. A remare contro, ovvio, ci sono soprattutto gli zero delle grosse cifre degli interessi dell’industria bellica. I soldi, se non fanno la felicita', fanno di sicuro le guerre.

  • Michele Boato: Le riflessioni del premio Nobel indiano Amartya Sen sulla necessità della democrazia per un vero sviluppo sono abbastanza significative. Molto più importanti le esperienze concrete e le relative teorizzazioni del nobel bengalese Muhammad Yunus sul microcredito e la capacità di riscatto di milioni di "poveri" che si uniscano e trovino la forza di liberarsi dal cappio, non solo economico, degli strozzini.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sul diritto e le leggi?

  • Vergiliano Scorticossi: La voce di Antigone, l'esempio di Gesù di Nazareth.

  • Giuseppe Moscati: Il diritto in generale è il mondo dei diritti e dei doveri e la nonviolenza insegna che non può darsi un sano esercizio dei primi senza un rispetto responsabile dei secondi.

  • Michele Boato: L'importanza del diritto alla disubbidienza alle leggi ritenute ingiuste, fortemente rivendicato, anche con una breve prigionia, da Thoreau autore del fondamentale "La disobbedienza civile", per non parlare di Gandhi e di don Milani che con la sua "L'obbedienza non è più una virtu'" ha illuminato le menti di migliaia di persone, non solo italiane.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sull'etica e sulla bioetica?

  • Vergiliano Scorticossi: Il primato della difesa del vivente. Il brocardo "In dubio contra projectum".

  • Giuseppe Moscati: Credo che etica e nonviolenza siano sorelle, legate l’una all’altra da un’apertura verso il tu che ci costituisce nel profondo; la bioetica è un terreno accidentato su cui è necessario muovere i passi solo con una logica di condivisione il più possibile allargata e giocoforza ispirata ai principi nonviolenti.

  • Michele Boato: Il valore assoluto della vita umana, nel comandamento "tu non uccidere". Ma anche il valore della vita animale, i diritti degli altri animali, l'abominio dell'ucciderli per divertimento o per "sport", come nella caccia moderna, la proposta vegetariana e, comunque, l'eliminazione di ogni sofferenza evitabile.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sulla scienza e la tecnologia?

  • Vergiliano Scorticossi: La coscienza della non neutralità sia dei saperi che delle pratiche. La coscienza della complessità e dell'interdipendenza.

  • Giuseppe Moscati: Scienza e tecnologia non possono prescindere da una matura consapevolezza sui fini che si intendono perseguire e in tal senso la nonviolenza è la compagna di viaggio ideale verso la coscienza che sono i mezzi nobili a fare nobili i fini.

  • Generoso Canagliozzi: In breve: la critica della pretesa neutralità della scienza; il fallibilismo; il principio responsabilità (e quindi anche il cosiddetto "principio di precauzione"); l'opposizione alle scelte irreversibili; la difesa del vivente; il primato della dignità e dei diritti di ogni essere umano; l'opposizione alla menzogna e alla violenza; il dovere dell'universale empatia e solidarieta'. Ma si potrebbe e dovrebbe dir meglio, ed articolare molto più estesamente.

  • Michele Boato: La non neutralità nè della scienza ne', tantomeno, delle sue applicazioni pratiche. L'autocritica di Albert Einstein circa la fissione nucleare e i suoi immediati utilizzi militari è il momento più alto di questa riflessione, che ha poi avuto nel filosofo inglese Bertrand Russell una più compiuta teorizzazione.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione storica e alla pratica storiografica?

  • Vergiliano Scorticossi: Il punto di vista delle vittime. La storia come storia della liberazione dell'umanita'.

  • Giuseppe Moscati: Interrogandosi sulla nonviolenza si scopre che spesso siamo portati a cadere nell’errore di credere che la storia sia davvero magistra vitae: certo, essa può fornirci delle indicazioni e degli orientamenti di massima, come fa l’esperienza in generale, ma starei attento a certe "mitizzazioni storiografiche".

  • Michele Boato: Un forte ridimensionamento dell'esaltazione acritica della rivoluzione francese e di tutte le altre azioni militari (da Cesare a Alessandro Magno, fino a Napoleone, alla rivoluzione russa e alle guerre mondiali) che riempiono i libri di storia, fatti studiare ai ragazzi di tutto il mondo. Parallelamente una valorizzazione delle iniziative sia individuali che di massa che hanno portato a cambiamenti sociali importanti senza alcun uso di violenza: dalla regina d'Egitto Atzusept alla democrazia ateniese, dall'Aventino al martirio di Cristo, dai primi obiettori cristiani al servizio militare romano all'incontro di Francesco col sultano, e poi i gesuiti amici degli indios nel Sud America barbarizzato da portoghesi e spagnoli, la cooperazione operaia e gli scioperi dell'800, la diserzione di massa durante la prima guerra mondiale, i movimenti gandhiani, fino a Solidarnosc, il '68 in occidente e all'est, la caduta del muro di Berlino e dell'impero sovietico, il Costarica, le Filippine, il Kossovo di Rugova, il Tibet e la Birmania di Aung San Suu Ky e dei giovani monaci buddisti.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Tra le tecniche deliberative nonviolente ha una grande importanza il metodo del consenso: come lo caratterizzerebbe?

  • Achille Scatamacola: Ascoltare tutti, rispettare tutti, decidere insieme senza escludere nessuno.

  • Vergiliano Scorticossi: l prudente intreccio tra il principio di Pericle (pensare prima di agire) e il cardine etico del taoismo (l'azione non agente). Ovvero decidere solo ciò che persuade tutti, e mantenere le condizioni per la reversibilità delle scelte.

  • Giulio Vittorangeli: enso che questo metodo rappresenta un’ulteriore aspetto della democrazia; un ulteriore passo avanti del principio nonviolento per il quale "le teste non si tagliano ma si contano". Mi sembra una forma di democrazia diretta.

  • Giuseppe Moscati: Il consenso è essenzialmente un incontro - non certo un appiattimento - vissuto attraverso le differenze.

  • Generoso Canagliozzi: Come uno straordinario miglioramento rispetto al metodo del voto a maggioranza. L'uso del metodo del consenso (che è la specifica tecnica deliberativa nonviolenta attraverso la quale si prendono solo le decisioni su cui vi è un accordo unanime dei partecipanti al processo decisionale) richiede più tempo e consente meno decisioni, ma le decisioni prese con esso (decisioni che ovviamente restano sempre reversibili, la nonviolenza è epistemologicamente fallibilista) sono migliori sotto ogni profilo.

  • Michele Boato: Di fronte a decisioni delicate e impegnative, non si può affidarsi al gioco delle maggioranza; serve una discussione che approfondisca le ragioni, anche molto diverse, di tutti gli interessati, e punti a raggiungere una decisione che non escluda alcuna buona ragione, ma solo le proposte incompatibili con i principi della nonviolenza.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Tra le tecniche operative della nonviolenza nella gestione e risoluzione dei conflitti quali ritiene più' importanti, e perché'?

  • Vergiliano Scorticossi: L'esempio, l'ascolto.

  • Giulio Vittorangeli: Dipendono chiaramente dalla situazione di conflitto in cui si deve intervenire. In linea generale penso a "brigate della pace" che intraprendono missioni neutrali di pacificazione, mantenimento della pace, servizio umanitario, monitorare un cessate il fuoco e la violazioni dei diritti umani, offrire servizi di mediazione, intraprendere opere di ricostruzione e riconciliazione. Non solo, ma anche la realizzazione di guardie del corpo non armate per l’accompagnamento protettivo internazionale di attivisti locali per i diritti umani che vivono sotto la minaccia di rapimento o assassinio. Fino alla possibilità di cooperare con governi interessati a sviluppare un progetto di Difesa popolare nonviolenta.

  • Giuseppe Moscati: Penso che l’elemento più simbolico in tal senso possa essere la posizione di un "terzo", ovvero di un’alternativa che aiuti a fuoriuscire dal chiuso pensiero oppositivo A contro B.

  • Generoso Canagliozzi: Non per eludere la domanda, ma per fornire un'indicazione bibliografica di estrema utilita', mi permetto di rinviare alla capitale opera di Gene Sharp, Politica dell'azione nonviolenta, uno dei cui tre volumi è dedicato specificatamente e sistematicamente alle tecniche. È una lettura indispensabile. Poi, si legga anche l'aureo libretto di Aldo Capitini, Le tecniche della nonviolenza, più volte ripubblicato (a sè e in più ampie raccolte di scritti: ad esempio - se la memoria non mi inganna - in Aldo Capitini, Scritti sulla nonviolenza).

    Detto questo, mi piace ricordare la tecnica delle mongolfiere della pace con cui impedire i decolli dei bombardieri, ideata e sperimentata nel 1999 dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo (ed ampiamente descritta e documentata in un opuscolo che sarebbe forse opportuno ripubblicare).

  • Michele Boato: Annunciare pubblicamente le proprie ragioni, intenzioni e iniziative, in modo da rendere più difficile la reazione violenta basata sulla (dichiarata) paura di violenze, atti terroristici o sabotaggi.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Come caratterizzerebbe la formazione alla nonviolenza?

