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L'attualità di “La banalità del male”

Il “ribrezzo” che provo nell'ascoltare quanto successo a Roma e Treviso, ma anche i commentatori dei media e le dichiarazioni della politica (non ultima la terribile vignetta del Corriere della Sera di sabato), mi suggerisce quanto siano attuale le considerazioni e le riflessioni di Hannah Arendt su “La banalità del male”, libro che, per l'ennesima volta, sto leggendo e che, credo, sarebbe da consigliare come testo nelle scuole.

Le considerazioni, per quanto legittime, sulle periferie non eludono il problema di fondo di come il livello di assuefazione all'orrore e all'indignazione sia tremendamente mutevole e di come, anche le azioni e i pensieri più orribili, in un certo contesto diventino naturali e possano trovare anche una legittimazione.

E' questo che mi fa ribrezzo... e mi fa ribrezzo quella politica criminale che, in maniera più cruda o più soft, utilizza la paura, l'insicurezza la rabbia finalizzata a schiacciare la persona più debole, il capro espiatorio del momento... cercando nella devastazione culturale e nel seminare odio un beneficio elettorale.

Quale differenza c'è tra l'ascesa al potere e l'egemonia culturale esercitata dai movimenti nazisti e fascisti negli anni '20?

L'orrore nazista non è stato un fatto eccezionale e incontrollato... è stato tremendamente pianificato e accettato quotidianamente... secondo modalità e forme che nulla hanno di diverso da quanto sta accadendo nella nostra società, in cui siamo disposti, per un bene supremo rigorosamente nostro, a sacrificare migranti, rom... ma anche il popolo greco ad esempio...

Paradossalmente, in forme diverse, c'è un filo conduttore che lega tutto questo, e che da un lato ci impedisce di cogliere l'orrore che stiamo perpetuando e, dall'altro, questo oblio che ci avvolge è funzionale a certa politica criminale per consolidare il proprio potere.

Dice il nazista Kube1 “Io sono certamente un duro e sono pronto a contribuire alla soluzione del problema ebraico, ma gente che viene dal nostro stesso ambiente culturale [ebrei tedeschi] è sicuramente un po' diversa dalle bestiali orde indigene.”

L'orrore non è il gesto che si fa... ma lo status della vittima...

L'orrore cambia a seconda di quale legittimazione il carnefice possa avere.

Sentir parlare di “operare in Africa”, senza sentire una parola di indignazione sui lager che esistono in Libia è assurdamente ipocrita.

Denunciare l'apartheid nei paesi lontani, e non riconoscerla quando la pratichiamo in Europa (vedi Sinti e Rom) e nel vicino Israele.

Mi domando dopo gli immigrati e i rom chi saranno i prossimi ultimi, causa estrema dei nostri mali e delle nostre paure?

Mi domando quale assuefazione razzista, perché di razzismo si tratta, dovremmo ancora subire per smettere di cogliere che l'altra/o è una donna/uomo... che è persona umana... come me?

E' uomo e donna ancor prima che immigrato, senegalese, rom, omosessuale...

Stiamo parlando di uomini e non di bestie...

E quando non si riconosce all'altro la dignità di persona umana... questo si chiama razzismo e apartheid.

Siamo chiamati a questa sfida... a camminare e nuotare controcorrente... perché la corrente che imperversa è una corrente buia... è la banalità del male che ci avvolge e che ci porta, magari a livelli diversi, a tollerare una certa dose di orrore e di disumanizzazione...

Operare controcorrente, cosa di cui la stragrande maggioranza della cultura politica è incapace, per costruire una cultura altra di convivenza e di riconoscimento dell'altro, della sua umanità... cercando di cercare di tornare umani, pratica che stiamo smarrendo.

Operare controcorrente assegnando all'accoglienza e all'inclusione l'elemento centrale della pratica politica, perché solo un contesto inclusivo, in cui a ciascuno è riconosciuta l'umanità, è possibile trovare crescita, sicurezza e solidarietà.

Ma questa banalità del male, da non sottovalutare, nella quale siamo immersi, quasi senza accorgercene, conduce all'orrore, perpetua l'orrore, assuefacendoci ad esso, ... del quale ne siamo corresponsabili.

1"La banalità del male" di Hannah Arendt, ed. Feltrinelli pag. 104