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Se questo è un uomo

Non è un caso che  molti abbiano fatto riferimento a Primo Levi per esprimere il senso di quanto abbiamo visto a Rosarno in questi giorni.  Questo riferimento è un monito contro ogni tentativo di stemperare, distorcere, oscurare il significato di quanto è avvenuto. Migliaia di  esseri umani  sono stati trasformati in bestie, deprivati della loro dignità, e non da ora, ma da anni, nel silenzio complice delle istituzioni e nell’indifferenza della società civile. Eppure molte testimonianze, denunce, ricerche coraggiose hanno tentato di rompere questo muro di invisibilità, senza riuscirci.

Come è stato possibile? Come componenti di una istituzione - l’università - preposta all’educazione e alla formazione delle nuove generazioni sentiamo il bisogno e la responsabilità di capire come e perché tutto questo sia avvenuto e contemporaneamente la necessità di costruire un legame solido con tutte quelle forze - sociali e istituzionali - che in questi anni si sono battute, a fianco degli immigrati, contro il risorgere del razzismo, e l’annientamento dei diritti fondamentali.

In questo senso ci sembra importante sottolineare una forte preoccupazione di fronte al tentativo di svuotare la gravità e la portata degli eventi di Rosarno, riducendoli ad una sorta di "guerra tra poveri", o ad uno scontro tra opposte violenze. Il problema è molto più complesso.

I diritti infranti


Rosarno segnala l’assenza preoccupante di istituzioni in grado di riaffermare diritti di base e di cittadinanza. Gli immigrati sono l’anello più esposto ad un potere - quello mafioso - che opprime anche le popolazioni locali e crea condizioni di sfruttamento della mano d’opera bracciantile incompatibili con la permanenza dentro i confini dello stato di diritto. E questo malgrado la storia della Piana di Gioia Tauro sia stata segnata dalle lotte delle popolazioni locali contro la mafia e il latifondo, per cui molti hanno pagato con la vita.

Prove di criminalizzazione...

Rosarno rafforza ulteriormente una costruzione discorsiva sulla clandestinità come condizione criminale, occultando non solo le differenze tra gli immigrati, ma più in generale nascondendo il fatto che i più sono ridotti alla clandestinità da una legislazione che li rende fragili e continuamente esposti a diventare tali. La clandestinità è un alibi che consente alle istituzioni di sottrarsi ai doveri di accoglienza e di tutela dei diritti umani. E che consente la disponibilità di un esercito di braccia senza tutele, pagate a livello di fame e tenute in condizioni inqualificabili. Gli africani si sono ribellati. Quale scelta restava loro per rivendicare la propria dignità di persone?

... e di "deportazione"


Il ripristino della legalità è passato attraverso l’allontanamento di massa degli immigrati africani o attraverso la loro espulsione. Il cortocircuito tra clandestinità e criminalità ha consentito al governo di legittimare il trasferimento coatto di oltre un migliaio di persone come strumento di ritorno alla normalità, come strumento di pacificazione! Appare scioccante il fatto che il ripristino della "legalità" sia pensato attraverso questi strumenti e non, come vorrebbe uno stato di diritto, attraverso il ripristino delle tutele del lavoro e dei diritti umani, totalmente messi in scacco a Rosarno. Le responsabilità istituzionali emergono chiare. Di fatto l’impegno di alcune amministrazioni comunali come quelle di Riace, Badolato, Caulonia negli anni passati hanno mostrato che, quando esiste la volontà politica, è possibile  tutelare e difendere i diritti fondamentali e intervenire positivamente sulle forme dell’accoglienza.

Potere criminale e "razzismo mafioso"


Nello svolgimento del conflitto e nella pratica dello sfruttamento della manodopera africana  appare evidente un ruolo di coordinamento della criminalità organizzata, messa sotto accusa, solo un anno fa proprio dalla comunità africana di Rosarno. Non si può peraltro sottovalutare la componente razzista dei comportamenti di giovani teppisti, spesso rampolli delle cosche più in vista, che da anni  esercitano la loro violenza gratuita e omertosa contro gli immigrati.

La "dignità del lavoro"


La condizione di servitù e di annullamento di ogni dignità umana  su cui si regge la produzione di ricchezza di gran parte del capitalismo è la scatola grande che contiene la piccola scatola di Rosarno, dei suoi immigrati e della vergognosa caccia all’uomo di colore. La questione del lavoro e della sua dignità torna ad essere una questione vitale per la tutela della democrazia di tutto il mondo occidentale e del nostro paese.

Mario Alcaro Università della Calabria
Franco Altimari Università della Calabria
Donatella Barazzetti Università della Calabria
Guerino D’Ignazio Università della Calabria
Piero Fantozzi Università della Calabria
Sonia Floriani Università della Calabria
Silvio Gambino Università della Calabria
Francesco Garritano Università della Calabria
Anna Jellamo Università della Calabria
Peppino Lavorato (già sindaco di Rosarno)
Fulvio Librandi Università della Calabria
Guido Liguori Università della Calabria
Luigi Lombardi Satriani (Università La Sapienza-Roma)
Donatella Loprieno Università della Calabria
Amelia Paparazzo Università della Calabria
Giap Parini Università della Calabria
Giuseppina Pellegrino Università della Calabria
Tonino Perna (Università di Messina)
Raffaele Perrelli Università della Calabria
Giuseppe Pierino (già deputato PCI)
Fernando Puzzo Università della Calabria
Francesco Raniolo Università della Calabria
Domenico Rizzuti (SEM)
Giuseppe Roma Università della Calabria
Antonella Salomoni Università della Calabria
Renate Siebert Università della Calabria
Armando Taliano Grasso Università della Calabria
Vito Teti Università della Calabria