  • Vergiliano Scorticossi: Lenta e faticosa. Nel fuoco del conflitto.

  • Giulio Vittorangeli: Su entrambi, formazione ed addestramento, ho un’esperienza personale estremamente limitata, per cui non mi sento in grado di rispondere. Anche se mi sembra che riguardi la dimensione dell’imparare attraverso il fare.

  • Giuseppe Moscati: Come una formazione all’apertura e all’integrazione, ma che prende le mosse dallo sforzo di consapevolezza e dei propri limiti e della necessità di ottimizzare qualcosa che, nella sua povertà (datità della violenza), non può certo soddisfarci o farci rimanere in stato di indifferenza.

  • Michele Boato: Con una forte conoscenza storica dei movimenti e delle lotte nonviolente e dei principipi etici che li sostengono, associata a esercitazioni pratiche il più realistiche possibili e, poi, inserimento in programmi concreti a carattere locale.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Come caratterizzerebbe l'addestramento all'azione nonviolenta?

  • Vergiliano Scorticossi: Primato della prassi ed apertura alle ragioni altrui. Atteggiamento sperimentale e contestuale (ovvero: cosciente della complessità e fallibilista).

  • Giuseppe Moscati: Addestramento non è un termine a me particolarmente caro perché mi fa pensare sia alle forze armate che all’ammaestramento degli animali da circo... Preferisco co-evoluzione all’azione nonviolenta come crescita condiva dei passi che citavo poco fa: consapevolezza (dei propri limiti e della limitatezza della realtà di violenza), apertura, integrazione, ottimizzazione.

  • Generoso Canagliozzi: Poichè la nonviolenza si dà solo nella concreta azione di lotta contro la violenza, tutta la riflessione nonviolenta a questo è ordinata: all'azione diretta nonviolenta. Avendo la possibilità di prepararvisi, l'addestramento è doveroso e talora semplicemente indispensabile. E dicendo addestramento all'azione diretta nonviolenta intendiamo precisamente addestramento all'azione diretta nonviolenta, non una generica "educazione" o "formazione alla nonviolenza". Vi sono molte tecniche, molte strategie, e molte modalità di addestramento. Gandhi paragonava l'addestramento all'azione nonviolenta a quello militare, e rilevava che quello alla nonviolenza necessariamente deve essere assai più impegnativo di quello militare, proprio in quanto la nonviolenza si oppone al militarismo e richiede quindi lo sviluppo di capacità di gran lunga migliori sotto ogni profilo.

    Aggiungo qualche minima indicazione bibliografica: oltre al libro di Gene Sharp, Politica dell'azione nonviolenta, 3 voll., Edizioni Gruppo Abele, e a quello di Aldo Capitini, Le tecniche della nonviolenza, Libreria Feltrinelli (e poi altri editori per le successive edizioni), che ho già ricordato, segnalerei anche almeno il libro a cura di Alberto L'Abate, Addestramento alla nonviolenza. Introduzione teorico-pratica ai metodi, Satyagraha Editrice (Torino, 1985), e quello di Emanuele Arielli e Giovanni Scotto, Conflitti e mediazione. Introduzione a una teoria generale, Bruno Mondadori, Milano 2003. Naturalmente suggerimenti utilissimi sono ricavabili dall'autobiografia di Gandhi, La mia vita per la liberta', Newton Compton; e dalla migliore antologia di suoi scritti disponibile nel nostro paese: Mohandas K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi (con fondamentale introduzione del curatore Giuliano Pontara).

  • Michele Boato: Senza inventarsi alcunche', affrontando con metodi nonviolenti uno o più problemi presenti nella nostra societa', dal razzismo al maschilismo, dal bullismo alla disinformazione, dall'inquinamento alla violenza verso pedoni e ciclisti, o verso gli animali o gli alberi.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali mezzi d'informazione e quali esperienze editoriali le sembra che più' adeguatamente contribuiscano a far conoscere o a promuovere la nonviolenza?

  • Achille Scatamacola: In Italia in questi ultimi dieci anni il notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza è in cammino". Dagli anni Sessanta del secolo scorso il mensile fondato da Aldo Capitini "Azione nonviolenta". Tra le case editrici, lungo un secolo, la Laterza ispirata da Benedetto Croce.

  • Vergiliano Scorticossi: Spegnere le televisioni e guardarsi intorno con i propri occhi. Ascoltare e parlare.

  • Giulio Vittorangeli: Penso ai centri ed organizzazioni citati nelle precedenti risposte. Dalla rivista "Azione nonviolenta" a "Quaderni Satyagraha", da Peacereporter a Peacelink; e poi il lavoro fatto in questi ultimi dieci anni dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo.

  • Giuseppe Moscati: Scusate se mi ripeto citando ancora quelli che prima ho definito "gli artigiani della nonviolenza": la rivista "Azione Nonviolenta" e l’esperienza di "Nonviolenza in cammino" sono per me assai rappresentative di un mondo dai confini talmente vasti che sarebbe difficile richiamarne anche solo i principali protagonisti.

  • Generoso Canagliozzi: Quelli e quelle che almeno utilizzino decentemente la lingua italiana e che controllino la veridicità di quanto pubblicano. E sono pochi o punti. Molte pubblicazioni sono semplicemente impresentabili, consumistica orgia del vaniloquio e della stupidita'.

  • Michele Boato: Nel Veneto operano una serie di radio libere molto legate alla nonviolenza: Radio Cooperativa (legata ai Beati i costruttori di pace di don Albino Bizzotto), Radio Gamma 5, ispiratrice di decine di iniziative soprattutto ecologiste e antirazziste, Radio Base popolare di Mestre e Radio Popolare di Verona. Poi c'è MultiMedia Record, un gruppo guidato dal giornalista Marco Massimo Rossi che produce, in strettissimo contatto con i comitati e le associazioni locali, molti materiali televisivi che vanno sia su Internet che nelle reti televisive locali che li accettano.

    Ci sono poi le due riviste che sono legate all'Ecoistituo del Veneto "Alex Langer": "Gaia. Ecologia, nonviolenza, tecnologie appropriate" (trimestrale a carattere nazionale) e "Tera e Aqua" (bimestrale a carattere regionale), in cui sono impegnato quasi a tempo pieno.

    A livello nazionale, oltre ad "Azione nonviolenta" diretta da Mao Valpiana, c'è "QualeVita", ottimo periodico abruzzese diretto da Pasquale Jannamorelli, "Natura oggi", mensile di Pro Natura piemontese, in stretta collaborazione col Centro Sereno Regis diretto da Nanni Salio e "AAM - Terra Nuova" che tratta soprattutto di alimentazione e della salute.

    Poi c'è questo quotidiano telematico "La nonviolenza è in cammino".

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali esperienze in ambito scolastico ed universitario le sembra che più' adeguatamente contribuiscano a far conoscere o a promuovere la nonviolenza?

  • Giulio Vittorangeli: Non conoscendo l’ambito scolastico ed universitario, non mi sento di dare un giudizio.

  • Giuseppe Moscati: Qui c’è molto ancora da fare. Le esperienze scolastiche per fortuna si stanno moltiplicando. Se poi penso al mio caso personale, ha significato molto incontrare Capitini, Dolci, Gandhi e altri pensatori della nonviolenza attraverso lo studio della filosofia morale all’Università degli Studi di Perugia (cattedra del professor Mario Martini), ma mi rendo conto che ci vorrebbe una maggiore cooperazione tra università e scuola.

  • Generoso Canagliozzi: Credo sia meglio stendere un pietoso velo di silenzio.

  • Michele Boato: I corsi tenuti da Alberto L'Abate a Ferrara e poi a Firenze e quelli di Tonino Drago a Pisa.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: I movimenti nonviolenti presenti in Italia danno sovente un'impressione di marginalità', ininfluenza, inadeguatezza; è cosi'? E perché' accade? E come potrebbero migliorare la qualità', la percezione e l'efficacia della loro azione?

  • Achille Scatamacola: È cosi'. Accade per lo scarso rigore di troppi che pretendono impancarsi ad amici della nonviolenza (o che vengono tenuti per tali). Per migliorare assai basterebbe anche solo un pizzico in più di modestia, di studio e d'impegno.

  • Giulio Vittorangeli: Il problema della marginalità ed ininfluenza naturalmente non riguarda solamente il movimento nonviolento, ma l’intero movimento ecopacifista. Credo che questi movimenti sono di fatto invisibili perché annichiliti troppe volte non solo dalle guerrafondaie strategie dei neoimperi, ma dalla volontà bipartisan (tutta italiana) e da una sinistra che li ha cancellati dall'agenda. Ci troviamo davanti a "mille movimenti" che non fanno sistema perché privi di una sponda politica credibile nella quale riconoscersi.

  • Giuseppe Moscati: Molto della marginalità è proprio da segnalare a carico dell’informazione e dai responsabili dei mass media: è urgente ripartire da li', ma abbandonando atteggiamenti vittimistici che remerebbero contro e basta.

