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Reato d'ingresso e soggiorno irregolare : ancora una bocciatura in sede europea della disciplina italiana in materia di rimpatri

Con la sentenza depositata ieri (caso Sagor), la Corte di giustizia dell’Unione europea ha risposto alle questioni sollevate dal Tribunale di Rovigo in ordine alla compatibilità del reato di ingresso e soggiorno irregolare (art. 10 bis t.u. imm.) con la direttiva 2008/115 in materia di rimpatri degli stranieri irregolari.

La Corte, dopo avere affermato nel 2011 con la sentenza El Dridi che lo Stato non può sanzionare con la pena detentiva lo straniero in ragione della sua irregolarità, ha invece con la sentenza Sagor chiarito che non è contraria alla direttiva la previsione come reato della permanenza irregolare, quando (come nel caso dell’art. 10 bis) il legislatore preveda la sola pena pecuniaria, in luogo di quella detentiva (§ 34 ss).

Rispondendo poi agli specifici quesiti posti del Tribunale di Rovigo, la Corte ha però, individuato due profili di irriducibile contrasto della disciplina italiana con la direttiva.

Innanzitutto la Corte ha stabilito che la possibilità, prevista dalla legge italiana, che il giudice penale sostituisca la pena pecuniaria con l’espulsione immediata a mezzo della forza pubblica, è conforme alla direttiva solo quando sussistano i presupposti previsti dalla stessa direttiva perché non sia concesso il termine per la partenza volontaria, cioè quando sussista un rischio di fuga: se tale rischio non è accertato nel caso concreto dal giudice penale, egli non può sostituire la sanzione pecuniaria con l’espulsione coattiva (§ 41).

Il secondo profilo riguardava la possibilità che la pena pecuniaria, se non pagata dallo straniero, venisse convertita nella pena della permanenza domiciliare: la Corte, ribadendo principi già affermati nella sentenza El Dridi ed in un’altra decisione del 2011, ha stabilito che questa sostituzione è illegittima, perché durante la procedura amministrativa di rimpatrio non è lecita alcuna forma di privazione di libertà in sede penale, che possa ostacolare l’esecuzione del rimpatrio (§ 45).

Per valutare gli effetti di questa decisione, bisogna ricordare le ragioni per cui, nel 2009, la maggioranza dell’epoca aveva deciso di introdurre il reato di ingresso e soggiorno irregolare: lo scopo di prevedere, per il migrante irregolare, il ricorso alla sanzione penale non era tanto quello di comminare una pena pecuniaria dal modestissimo effetto deterrente, quanto quello (espressamente rivendicato dall’allora ministro dell’interno Maroni) di aggirare in questo modo la direttiva, procedendo subito all’accompagnamento coattivo disposto dal giudice penale senza concedere il termine per la partenza volontaria previsto invece nella direttiva.

La Corte ha detto con chiarezza che ciò non è possibile, perché lo Stato deve concedere tale termine salvo che non si riscontri, nel caso concreto, un rischio di fuga dello straniero.

Nonostante che il reato non sia stato dichiarato di per sé incompatibile con la direttiva, la sentenza costituisce, obiettivamente, una grave bocciatura della legislazione italiana e delle sue scelte, improntate ad una logica punitiva, ingiusta ed inefficace.

Le finalità per cui il reato era stato introdotto non sono compatibili con il diritto europeo e viene dunque da domandarsi davvero che senso abbia mantenerlo, visto che la comminazione della sola pena pecuniaria, non ha alcun effetto deterrente e che non serve neppure, diversamente da quelle che erano le intenzioni del legislatore italiano, a rendere più rapida la procedura di rimpatrio.

Per approfondimenti

La sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea