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Treviso e gli schei (Maria G. Di Rienzo)

Pubblicato su "Notizie minime della nonviolenza", n. 651 del 26 novembre 2008 

Quando sono arrivata c'erano moltissimi alberi, e panche per star seduti sotto gli alberi. Niente recinti per i giardini, e nei giardini bambini monelli e nonni di giorno, varia umanità soprattutto giovane la sera.
L'atmosfera era un pò sonnolenta ma quieta, la malignità sfogata in pettegolezzi tutto sommato innocui del tipo: La vedi quella con i vestiti firmati? Per comprarseli mangia insalata mattina e sera. Oppure: Ah sì, quello ha il fuoristrada ma è pieno di debiti. C'erano chiese ed edifici dall'aria molto anziana e stanca, più che antica, ti veniva voglia di sorreggerli al gomito e di chiedere come si sentivano. E pensavo: qui non cambierà mai niente, ma in fondo è pur meglio di tanti altri posti, è tranquillo
Poi sono cominciati ad apparire gli slogan sui muri, i manifesti. Roba appiccicata a mano, con scritto per esempio: "Questa strada va bene per i carretti siciliani". Guardo la strada. Forse ha bisogno di manutenzione, c'è una piccola buca là in fondo, ma cosa c'entrano i carretti siciliani? Passa qualche tempo e me lo spiega un poster più professionale, intendo tirato a stampa: con la sagoma dell'Italia sullo sfondo, ha in cima una gallina che produce uova d'oro, e in fondo una massaia sogghignante che le raccoglie nel grembiale. I pettegolezzi di cui sopra cominciano a non sembrarmi più tanto irrilevanti: indicano i soldi come il fulcro da cui far partire ogni altra considerazione. E il manifesto è molto chiaro, dice che "noi" produciamo denaro e che tale denaro ce lo fregano "loro", i meridionali, i fannulloni, Roma. Nella piazza principale della città, su una colonna, appare un inno delirante il cui ritornello è appunto "via da Roma". I toni si fanno via via sempre più violenti, sempre più folli: il nemico è lo stato italiano, si evocano guerre di secessione, si inventano improbabili mitologie "celtiche" per dare una profondità fittizia ad un'ideologia che non può averne, basata com'è sull'esaltazione di egoismo e ignoranza. E il partito fondato su questi presupposti vince le elezioni comunali. La stampa locale si mette immediatamente al servizio dei vincitori. Fa del sindaco una sorta di maschera della commedia dell'arte, che ottiene la prima pagina anche se starnutisce. Può dire qualsiasi cosa: sono un sindaco razzista, gli immigrati dovrebbero essere messi nei vagoni piombati, c'è corda e ci sono alberi per liberarsi di loro, li metterei ai lavori forzati sul Piave. Può evocare manganelli e olio di ricino, e tutto viene rubricato sotto la dicitura "opinioni" e i titoli gongolano delle "polemiche". È il trionfo dell'azzeramento morale, inneggiare ai campi di sterminio o alla pace sono "opinioni" che si equivalgono, ma alla prima, poiché è sostenuta da uomini del governo locale, si offre uno spazio sperequato. Se siamo preoccupati, noi che non abbiamo votato questo tizio? Certamente, ma ci sembra di essere parecchio soli. Vorremmo un pò d'aiuto.
Lo chiediamo.

Ricordo due folgoranti incontri con persone di un certo peso politico, appartenenti alla sinistra: due "menti", venute in occasioni diverse a condividere un pò della loro sapienza e a spiegarci perché era successo.
La donna disse: "Vogliono le strade, le infrastrutture, e fategliele una buona volta" (questo detto di una delle regioni più devastate a livello urbanistico e ambientale); l'uomo parlò della necessità di cavalcare con furbizia le proteste di quelli che non volevano pagare tasse o multe perché i soldi andavano a Roma, e Roma li dirottava ai nullafacenti del sud.
"Dategli ragione, così vi voteranno": anche quando hanno torto e sono evasori fiscali? Anche se le loro recenti fortune economiche sono ampiamente basate su regalie "romane", statali, con leggine ad hoc preparate nel passato dal sistema clientelare democristiano?
Naturalmente non contrastare la xenofobia avrebbe condotto all'allargamento dello spettro dei suoi bersagli, che infatti si allargò. Per mantenere alto il livello di rabbia e di paura si inventano nuovi nemici. I giardini vengono cintati e chiusi con lucchetti al tramonto. Ai parapetti dei ponticelli sui canali si inchiodano fioriere, con la dichiarata intenzione non di abbellire i luoghi, ma di impedire alla gente di sedersi! Gli alberi hanno la sfortuna di non piacere al sindaco, che viene visto in un paio di occasioni addirittura prenderli a calci, e così sono abbattuti indiscriminatamente. Oggi se non piove per un pò l'aria della città è irrespirabile a causa del livello di inquinamento, che "sfora" ogni volta la soglia di allarme, ma gli alberi non sono più qui ad aiutarci. Infine il sindaco dichiara di non voler vedere nella sua città pantegane (ratti): neri, gialli e marroni ed "efebi" (così lui chiama le persone omosessuali).
E poiché secondo lui il raduno dei sorci avviene principalmente attorno alla stazione ferroviaria, e attorno alla stazione ferroviaria ci sono ovviamente delle panchine, le fa togliere. Balziamo improvvisamente all'attenzione nazionale e internazionale: è lo scandalo dell'imbecillità più gretta e controproducente.

La storia della manifestazione che "ripiantò" le panchine (furono rimosse dai vigili urbani il giorno successivo) sarebbe troppo lunga da raccontare nel dettaglio. Ma qualcosa vale la pena di essere ricordato, qualcosa che pochi sanno. Ad esempio, che la sua preparazione cominciò con una mail inviata da due tizi a una miriade di associazioni, partiti, gruppi eccetera.
Una di quei due tizi ero io, e la lettera cominciava rubando le parole a Martin Luther King: "Abbiamo un sogno". Poi ci facemmo da parte, e nemmeno salimmo sul palco al termine di quel giorno di sole in cui avemmo per compagni e compagne altre cinquemila persone. La mia soddisfazione personale consistette infatti nel sedermi sulla panchina ripiantata assieme ad una giovane donna di colore. Credo che qualcuno ci abbia fotografato mentre ci stringiamo le mani. Dalla manifestazione nacquero molte cose (innanzitutto le "polemiche" care alla stampa locale, che incredibilmente si trascinarono per anni), fra cui l'Osservatorio antirazzista delle donne di cui fui cofondatrice.

A posteriori, ora che l'Osservatorio non esiste più, direi che per il tempo in cui abbiamo lavorato, circa cinque anni, abbiamo fatto molte cose buone.
L'approccio prevalente consisteva di due azioni: quella di contrasto e denuncia che comportava la lotta quasi quotidiana perché fosse dato spazio alle nostre parole, e quella forse un pò ingenua del favorire occasioni di incontro fra trevigiani nativi e trevigiani immigrati. Pensando che molta della paura nascesse dalla mancanza di conoscenza, cercavamo di diffondere quest'ultima. Ma non ci volle molto a capire che nessuna statistica, nessun numero, nessun dato di fatto e nessun incontro scalfiva le basi dell'odio. I migranti ne venivano investiti come "ultimo nemico" presentato sulla scena, senza che tale odio avesse riscontri reali. Il partito di fioriere e manganelli continua a vincere le elezioni comunali e provinciali, a un decennio di distanza da quel giorno di novembre in cui il cielo ci sorrise, ma l'umore della città non si spostò di una virgola.

Il sindaco-maschera verrà probabilmente riproposto per il terzo mandato il prossimo anno (ora è vicesindaco, ha dovuto fare una pausa per legge). Ha creato con la complicità dei quotidiani locali, a livello di comunicazione, una situazione per cui ha degli epigoni ansiosi di avere anche loro la foto in prima pagina. L'ultimo in ordine di tempo, ma se dovessi elencarli tutti ci vorrebbe un'enciclopedia, è un membro del suo stesso partito che in consiglio comunale ha evocato le SS come "metodo" per trattare con gli immigrati. Ho letto che sarebbero apparse interviste televisive fatte per strada in città, con uomini e donne che plaudono all'uscita del consigliere. Non stento a crederlo, anche se voi che leggete vi siete messi/e da un pezzo le mani nei capelli. Ma dopo un periodo molto lungo di insulti e invettive assolutamente non collegabili ad alcun episodio reale, e nessuna politica per l'integrazione, qualcosa sta cambiando anche qui, nel posto sonnecchiante e quieto che avevo giudicato scarsamente suscettibile di trasformazioni. Nel giro di pochi mesi si sono verificati in città e provincia omicidi a scopo di rapina, stupri e tentati stupri, uxoricidi, aggressioni. Naturalmente, i governanti locali hanno protestato in modo vistoso solo quando gli autori (o presunti tali) dei reati erano immigrati.
Hanno preparato le ordinanze "anti sbandati", per cui la residenza in città sarebbe subordinata al reddito: di recente ho scritto pubblicamente al sindaco in carica chiedendogli se mi caccerà, perché ricado sotto la soglia di "schei" da lui fissata per restare in questo posto allucinante.

Adesso, forse troppo tardi, ho capito cos'era quell'aria trasognata che Treviso mi presentò al mio arrivo. È una città drogata. Si "fa" di soldi, soldi, soldi. Pellicce e appartamenti, macchinoni e abbronzature da Senegal in dicembre, telefonini a cui manca solo la propulsione spaziale, grandi mangiate e grandi bevute e "grandi fratelli", e si può dire tutto quel che si vuole perché le parole sono diventate flatulenze e spariscono puzzolenti nell'aria. È una città insicura, è vero, tutti questi "schei" sono transeunti. Potrebbero essere rubati, e spariscono comunque. Sono largamente immateriali, anche se comprano e vendono oggetti e sesso. Non salvano dal cancro neppure se ti permettono di andare a curarti in Svizzera: poi torni qua e respiri un altro pò di scarichi della tua automobilona e i tuoi bambini chissà perché sono allergici a quarantamila cose e hanno la febbre un giorno sì e l'altro pure. Non stabiliscono buone relazioni, i soldi. La maggioranza delle famiglie trevigiane che conosco si è scannata o si sta scannando su questioni ereditarie, spesso concernenti le proverbiali quattro palanche. Conoscete un dio più crudele? Un dio che dia assuefazione a questi livelli, promettendo tutto e non mantenendo nulla?