  • Michele Boato: Affrontando i temi più scottanti con proposte forti, precise e coordinate in tutta Italia, come fece Marco Pannella con le marce antimilitariste a favore dell'obiezione di coscienza negli anni '70 e col divorzio qualche anno dopo; come ha fatto Alex Langer negli anni '80 sui temi della guerra nella ex-Jugoslavia, come fa don Luigi Ciotti sul tema della mafia con le cooperative di Libera. Ora è il momento dell'opposizione al nucleare e delle alternative dolci.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: I movimenti nonviolenti dovrebbero dotarsi di migliori forme di coordinamento? E se si', come?

  • Giulio Vittorangeli: Non ho una risposta precisa sulle organizzazioni inedite ed originali di cui dotarsi. Anzitutto perché questo problema riguarda (come ricordato precedentemente) tutti i movimenti sociali. È necessario, percio', superare gli steccati che separano tra loro i movimenti, cominciando laddove le affinità sono maggiori e dove quindi le sinergie possono facilmente essere messe in campo, e stabilire reti di collaborazione su piattaforme e valori comuni per avere impatto e per costruire una massa critica di cui si debba tener conto. È altresì importante individuare degli "attrattori", come nel caso del referendum contro la privatizzazione dell’acqua.

  • Giuseppe Moscati: Si', è auspicabile un coordinamento sempre più ampio: il segreto sta forse nel liberarsi dei vari particolarismi, comprensibili e tuttavia dannosi a quella co-evoluzione di cui dicevo.

  • Generoso Canagliozzi: Non so se sia questo il punto; di certo taluni di quelli che si dichiarano tali dovrebbero innanzitutto liberarsi dai difetti propri dei piccoli gruppi ad un tempo dilettanteschi, ignoranti, ingenui e intolleranti, che si crogiolano nella banalizzazione e nell'ipersemplificazione, nella vuota formulistica, nella pratica irresponsabilita', e - in somma delle somme - nella più cieca stupidità e subalternita'. Suggerirei la lettura di alcuni lavori di Erich Fromm (ad esempio Fuga dalla liberta') e di Elias Canetti (innanzitutto Massa e potere).

    Nell'azione, e quindi anche nell'azione comune - il confronto delle esperienze e delle riflessioni, il convergere sulle iniziative da condurre, il coordinamento laddove esso sia possibile, opportuno ed efficace -, bisognerebbe cominciare con l'esercitare un decente spirito critico, prender coscienza della complessità e dialetticità del reale (ma anche della sua caoticità e della completa mancanza di senso e di piano di tante e tante cose) ed utilizzare gli strumenti della buona filologia e del comunicare comprensibilmente.

  • Michele Boato: A rete, come aveva iniziato bene Lilliput, perdendosi però poi in burocratismi, non allargandosi, ma chiudendosi.

  • Soprattutto però una rete funziona se ha degli obiettivi comuni, con scadenze e iniziative coordinate, come ha dimostrato la recente ottima riuscita della raccolta firme per i referendum contro la privatizzazione dell'acqua.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: I movimenti nonviolenti dovrebbero dotarsi di ulteriori strumenti di comunicazione? E con quali caratteristiche?

  • Giulio Vittorangeli: La proposta (certamente scontata, ma altrettanto difficile da realizzare), è quella di creare una rete leggera tra varie testate e riviste affini, per contribuire a promuovere un’elaborazione e un’analisi collettiva indispensabile per un progetto credibile di trasformazione della societa'.

  • Giuseppe Moscati: Oggi non si può prescindere da internet e credo che si tratti di una grande sfida da raccogliere: servirebbe a dare un altro senso anche alla globalizzazione. Qui è prioritario l’intervento attivo dei giovani.

  • Generoso Canagliozzi: Forse dovrebbero dotarsi di meno strumenti di comunicazione, redatti meglio. La gran parte dei siti, molte delle riviste e non pochi libri che parlano di nonviolenza sono gremiti di ambigue idiozie. Se si scrivesse di meno e si leggesse e correggesse di più non si direbbero tante corbellerie che hanno purtroppo ampio corso.

  • Michele Boato: Serve un forte coordinamento e potenziamento della presenza nonviolenta su Internet.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e movimenti sociali: quali rapporti?

  • Giulio Vittorangeli: Credo di aver risposto, auspicando il superamento degli steccati.

  • Giuseppe Moscati: La nonviolenza stessa è un movimento, un movimento dal basso e proprio dal basso vanno costruite le relazioni co-evolutive con gli altri movimenti, che peraltro devono farsi capaci di rinunciare alle varie forme di violenza.

  • Generoso Canagliozzi: La nonviolenza dei movimenti sociali di resistenza all'ingiustizia e di comune solidarietà e liberazione deve essere suscitatrice, alimento, guida, coscienza critica, pietra di paragone, punto di contraddizione, di divisione e di ricomposizione.

  • Michele Boato: Nonviolenza non è solo antimilitarismo, ma lotta per la giustizia e i diritti umani.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e istituzioni: quali rapporti?

  • Giulio Vittorangeli: Sarebbe auspicabile una totale collaborazione; ma la realtà è estremamente diversa. Non vedo governi impegnati a realizzare progetti di Difesa popolare nonviolenta. Estremamente rari mi sembrano, in Italia, gli enti locali seriamente impegnati sulle tematiche della pace, della nonviolenza e della solidarietà tra i popoli.

  • Giuseppe Moscati: Le istituzioni faticano a farsi piacere e apprezzare e rispettare perché appesantite da quella burocrazia che proprio la nonviolenza deve insegnare a superare.

  • Generoso Canagliozzi: Non subalterni e non elusivi. La nonviolenza deve porsi l'obiettivo del governo delle istituzioni democratiche. Chi pensa che la nonviolenza possa essere scelta solo morale, solo testimoniale, o di intervento solo sociale, solo di movimento, solo di microrealizzazioni, si è già arreso alla violenza nelle sue forme più macroscopiche ed efferate, e non se ne è neppure accorto. La nonviolenza vuole governare la societa', vuole gestire le istituzioni, vuole scrivere le leggi: almeno fino all'estinzione dello stato e all'instaurazione di una libera società mondiale di persone tutte libere ed eguali in diritti (per chi avesse bisogno di questa illusione di una meta finale per trovar le ragioni di opporsi alla violenza oggi).

    Anche qui mi permetto qualche utile riferimento bibliografico: Petr Kropotkin, Murray Bookchin, Colin Ward; Giulio A. Maccacaro, Franco Basaglia, Danilo Dolci; Ivan Illich, Norberto Bobbio, Vandana Shiva; Guenther Anders, Hannah Arendt, Hans Jonas.

  • Michele Boato: Aldo Capitini, dopo aver combattuto la dittatura fascista, era pero', giustamente, scettico verso i partiti e la sola democrazia rappresentativa: proponeva il potere di tutti, da lui battezzato Omnicrazia. Si tratta della democrazia diretta, che dà voce e potere a tutti. Nella nostra Costituzione invece c'è solo il referendum abrogativo e, solo in una parte dei Comuni, i referendum locali consultivi. Occorre invece guardare, in termini creativi, alle esperienze dei cantoni e delle città svizzere, e, più recentemente, di molti Stati del Nord America, della Baviera e ora anche di molte città sudamericane, dove la partecipazione popolare è stimolata ed organizzata con periodici referendum decisionali, senza quorum, o con quorum del 20-30%.

    Finora in Italia questo tema ha sfondato in una decina di comuni dell'Alto Adige - Sud Tirol.

    Qualche successo hanno avuto in alcune piccole città delle liste civiche che fanno della vera partecipazione il loro tema e strumento principale. Molto meno trasparenti le iniziative dei seguaci di Grillo, appunto perché sostanzialmente dirette e condizionate dal capo genovese e, soprattutto, dal suo apparato milanese.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e cultura: quali rapporti?

  • Giulio Vittorangeli: La cultura della pace e della nonviolenza e', in definitiva, una cultura dell’umanizzazione (si veda la lezione di Rosa Luxemburg: "Ahime'! Non conosco la ricetta che permetterebbe di comportarsi come un essere umano, so solo come lo si e'...") che ha tuttavia bisogno anche di canali istituzionali per potersi radicalmente affermare. E qui ritorniamo ai limiti segnalati nella precedente risposta.

  • Giuseppe Moscati: La mia idea di cultura è quella di una cultura nonviolenta e considero pseudoculture le varie "culture" della forza, della mera vitalita', della superiorità di questa o quella civilta'...

  • Generoso Canagliozzi: Se per cultura si intende l'insieme delle relazioni di un gruppo umano e di quel gruppo umano e il mondo in cui vive, allora la nonviolenza va inculturata, cioè tradotta e radicata nel contesto storico, sociale, contestualizzata ovvero declinata nel sistema di pensiero, di linguaggio e di condotte da quella specifica cultura costituito. Se per cultura si intende l'acquisto conoscitivo (e quindi morale) comune risultante dall'impegno dell'umanità intera nel corso della sua vicenda storica, allora la nonviolenza di quel tragitto è risultato, elemento e vettore.

