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Certamente papa Francesco era consapevole che l’assist dato alle politiche migratorie del governo italiano avrebbe avuto l’effetto di rinfocolare la canea antiprofughi delle destre razziste, non solo italiane ma anche europee. Destre di cui peraltro le strategie del ministro Minniti – e prima di lui le parole di Renzi – ricalcano i punti fondamentali: l’abbiamo sempre detto «non c’è più posto»; caso mai, «aiutiamoli a casa loro», ecc.

Parlando con i giornalisti sul volo che lo ha riportato in Italia dalla Colombia, Papa Francesco ha commentato l’operato del governo italiano in Libia e più in generale sulla gestione dei migranti, approvandolo. Il Papa ha citato alcuni esempi di integrazione «bellissimi» che ha osservato in Italia, e poi a proposito della Libia ha parlato dell’esistenza di “lager” dove vengono trattenuti i migranti – sono i cosiddetti “centri di detenzione”, dove vengono ripetutamente violati i diritti umani – ma ha ipotizzato che l’Italia stia facendo “di tutto” per risolvere il problema.

Non troviamo altro modo per definire nella sostanza il significato del “vertice di Parigi”. Un'iniziativa che gronda ipocrisia nel modo con cui è presentata. E che sancisce la vocazione dell'Europa a coniugare la propria guerra contro i poveri con una forma inedita di nuovo colonialismo nei suoi contenuti.
I tratti dell'operazione sono chiari, a saper leggere dietro il velo d'ignoranza costruito dal linguaggio diplomatico: estendere i confini dell'Europa fino alla portata dello sguardo, così da tenere i disperati della Terra fuori dalla nostra vista. Spostare le barriere dall'acqua alla sabbia: spariranno nel deserto, fuori da sguardi indiscreti, anziché affondare nello stesso mare blu delle nostre vacanze. Non li dovremo più vedere affogare quotidianamente nel Mare Nostro, creperanno nel deserto loro. E se qualcuno dovesse sfuggire a quella prima barriera, ci abbiamo già pensato noi, col “Codice Minniti” a svuotare il mare da osservatori scomodi - le “famigerate” ONG - malati di “estremismo umanitario” (sic!).

Il caparbio rifiuto europeo di far posto ai profughi e la maldestra condotta del governo italiano sui migranti (la dottrina Minniti, i vincoli posti alle operazioni di soccorso, la spedizione delle navi militari in Libia) hanno innescato una rovinosa deriva dell’opinione pubblica, sostenuta da una inaudita campagna di stampa contro ogni forma di accoglienza e di solidarietà. Questa, a ben vedere, al di là del supposto obiettivo delle ONG, ha di mira il papa che, con i gesti di Lampedusa e Lesbo, ha squarciato la cortina dell’omertà e ha posto la questione politica e morale della risposta da dare alla più grande tragedia del nostro tempo, quella delle migrazioni di massa.

Cari fratelli e sorelle!

«Il forestiero dimorante fra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso perché anche voi siete stati forestieri in terra d’Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio» (Lv 19,34).

Durante i miei primi anni di pontificato ho ripetutamente espresso speciale preoccupazione per la triste situazione di tanti migranti e rifugiati che fuggono dalle guerre, dalle persecuzioni, dai disastri naturali e dalla povertà. Si tratta indubbiamente di un “segno dei tempi” che ho cercato di leggere, invocando la luce dello Spirito Santo sin dalla mia visita a Lampedusa l’8 luglio 2013. Nell’istituire il nuovo Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, ho voluto che una sezione speciale, posta ad tempus sotto la mia diretta guida, esprimesse la sollecitudine della Chiesa verso i migranti, gli sfollati, i rifugiati e le vittime della tratta.

Il problema, la domanda importante oggi è questa: è possibile immaginare e far entrare nell’immaginario pubblico e anche nel dibattito politico che i migranti non sono tante somme di piccoli pezzi di popolo o grandi pezzi di popolo che migrano da qualche parte, che si disperdono, ma rappresentano quello che può chiamare un vero e proprio “popolo trasversale” ?