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L'indignazione è morta

L’indignazione è morta. Non solo quella istituzionale, capace di risvegliarsi oramai solo quando in ballo ci sono interessi economici o politici propri, ma anche quella sociale. La nostra, insomma.

Oramai i migranti morti in mare vengono contati a spanne dai media. Circa 30, almeno 60, ne mancherebbero altri 64… Numeri approssimativi, che se fossero “nostri” sarebbero raccontati come una strage, che se si riferiscono a “numeri” vivi vengono descritti come invasione. Ma non sono “nostri”, per cui l’approssimazione non ci riguarda. Per noi i “circa”, gli “almeno”, l’uso del condizionale non fanno la differenza. Non sono “nostri”. E l’indignazione è morta.

Dopo le 366 vittime del 3 ottobre, che per giorni hanno riempito le pagine dei giornali, indignato (?!) le istituzioni, gli altri corpi recuperati così, “alla spicciolata”, ci scivolano addosso.

La differenza della notizia, lo insegnano nelle scuole di giornalismo, è data dalla vicinanza. Più è vicina, più è sentita. E noi questi morti li sentiamo lontani. Non percepiamo la strage, sentiamo l’invasione.

Siamo inumani sì, ma da manuale. Capaci di commuoverci davanti all’Olocausto,di indignarci contro chi allora non si oppose alla deportazione dei nostri ebrei, ma impassibili davanti ai morti migranti. Siamo professionisti dell’ipocrisia.

 

Fonte: ComboniFem - Newsletter Suore Comboniane