  • Michele Boato: Scrittori come Pier Paolo Pasolini, poeti come David Maria Turoldo, attori come il Benigni di "La vita è bella" o il (Ben Kingsley) del film "Gandhi" hanno una forza di penetrazione nella formazione di milioni di persone.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e forze politiche: quali rapporti?

  • Giuseppe Moscati: Il contesto politico italiano, a mio avviso, sta conoscendo una lunga fase di stallo e di crisi, se non proprio di vuoto e mi è pertanto difficile immaginare qualcosa in merito; pensando in termini di internazionalizzazione della nonviolenza, ma anche più in generale a un rapporto politica-nonviolenza, abbiamo a che fare con un’altra grande sfida: re-imparare che la politica non è e non può limitarsi ad essere il regno del fine che giustifica il mezzo. Ma senza cadere nell’ingenuità (dalle conseguenze giacobine) di pensare alla politica come al paradiso delle "anime belle". Anche la nonviolenza, come la politica, credo debba essere persuasa che l’azione richiede il coraggio di sporcarsi le mani, sempre ovviamente entro i limiti di un’adulta ragione nonviolenta.

  • Michele Boato: In Italia il riferimento di alcune forze politiche (Radicali, Verdi e poi anche Rifondazione comunista) alla nonviolenza non è mai stato molto convincente; troppi compromessi, soprattutto sulla questione delle guerre in Bosnia, Irak e Afghanistan.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e organizzazioni sindacali: quali rapporti?

  • Giulio Vittorangeli: Pur non mettendo sullo stesso piano le forze politiche e le organizzazioni sindacali, è evidente che l’involuzione sociale subita dall’intera società italiana ha avuto conseguenze deleterie sui partiti politici, sempre più prigionieri della cosiddetta realpolitik, e sui sindacati, che subiscono gli effetti devastanti della gobalizzazione che spinge ad uno stato di conflitto permanente fra classi povere del Nord e del Sud del mondo. In questa situazione, non solo la nonviolenza, ma l’intero arco del movimento ecopacifista è stato cancellato sicuramente dall'agenda politica e non preso in considerazione da quella sindacale.

  • Giuseppe Moscati: Quelli ispirati alla rivendicazione dei diritti dei più deboli, che oggi non mi pare sempre corrispondano a ciò che sono diventati i sindacati, almeno quelli nostrani.

  • Michele Boato: I sindacati spesso non sono consapevoli della natura profondamente nonviolenta dello sciopero come noncollaborazione, e in generale della loro missione di difesa dei diritti non solo economici di larga parte della popolazione.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e agenzie della socializzazione: quali rapporti?

  • Giuseppe Moscati: Il terreno d’incontro è ancora una volta la co-evoluzione come crescita nella solidarietà e nella cooperazione internazionale.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e pratiche artistiche: quali rapporti?

  • Giulio Vittorangeli: Fatico a rispondere, forse perché non mi è chiara la domanda, come se dovessi considerare l’esistenza anche di un’arte "violenta". Altra cosa mi sembra l’impegno degli artisti per la nonviolenza e la trasformazione sociale; ma è un campo che non conosco.

  • Giuseppe Moscati: Il legame lo vedrei soprattutto nella creatività di fondo della nonviolenza, che è appunto persuasione di un’alternativa (sempre) possibile.

  • Generoso Canagliozzi: Valgono ancora per me le considerazioni consegnate da Walter Benjamin alla conclusione del suo saggio sull'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibiltà tecnica.

    Ma forse occorrerebbe aggiungere anche almeno un rinvio alla riflessione di Luigi Pareyson, di Dino Formaggio; e del tanto bistrattato Herbert Marcuse, e di Ernst Bloch (e finanche di Gyorgy Lukacs)...

  • Michele Boato: Come la poesia, la letteratura (Tolstoi per tutti) e i film, anche le altre arti, dalla pittura alla scultura, dalla musica al teatro, alla danza, alla fotografia, possono essere eccezionali veicoli del messaggio nonviolento: basta ricordare le foto dei bambini vietnamiti, una canzone come Imagine di John Lennon o un quadro come Guernica di Picasso.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e amicizia: quale relazione? E come concretamente nella sua esperienza essa si è data?

  • Giulio Vittorangeli: Considero certamente l’amicizia uno degli elementi fondamentali del vivere. Gli amici, ognuno il risultato prezioso e ogni volta nuovo di quella irripetibile combinazione di biologico, storia, idee, scambi, esperienze, errori, tentativi, pensieri, slanci, dolori, passioni, cicatrici, curiosità che differenziano in modo irriducibile le funzioni e le facoltà umane, che restano, quelle si', per sempre ed ovunque universali. Eppure le mie amicizie non sono nate esclusivamente nell’ambito della nonviolenza; anche se poi hanno cercato di strutturarsi sul modello nonviolento, purtroppo non sempre riuscendovi.

  • Giuseppe Moscati: Ma sicuramente in virtù della nonviolenza ho incontrato diversi amici significativi, altre amicizie le ho maturate grazie all’idea di fondo di quella nonviolenza che non ha bisogno di essere citata o chiosata per agire e produrre legami significativi.

  • Generoso Canagliozzi: Da molti anni la gran parte del mio lavoro politico ed educativo si fonda su - ed è orientato a promuovere - relazioni di amicizia. Strana ventura per un misantropo senza finestre.

  • Michele Boato: Decine di iniziative delicate (denunce di soprusi o di scempi ambientali, proposte azzardate a personaggi influenti ecc.) non avrei potuto condurle a termine senza l'aiuto di persone sinceramente amiche, che si sono spese, spesso rischiando grosso, in nome di un comune sentire, ma soprattutto di una comune amicizia.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e percezione dell'unità dell'umanità': quale relazione e quali implicazioni?

  • Vergiliano Scorticossi: Vi è una sola umanita'. Ma essa si dà solo nella irriducibile pluralità e assoluta diversità delle singole persone che la compongono.

  • Giulio Vittorangeli: Potrei rispondere invertendo gli elementi citati precedentemente, che l’unità dell’umanità è in definitiva una cultura della pace, della nonviolenza e della solidarietà tra i popoli.

  • Giuseppe Moscati: Vale un po’, qui in positivo, il discorso fatto a proposito dei conflitti per ragioni razziali. Una della battute nonviolente cui sono più affezionato: Einstein che nella casella "razza" della scheda di immigrazione scrive "umana". Eccezionale!

  • Generoso Canagliozzi: Se si vuole riuscire ad affrontare in modo adeguato i bisogni e le crisi che abbiamo di fronte, la dimensione adeguata dell'analisi e dell'azione è quella planetaria. Ergo la percezione dell'unità dell'umanità è indispensabile. Le uniche reali soluzioni ai problemi che abbiamo di fronte sono quelle che tengono conto dell'umanità intera - generazioni future incluse.

    Del resto la nonviolenza (come altre grandi tradizioni di pensiero) proprio su questa consapevolezza dell'unità del genere umano e del dovere di cura verso la biosfera si fonda.

  • Michele Boato: Come si può essere nonviolenti se non si crede nell'assoluta uguaglianza di diritti di tutte le persone, senza differenze di razza, sesso, età o idee politiche e religiose? Non c'è forse nulla di più antitetico alla nonviolenza del razzismo nelle sue varie forme.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e politica: quale relazione?

  • Vergiliano Scorticossi: Quella che hanno spiegato Hannah Arendt e Vandana Shiva. Quella che hanno spiegato Simone Weil e Luce Fabbri.

  • Giulio Vittorangeli: Si può affermare, come fatto da molti, che la nonviolenza è politica, o non e'. Come a dire che sono due facce della stessa medaglia. Resta, pero', il problema di definire cosa intendiamo per politica.

  • Giuseppe Moscati: Già detto: in sostanza, la politica non va ridotta a regno del fine che giustifica il mezzo e l’apporto della nonviolenza in questa direzione è decisivo. La politica, poi, ha da suggerire alla nonviolenza che, per mettersi davvero in cammino, è necessario rimanere coi piedi per terra.

  • Michele Boato: Politica significa interessarsi della polis, del bene comune della città e dei suoi abitanti. Un nonviolento non può che fare anche politica, ma puntando alla vera democrazia, al potere di tutti, non dei "nostri".

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e vita quotidiana: quale relazione?

  • Vergiliano Scorticossi: Non essendovi in realtà altra vita che quella quotidiana, la nonviolenza ne è ad un tempo esatta percezione e accudente rivelazione.

  • Giuseppe Moscati: La nonviolenza non è qualcosa che si sceglie di prendere su di sè i giorni dispari: è eminentemente quotidiana, è ogni giorno, ogni ora.

  • Generoso Canagliozzi: A condizione che non la si banalizzi e ridicolizzi (riducendo la nonviolenza alle buone maniere, alla buona creanza, al non dire le parolacce, et similia), la nonviolenza è innanzitutto prassi politica che si invera nella vita quotidiana: una prassi che è lotta contro la violenza e la menzogna in tutte le loro forme; una prassi che è "politica prima"; una prassi non riduzionista. Ergo innanzitutto la nonviolenza è effettualmente cura delle persone con cui si vive; è cura del territorio in cui si vive; è coscienza del limite; è riconoscimento di sè e dell'altro, principio responsabilita', scelte di giustizia, misericordia. "Politica prima", appunto: relazione di cura.

