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2001-2011. Dopo tante guerre e imprese armate il mondo non è più sicuro nè meno spaventato. Si può continuare così? Quando comincerà una politica di pace?Dopo l'11 settembre 2001, le azioni militari in nome dell'"antiterrorismo" hanno provocato circa 250.000 vittime in Iraq e Afghanistan e quasi 7 milioni di profughi. In dieci anni gli Stati Uniti hanno speso tremila miliardi di dollari e perso settemila uomini.

Essere contro la guerra è sempre più difficile ed essere per la pace lo è ancora di più. È lontanissimo il 2003, con la moltitudine delle bandiere arcobaleno appese alle finestre contro la guerra in Iraq.
Intanto, dopo lo tusnami e il disastro atomico atomico giapponese, è esplosa in maniera improvvisa e dirompente la guerra di Libia, appendice insanguinata della breve stagione dei gelsomini che ci ha entusiasmato con le manifestazioni di Tunisi e dell'Egitto.

Si gridò allo scandalo, all'immoralità, alla barbarie, quando, dopo la strage provocata dall'attacco alle Torri Gemelle, nei telegiornali e su internet si videro le immagini - davvero sconvolgenti - di quei palestinesi che festeggiavano l'evento. Il civile Occidente non sopportava che qualcuno potesse gioire della sofferenza di qualcun altro. Non sopportava questo? O semplicemente che qualcuno gioisse delle sue sofferenze?

Nei primi giorni della guerra in Libia, in molti si sono interrogati sulla posizione dei credenti italiani circa l’intervento militare e sul silenzio dei “pacifisti cattolici”. Un’interessante risposta l’ha fornita Luca Diotallevi, sociologo ed eminente collaboratore della Cei, in un articolo apparso su Il Riformista del 29 marzo.

Di fronte all'angoscia che provo per la situazione che stiamo vivendo, un piccolo conforto mi deriva dai discorsi che  mettono in luce la necessità di scambiare idee, informazioni, confrontarsi, prima di trinciare giudizi dettati da appartenenze politiche e/o ideologiche.