    Cose decisive su questo hanno scritto Emmanuel Levinas, le filosofe del femminismo (non solo quelle del pensiero della differenza), le tante voci del movimento della psichiatria democratica, tante altre persone impegnate in pratiche di solidarietà concreta ed ecoequosolidali, soprattutto chi eroicamente si è opposto ai regimi totalitari. E prima di concludere, mi piace ricordare ancora la riflessione di Henri Lefebvre.

  • Michele Boato: È forse la prova più difficile, passare dalla teoria ai fatti 24 ore su 24. In casa con coniuge e figli, sul lavoro con colleghi, superiori ed eventuali subalterni (o con gli studenti per un insegnante, come nel mio caso). Debbo dire che nei miei vent'anni di insegnamento alle superiori, avere rapporti di rispetto e paritari con gli studenti mi è stato facilissimo e mi ha procurato quasi solo enormi soddisfazioni, pochissimi inconvenienti con qualche collega e preside.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e cura del territorio in cui si vive: quale relazione?

  • Giulio Vittorangeli: Mi sembra che si possa tentare un’unica risposta, considerando che la vita quotidiana comporta il relazionarsi con il territorio e l’interagire con le persone con cui ogni giorno entriamo in contatto. Una triplice relazione certamente non facile, per tutti. Alexander Langer proponeva di agire più lentamente e più dolcemente o soavemente; ma lui la lentezza non l’ha mai praticata, travolto com’era dalle urgenze del mondo. Gandhi affermava: "Sii il cambiamento che tu desideri vedere nel mondo". Come a dire, che la società di domani va pensata e costruita giorno per giorno, per tentativi ed errori, senza grandi modelli reali, o immaginari, a cui far riferimento; attrezzandosi, per quanto possibile, per far fronte a passaggi drammatici e rotture improvvise. Un cambiamento personale, però fine a se stesso, non mi interessa.

  • Giuseppe Moscati: Allargherei il discorso. Cura del territorio in cui si vive e anche di quello in cui vivono gli altri e, ancora, vivranno altri dopo di noi: il rispetto della terra che abitiamo, di quella che altri abitano oggi e abiteranno domani, cos’è tutto questo se non nonviolenza? Heidegger diceva che l’uomo abita l’essere; noi siamo chiamati ad abitare la nonviolenza.

  • Michele Boato: È dal lontano 1969 il mio impegno principale: sento la violenza a Gaia, nostra madre terra, come fatta a me stesso. E di fatto è cosi', anche se i più ancora non ne sono pienamente coscienti. Il territorio è l'aria che respiriamo, che manteniamo più pulita se, con gli Amici della bicicletta, riduciamo il traffico automobilistico; sono gli alberi che ci regalano l'ossigeno, che difendiamo con tutti i mezzi con l'associazione Amico Albero; è l'acqua che beviamo e scorre in laguna e nel mare, che cerchiamo di mantenere pulita con Medicina Democratica, l'Ecoistituto ecc. ecc.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e cura delle persone con cui si vive: quale relazione?

  • Giuseppe Moscati: Anche qui una relazione fondamentale: la nonviolenza stessa è cura.

  • Michele Boato: Alla fine le cose che contano di più nella vita sono proprio i rapporti con le persone vicine: le rotture traumatiche sono la prima causa delle malattie depressive e dei suicidi. Imparare a convivere anche nei momenti difficili, non alzare i toni, non usare parole pesanti è talvolta difficile, ma ti può salvare la vita.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: La nonviolenza dinanzi alla morte: quali riflessioni?

  • Vergiliano Scorticossi: Tra Epicuro ed Elias Canetti.

  • Giulio Vittorangeli: La morte è un fatto inevitabile, che appartiene alla vita degli esseri umani; eppure non riesco ad accettarla e tanto meno a relazionarla con la nonviolenza; anche se è stato scritto che "l’estrema conseguenza di praticare la nonviolenza è accettare di ricevere la morte". Questo rovescio dell’esistenza corporea è orrido. La separazione dalle persone amate mi rende nemico della morte, comune nemico. Preferisco l’umanita', comune sorella.

  • Giuseppe Moscati: La fine non dovrebbe terrorizzarci, ma "solo" inquietarci: il nonviolento non è uno totalmente pacificato, basta con queste vecchie, trite interpretazioni! Egli è sanamente inquieto e la morte, nella sua visione del mondo, non può che rientrare tra quegli elementi che non permettono all’uomo di rilassarsi e adagiarsi su qualcosa di comodo proprio in quanto è la vita a non essere comoda. Personalmente continuo a subire un grande fascino rispetto al tema della morte, su cui mi ha spinto a interrogarmi soprattutto Feuerbach, ma anche lo stesso Capitini con l’idea della compresenza dei morti e dei viventi.

  • Michele Boato: Non c'è solo il "tu non uccidere", ma anche il dovere di accompagnare le persone all'ultimo passaggio, in modo da alleviarne al massimo il dolore.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali le maggiori esperienze storiche della nonviolenza?

  • Vergiliano Scorticossi: Il femminismo. Il referendum brasiliano contro il commercio delle armi.

  • Giulio Vittorangeli: Mi vengono in mente, forse perché non opportunamente conosciute e studiate, la resistenza contro l’occupazione tedesca in Danimarca e la resistenza nonviolenta in Norvegia.

  • Giuseppe Moscati: Una su tutte la liberazione gandhiana del continente indiano dal giogo del colonialismo inglese; ma sappiamo troppo poco delle esperienze meno documentate di opposizione nonviolenta, come per esempio quelle al nazismo da parte della Danimarca o della Norvegia.

  • Generoso Canagliozzi: Il costituzionalismo moderno. Il femminismo. La Dichiarazione universale dei diritti umani.

  • Michele Boato: Lo sciopero della plebe romana sull'Aventino, la marcia del sale gandhiana, il boicottaggio nero degli autobus di Montgomery con Martin Luther King, Solidarnos polacca, la rivoluzione filippina di Cory Aquino.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quale è lo stato della nonviolenza oggi nel mondo?

  • Giulio Vittorangeli: Difficile dare una risposta, considerando la legittimazione di cui oramai gode la guerra a livello mondiale. Mi sembra però che molti popoli, in particolare nell’America latina, usino nella lotta forme che si avvicinano di molto alla nonviolenza attiva. Certo che la nonviolenza per essere credibile deve essere praticabile. Se è resa possibile, se raggiunge gli obiettivi, troverà molti sostenitori in ogni popolazione.

  • Giuseppe Moscati: Uno stato in evoluzione, che ci deve ricordare l’urgenza di un impegno corale costante e tenace.

  • Michele Boato: Moltissime ottime esperienze locali, senza un comune orizzonte nè punto di riferimento e tradite dal bluff di Obama.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quale è lo stato della nonviolenza oggi in Italia?

  • Giulio Vittorangeli: Corrisponde allo stato in cui si trovano tutti gli altri movimenti che si oppongono al degrado politico e sociale che drammaticamente caratterizza la società italiana. Come giustamente si sosteneva in una precedente domanda predomina la marginalita', l’ininfluenza, l’inadeguatezza; ed aggiungerei l’eccessiva frammentazione e soprattutto l’incapacità di diventare soggetto politico.

  • Giuseppe Moscati: Grosso modo anch’esso in evoluzione, con segnali importanti da coltivare e riprodurre.

  • Michele Boato: La partecipazione dell'Italia a guerre in sfregio alla Costituzione, la presenza ancora nel nostro suolo di basi militari, anche nucleari, straniere e il loro rafforzamento a Vicenza, con l'aperto appoggio di governi sia di destra che di "sinistra"; il diffondersi di cultura e iniziative razziste nel Nord e mafiose soprattutto nel Sud, la dice lunga sul deficit di coscienza e di iniziativa di massa in Italia.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: È adeguato il rapporto tra movimenti nonviolenti italiani e movimenti di altri paesi? E come migliorarlo?

  • Giulio Vittorangeli: Conosco superficialmente i movimenti nonviolenti italiani ed ancor meno quelli degli altri paesi per poter dare una risposta significativa.

  • Giuseppe Moscati: Come detto prima, è imprescindibile una grande attenzione agli aspetti comunicativi e al ruolo dei mass media, oltre che un coordinamento sempre più allargato ed efficiente, dal basso, dalla base della nonviolenza.

  • Generoso Canagliozzi: Sebbene da molti anni mi picchi di contribuire a diffondere la riflessione e le esperienze della nonviolenza, credo di conoscere ancora troppo poco le esperienze organizzate della nonviolenza negli altri paesi per poter esprimere un parere significativo; ma ho l'impressione che questa mia ignoranza sia esemplificativa del fatto che il rapporto è inadeguato. Per migliorarlo potrebbe essere utile condividere esperienze e riflessioni, ed in primo luogo cominciare col fare delle buone traduzioni (la generalità di quelle che circolano, ormai anche presso le case editrici maggiori, sono peggio che dilettantesche, sono abominevoli). Una buona idea potrebbe essere ripristinare il latino come lingua franca internazionale, e tradurvi tutte le opere fondamentali.

  • Michele Boato: Assolutamente inadeguato, casuale, inefficiente.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quale le sembra che sia la percezione diffusa della nonviolenza oggi in Italia?

  • Giulio Vittorangeli: Una percezione decisamente errata. Nella migliore della ipotesi una sorta di "resistenza passiva", o peggio ancora di chi non ricorre alla violenza, o alle armi, per pura vilta'.

  • Giuseppe Moscati: Purtroppo siamo ancora indietro, ma - ripeto - i segnali positivi non mancano e il mondo della formazione può fare molto, a più livelli, per educare, per promuovere, o solo per far conoscere.

  • Generoso Canagliozzi: Quasi nessuno sa cosa sia (e la confonde con le buone maniere). E la generalità di coloro che si proclamano "nonviolenti" sovente ancor meno degli altri. Mi pare che gran parte delle interviste di questa inchiesta fin qui pubblicate lo dimostri, ahinoi, ad abundantiam.

  • Michele Boato: A livello di massa non se ne conosce quasi la parola.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali iniziative intraprendere perché' vi sia da parte dell'opinione pubblica una percezione corretta e una conoscenza adeguata della nonviolenza?

  • Giulio Vittorangeli: Decisamente sul versante dell’informazione e della conoscenza; anche se obiettivamente i mezzi e gli strumenti di cui disponiamo sono limitati.

  • Giuseppe Moscati: Mi augurerei una forte presenza delle istituzioni, che provochino il mondo massmediatico e sostengano il lavoro della scuola e dell’università come pure quello dell’associazionismo, delle fondazioni, dei centri studi...

  • Michele Boato: Lotta alla presenza italiana in Afghanistan, lotta al razzismo, lotta alla mafia, piano nazionale solare contro il ritorno al nucleare "civile" e militare.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e intercultura: quale relazione?

  • Vergiliano Scorticossi: Ogni cultura è già intercultura. La nonviolenza è sempre incontro dialogico ed incessante apertura.

  • Giuseppe Moscati: Dicevo prima che non concepirei una cultura che non fosse di fondo nonviolenta; per me significa che dev’essere necessariamente interculturale e intraculturale (quindi anche interreligiosa e intrareligiosa).

  • Generoso Canagliozzi: Non vi è più alcuna cultura che non sia anche intercultura. Per quel processo che Marx ed Engels descrissero già nel 1847, quando nel tratteggiare lo sviluppo del capitalismo e la sua planetaria espansione attestavano: "All'antica autosufficienza e all'antico isolamento locali e nazionali subentra uno scambio universale, una interdipendenza universale fra le nazioni. E come per la produzione materiale, così per quella intellettuale. I prodotti intellettuali delle singole nazioni divengono bene comune. L'unilateralità e la ristrettezza nazionali diventano sempre più impossibili, e dalle molte letterature nazionali e locali si forma una letteratura mondiale".

    Sulla base di questo presupposto tanti equivoci cadono: cade il cosiddetto "relativismo culturale" come alibi per violare fondamentali diritti umani; cadono tante ideologiche ciance sul cosiddetto "multiculturalismo", e così via.

    Resta - e questo è decisivo per chi assume il punto di vista della nonviolenza - lo sforzo di comprensione di ogni alterita', l'attenzione per ogni tradizione, la contestualizzazione - e la traduzione nelle di volta in volta adeguate modalità comunicative - delle relazioni e delle azioni; e resta soprattutto la primazia della dignità e dei diritti di ogni essere umano, in primis et ante omnia il diritto a non essere ucciso e a non esser violato nel proprio corpo.

    L'interdipendenza è una realta'. L'"uomo planetario" di balducciana memoria è una realta'.

    Contrastare ogni chiusura ed ogni oppressione, ogni discriminazione ed ogni denegazione di umanita'; difendere i diritti umani di tutti gli esseri umani e la biosfera unica casa comune: questi i compiti dell'ora; questa la nonviolenza in cammino.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e conoscenza di se': quale relazione?

  • Vergiliano Scorticossi: La pratica della nonviolenza comincia dentro di se'. La lotta nonviolenta comincia contro di se'

  • Giuseppe Moscati: Vale il discorso sulla consapevolezza dei propri limiti: ci conosciamo anche grazie e attraverso i nostri limiti e la nonviolenza è in tal senso il migliore esercizio su di se'.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e scienze umane: quale relazione?

  • Vergiliano Scorticossi: Finchè le applicazioni delle scienze umane sono ordinate al mantenimento ed al rafforzamento dei poteri disumani, la nonviolenza è la scienza dell'opposizione ad esse; quando ed in quanto le scienze umane umanizzano l'altro e contrastano quindi la sua denegazione, la sua umiliazione, il suo asservimento, la nonviolenza di esse si nutre e s'illumina.

  • Giuseppe Moscati: Un pò tutte le scienze umane si caratterizzano come riflessioni sull’uomo e sulle relazioni interpersonali, tra generazioni, tra gruppi culturali... E anche la nonviolenza, al pari della filosofia, più che fornire risposte, è chiamata a far ragionare su come porsi le domande.

  • Generoso Canagliozzi: Le scienze umane apportano alla teoria-prassi nonviolenta conoscenze, strumenti e verifiche assolutamente imprescindibili; a sua volta la nonviolenza apporta alle scienze umane un contributo critico, analitico e sintetico, e una strumentazione complessiva, ad esse profittevoli assai.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e linguaggio (ed anche: nonviolenza e semiotica): quale relazione?

  • Vergiliano Scorticossi: Nacque il linguaggio come alternativa alla violenza; ma presto fu piegato a strumento di menzogna a fini di potere. La nonviolenza è tensione al linguaggio veritiero e liberante, che sia via e salvezza comune.

  • Giulio Vittorangeli: Le parole certamente non sono secondarie, ed è fondamentale ridare loro un peso. La parola è potere, può essere sovversiva, può essere proiettile che uccide, pietra che schiaccia oppure narrazione di una rinascita. Dal versante della nonviolenza mi sembra estremamente importante soffermarci sul termine Satyagraha, che indica il potere della nonviolenza che agisce nei conflitti per trasformarli e trascenderli verso realtà di pace.

  • Giuseppe Moscati: Considero importantissimo il lavoro sul linguaggio. Un percorso semiotico sulle nostre abitudini linguistiche ci insegnerebbe tanto anche in chiave di consapevolezza nonviolenta: basti pensare ai tabu', alle rimozioni, alle mistificazioni linguistiche...

  • Generoso Canagliozzi: È una relazione decisiva, ma non va banalizzata, nè deve divenire alibi per narcotizzare. Per intenderci: smilitarizzare il linguaggio è buona prassi; ma quando parliamo di addestramento all'azione diretta nonviolenta parliamo proprio di addestramento; quando parliamo di nonviolenza come gestione e fin suscitamento del conflitto parliamo proprio di conflitto; quando parliamo di nonviolenza come lotta, proprio di lotta parliamo. Evitiamo di edulcorare e falsificare.

  • Michele Boato: Un linguaggio nonviolento è parte fondante di uno stile di vita e di ogni iniziativa nonviolenta.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e stili di vita: quale relazione?

  • Vergiliano Scorticossi: La nonviolenza, dite bene voi medesimi, è stile di vita fondato sul rispetto per i viventi, la biosfera, la "madre terra"; sulla compresenza, la convivenza, scelte di vita comunitarie; sul riconoscimento dell'altro, il principio responsabilita', scelte di giustizia, misericordia. La nonviolenza, dite bene voi medesimi, è coscienza del limite ed agire di conseguenza per il bene comune.

  • Giulio Vittorangeli: Rinvio a quanto già espresso precedentemente in merito a nonviolenza e vita quotidiana. Posso solo confermare, purtroppo, la mia incapacità di vivere più lentamente e dolcemente.

  • Giuseppe Moscati: Torno ancora con la mente al lavoro "alternativo" di Vandana Shiva, di Amartya Sen e di altri sull’idea di felicita', di ricchezza, di stili di vita. Quello nonviolento, più propriamente, credo sia un atteggiamento di vita.

  • Generoso Canagliozzi: La nonviolenza impone a chi l'abbraccia di scegliere uno stile di vita sobrio, ragionevole, accudente. Arte e virtù di prudenza (se questa parola non fosse ormai resa inutilizzabile dall'abuso secolare che ha subito).

  • Michele Boato: Uno stile di vita sobrio è essenziale per dare credibilità alla proposta teorica nonviolenta.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e critica dell'industrialismo: quali implicazioni e conseguenze?

  • Giulio Vittorangeli: Posso solo aggiungere qualcosa, rispetto a quanto già espresso precedentemente in merito alla questione ambientale. Viviamo in una specie di mondo ipercapitalistico, o turbocapitalistico, caratterizzato dall’intreccio capitalista-sviluppista-maschilista, in cui sono necessarie nuove forme di lotta fra lavoratori inquinati e classi dominanti inquinatrici. Forme di lotta che, comunque, hanno una dimensione planetaria; in cui la nonviolenza può e deve interagire con l’ecofemminismo.

  • Giuseppe Moscati: Questo tipo di critica, come altri analoghi, deve sapersi conquistare un certo livello di adultita'. Come pure nel caso della critica alla tecnica/tecnologia che alcuni autori del pensiero occidentale hanno costruito e sviluppato, anche qui è importante accostare alla pars destruens anche una pars construens. Le implicazioni e le conseguenze ruotano attorno all’idea che un eccesso di industrializzazione sfrenata e incontrollata rischia inevitabilmente di soffocare l’umanità stessa.

  • Michele Boato: La proposta gandhiana e quella nonviolenta in generale non si limita all'antimilitarismo, ai diritti umani, al diritto all'indipendenza delle nazioni: va al cuore del modello economico e sociale, propone la produzione e il consumo locale-regionale, l'artigianato, l'agricoltura biologica, la cooperazione e la sobrieta'.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e rispetto per i viventi, la biosfera, la "madre terra": quali implicazioni e conseguenze?

  • Giulio Vittorangeli: Per rispondere non basterebbero cento libri... Una sola antica citazione, che mi sembra appropriata: "La terra è madre di tutto ciò che è animato, il legame comune delle generazioni passate, presenti e future".

  • Giuseppe Moscati: Anche questo è un tema già in buona parte affrontato: ribadisco che la nonviolenza è la forma di cura per eccellenza, che non può limitarsi ad esprimersi solamente nei confronti degli altri uomini e delle altre donne: nonviolento è chi ha cura anche per gli animali, per i vegetali, per il pianeta Terra e per gli altri pianeti e costellazioni: anche per i buchi neri!

  • Generoso Canagliozzi: Condivido quanto in questi campi è sapere comune dei popoli che furono oppressi dal colonialismo e che in una resistenza plurisecolare hanno saputo anche mantener viva la consapevolezza del legame che unisce gli esseri umani e la natura. Da Rigoberta Menchù a Vandana Shiva, questo sapere sta ora riemergendo, e connettendosi alle più avanzate ricerche delle scienze e del pensiero filosofico ed alla più virtuose pratiche relazionali, sociali e politiche, fornisce il sostrato e la strumentazione per la plurale e corale iniziativa che l'umanità intera deve condurre per impedire che poteri vampireschi e logiche dissennate devastino irreversibilmente la biosfera e provochino il collasso della civiltà umana.

  • Michele Boato: Ecologia e nonviolenza sono, sempre di piu', un tutt'uno, sia a livello locale che planetario: non c'è distinzione tra la violenza fatta ad un essere umano e quella fatta alla natura.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza, compresenza, convivenza, scelte di vita comunitarie: quali implicazioni e conseguenze?

  • Giulio Vittorangeli: Credo che per rispondere adeguatamente bisognerebbe aver vissuto queste scelte. Non essendo il mio caso, non so rispondere.

  • Giuseppe Moscati: Tornerei alla solidarietà e cooperazione internazionale: convivere e', alla radice, molto più che sopravvivere. La comunita': ecco la parola chiave per ben intendere l’abitare lo stesso pianeta. Scusate l’autocitazione, ma è fresco di stampa un mio racconto per ragazzi (e non solo) intitolato Oniricos (Edizioni Era Nuova, Perugia 2010) che ragiona proprio su questi temi.

  • Michele Boato: Il villaggio gandhiano non è una esperienza trasportabile tal quale nel resto del mondo, ma se ne può trarre ispirazione: nelle nostre città la proposta mi pare quella del distretto di economia locale, una rete di reciproco sostegno non solo economico che può creare dei "villaggi" virtuali, nell'ambito di ambienti urbani di grandi dimensioni, tendenzialmente anonimi e aggressivi.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza, riconoscimento dell'altro, principio responsabilità', scelte di giustizia, misericordia: quali implicazioni e conseguenze?

  • Giulio Vittorangeli: Certamente forzo un pò la risposta; ma mi viene in mente la pedagogia liberatrice di Paulo Freire: "L’oppressore diventa solidale con gli oppressi quando il suo gesto cessa di essere un gesto sentimentale, di falsa religiosità di carattere individuale, e diviene un atto d’amore. Quando gli oppressi non sono più per lui un nome astratto e diventano uomini concreti che subiscono ingiustizia". "Nessuno - dice Freire - libera nessuno, nessuno si libera da solo: gli uomini si liberano nella comunione".

  • Giuseppe Moscati: Del riconoscimento dell'altro ho già detto; la misericordia rimanda a contesti che esulano dalla mia competenza e sulla giustizia preciserei che è un buon antidoto contro le ambiguità parlare di “giustizia sociale”; mi fa piacere cogliere l’opportunità di aggiungere qualcosa riguardo alla responsabilita'. Essa credo vada intesa in primo luogo come principio di ragione e di azione nonviolente: ce lo ha suggerito più o meno indirettamente anche Karl Jaspers, che ne ha chiarito la natura laica in contrapposizione al concetto di colpa (su cui pure egli ha scritto pagine memorabili), all’idea di peccato e simili.

  • Michele Boato: Nonviolenza non è solo attività politica e collettiva, ma anche rapporti interpersonali paritari, solidali, rilassati e tendenti all'amicizia.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e coscienza del limite: quali implicazioni e conseguenze?

  • Giulio Vittorangeli: Proprio perché conosco i miei limiti, piuttosto che dare una risposta scontata o banale, preferisco non rispondere.

  • Giuseppe Moscati: Vi ho anticipato diverse risposte fa... Aggiungo qui soltanto un’altra battuta: persino un insospettabile ispettore Callaghan, in una pellicola degli anni Settanta, diceva che ogni uomo non può prescindere dalla consapevolezza dei propri limiti.

  • Michele Boato: La proposta della sobrietà sia negli stili di vita individuali che in quelli sociali deriva dalla coscienza che abbiamo superato di molto il limite di sopportazione della terra, consumiamo le risorse rinnovabili di un anno nei primi otto mesi scarsi dell'anno, stiamo rubando le risorse e la vita stessa alle prossime generazioni: tutto ciò è una enorme violenza verso Gaia e verso i nostri discendenti.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza come cammino: in quale direzione?

  • Achille Scatamacola: Da Hans Jonas ad Albert Camus; da Franz Kafka a Giacomo Leopardi; da Rosa Luxemburg a Vandana Shiva

  • Giulio Vittorangeli: ella direzione dell’utopia, per cui fai tre passi avanti per raggiungerla e quella si è spostata di tre passi. A cosa serve allora? Serve per camminare.

  • Giuseppe Moscati: La direzione, per fortuna, non è unica: la nonviolenza cammina in più direzioni e macina chilometri su chilometri senza la possibilità di recriminare o di rinfacciare a nessuno delle tante energie spese. Essa assiste gli individui in diversi aspetti della loro vita e non certo nel solo campo di opposizione alle guerre.

  • Generoso Canagliozzi: Mi appassiona e commuove l'idea della nonviolenza come cammino, in guisa di carovana dell'umanità intera. E se dovessi sviluppare la metafora, aggiungerei: facendo centro sul proprio e universale accampamento, nessuno abbandonando al deserto, andando di sorgente in sorgente.

  • Michele Boato: Cerchiamo di camminare verso società più giuste sia nei rapporti umani che in quelli planetari.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e internet: quale relazione? e quali possibilità'?

  • Giulio Vittorangeli: Sul ruolo di internet c’è oggi un grande dibattito (su neutralità e imparzialità della rete) che tende ad evidenziare tutte le sue possibilita', soprattutto in termini di libertà d’informazione, comunicazione, circolazione dei contenuti (la rete come un bene comune); quindi di democrazia. È evidente che la nonviolenza deve "utilizzare" internet, senza però cadere nella trappola di considerarla come "il tutto". Il rischio di restare chiusi in casa a scaricare da internet "tutto quanto avviene nel mondo" mi pare una sciocchezza infinita.

  • Giuseppe Moscati: Altro argomento già emerso nelle precedenti risposte: grandi possibilità e direi anche enormi attese dal mondo dei giovani.

  • Generoso Canagliozzi: In quel grande specchio ed immondezzaio del mondo che è la rete telematica vi è tuttavia attualmente la possibilità di collocare e far circolare pressochè gratuitamente, ovvero mettere a disposizione di potenzialmente innumerevoli persone, materiali di informazione, documentazione, studio e coscientizzazione. Ogni volta che si utilizza internet per diffondere materiali di assoluto valore, la verità e la liberazione fanno un passo avanti; ogni volta che vi si collocano cose approssimative o sciocche o inadeguate si aiuta il fascismo. So bene che alla luce di questo criterio la quasi totalità dei siti cosiddetti ecopacifisti, equosolidali e nonviolenti farebbero meglio a cancellare la quasi totalità del materiale che ospitano.

  • Michele Boato: Internet è uno strumento che può dare grande spazio alla democrazia, all'informazione pulita, alla costruzione delle reti locali e planetarie.

 

Paolo Arena e Marco Graziotti: Potrebbe presentare la sua stessa persona (dati biografici, esperienze significative, opere e scritti...) a un lettore che non la conoscesse affatto?

  • Achille Scatamacola: Di vista che si offusca, doloranti i denti e i nervi e i muscoli facciali a rendere difficile mangiare e parlare, e come la natura ama nascondersi.

  • Giulio Vittorangeli: Non mi piace autopresentarmi, riporto (in forma sintetica) quanto già scritto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo: Giulio Vittorangeli è nato a Tuscania (Vt) il 18 dicembre 1953, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di solidarietà internazionale, con una lucidità di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili. È il responsabile dell’Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed è impegnato in rilevanti progetti di solidarietà concreta; ha costantemente svolto anche un’alacre attività di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresì un’intensa attività pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni. Ha partecipato alla realizzazione, stesura e pubblicazione di tre libri: Que linda Nicaragua!, Associazione Italia Nicaragua, Fratelli Frilli editori, Genova 2005; Nicaraguita, la utopia de la ternura, Terra Nuova, Managua, Nicaragua, 2007; Nicaragua. Noi donne le invisibili, Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, Davide Ghaleb editore, Vetralla (Vt) 2009. Per anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della solidarietà sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997). Attualmente cura il notiziario "Quelli che solidarieta'".

    Una precisazione. Alcune di queste riflessioni sono già state pubblicate sul notiziario "La nonviolenza è in cammino"; per quello che riguarda, invece, l’analisi dei rapporti tra nonviolenza e lotte di liberazione dei popoli (sul valore rivoluzionario della nonviolenza compiuta in comunione e non già in contrapposizione coi movimenti di liberazione latinoamericani, che la violenza hanno sempre patito sulla propria carne ma che anche sono stati costretti dalla situazione storica a considerarla come un’opzione con cui confrontarsi), devo moltissimo alle riflessioni di Giulio Girardi, da cui ho mutuato idee e citazioni. Vorrei percio', approfittando di questo spazio per inviare un messaggio di fraternità e di amicizia a Giulio Giradi; una delle voci più significative ed eterodosse della nostra cultura, maestro di prassi liberatrice, a cui tutti noi dobbiamo moltissimo.

  • Giuseppe Moscati: Mi chiamo Giuseppe Moscati, sono dottore di ricerca in Filosofia e Scienze umane e da più di un decennio collaboro con il Dipartimento di Scienze filosofiche dell’Università degli Studi di Perugia. Mi occupo prevalentemente di tematiche etiche e di alcuni aspetti filosofico-educativi legati in particolare all’educazione alla nonviolenza, di cui in diverse occasioni sono stato formatore. Quanto al pensiero di Aldo Capitini, da tempo vado approfondendo i suoi risvolti etico-politici e di recente ho curato gli Atti del I Convegno dei giovani studiosi capitiniani - Il pensiero e le opere di Aldo Capitini nella coscienza delle giovani generazioni (edito da Levante, Bari 2010) -, convegno che ho avuto la fortuna di organizzare a Perugia grazie all’Anaac, l’Associazione Nazionale Amici di Aldo Capitini di cui sono segretario. Collaboro con la Fondazione Centro studi Aldo Capitini di Perugia, che tra le varie attività sta editando l’epistolario capitiniano: lo scorso anno ho curato (con Thomas Casadei) il carteggio Aldo Capitini - Guido Calogero, Lettere 1936-1968, Fondazione Centro studi Aldo Capitini, Carocci, Roma 2009.

    Solo un suggerimento: sarebbe interessante sottoporre anche solo alcune di queste domande ad amici della nonviolenza di altri Paesi, proprio per avere punti di riferimento utili a coordinare al meglio le energie e le iniziative oltre che a prendere consapevolezza di quale sia la situazione fuori dall’Italia. Grazie e complimenti per il lavoro che portate avanti.

  • Michele Boato: Il mio impegno principale è in campo ecologico, sul piano locale (veneziano e veneto) e nazionale (riduzione dei rifiuti, risparmio ed energie rinnovabili). Dal 1973 al 2006 ho insegnato economia (e diritto) alle superiori, con un intervallo di dodici anni in Regione Veneto (consigliere e, per due anni, assessore all'ambiente, urbanistica, viabilità e lavori pubblici) e un anno e mezzo deputato (1987-'88, poi dimissioni per rotazione).

 

 

Note biografiche degli intervistati:

Giulio Vittorangeli: Collaboratore dei notiziari del Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo, impegnato da sempre nei movimenti della sinistra di base e alternativa, ecopacifisti e di solidarietà internazionale, con una lucidità di pensiero e un rigore di condotta impareggiabili. È il responsabile dell’Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, ha promosso numerosi convegni ed occasioni di studio e confronto, ed è impegnato in rilevanti progetti di solidarietà concreta; ha costantemente svolto anche un’alacre attività di costruzione di occasioni di incontro, coordinamento, riflessione e lavoro comune tra soggetti diversi impegnati per la pace, la solidarieta', i diritti umani. Ha svolto altresì un’intensa attività pubblicistica di documentazione e riflessione, dispersa in riviste ed atti di convegni; suoi rilevanti interventi sono negli atti di diversi convegni. Ha partecipato alla realizzazione, stesura e pubblicazione di tre libri: Que linda Nicaragua!, Associazione Italia Nicaragua, Fratelli Frilli editori, Genova 2005; Nicaraguita, la utopia de la ternura, Terra Nuova, Managua, Nicaragua, 2007; Nicaragua. Noi donne le invisibili, Associazione Italia-Nicaragua di Viterbo, Davide Ghaleb editore, Vetralla (Vt) 2009. Per anni ha curato una rubrica di politica internazionale e sui temi della solidarietà sul settimanale viterbese "Sotto Voce" (periodico che ha cessato le pubblicazioni nel 1997). Attualmente cura il notiziario "Quelli che solidarieta'".

Giuseppe Moscati: Dottore di ricerca in Filosofia e Scienze umane e da più di un decennio collabora con il Dipartimento di Scienze filosofiche dell’Università degli Studi di Perugia. Si occupa prevalentemente di tematiche etiche e di alcuni aspetti filosofico-educativi legati in particolare all’educazione alla nonviolenza, di cui in diverse occasioni sono stato formatore. Ha approfondito molto il pensiero di Aldo Capitini.

Michele Boato: docente di economia, impegnato contro la nocività dell'industria chimica dalla fine degli anni '60, è impegnato da sempre nei movimenti pacifisti, ecologisti, nonviolenti. Animatore di numerose esperienze didattiche e di impegno civile, direttore della storica rivista "Smog e dintorni", impegnato nell'Ecoistituto del Veneto "Alexander Langer", animatore del bellissimo periodico "Gaia" e del foglio locale "Tera e Aqua". Ha promosso la prima Università Verde in Italia. Parlamentare nel 1987 (e dimessosi per rotazione un anno dopo), ha promosso e fatto votare importanti leggi contro l'inquinamento. Con significative campagne nonviolente ottiene la pedonalizzazione del centro storico di Mestre, contrasta i fanghi industriali di Marghera. È impegnato nella campagna "Meno rifiuti". È stato anche presidente della FederConsumatori.

 

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Paolo Arena e Marco Graziotti, dell'Associazione "Viterbo oltre il muro", che opera nell'ambito della formazione alla nonviolenza, hanno proposto singolarmente agli intervistati queste domande.

Come Accademia Apuana della Pace, nel pubblicare queste interviste,abbiamo deciso di raggrupparle , in modo da permetterne, nella lettura, un confronto tra le diverse posizioni.

Fonte: Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo

 

Altre interviste di Paolo Arena e Marco Graziotti pubblicate sul sito:

www.aadp.it/dmdocuments/doc945.pdf

Come approfondimento alla nonviolenza, pubblichiamo insieme le interviste, realizzate singolarmente da Paolo Arena e Marco Graziotti, della redazione di "Viterbo oltre il muro a Paolo Bertagnolli, Vincenzo Puggioni, Marta Ghezzi, Catiuscia Barbarossa, Tiziano Cardosi, Francesca Fabbri e Daria Dibitonto.

Spazio di informazione nonviolenta", un'esperienza nata dagli incontri di formazione nonviolenta che si svolgono settimanalmente a Viterbo.

Questo ciclo di interviste verrà utilizzato nei momenti formativi realizzati dall'Associazione.

Come approfondimento alla nonviolenza, pubblichiamo insieme le interviste, realizzate singolarmente da Paolo Arena e Marco Graziotti, della redazione di "Viterbo oltre il muro a Paolo Borsoni, Pierluigi Consorti, Paolo Macina, Mauro Furlotti e Daniele Lugli.

Spazio di informazione nonviolenta", un'esperienza nata dagli incontri di formazione nonviolenta che si svolgono settimanalmente a Viterbo.

Questo ciclo di interviste verrà utilizzato nei momenti formativi realizzati dall'Associazione.