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I Cristiani, levasione fiscale e la legalità (Davide Tondani)

Tratto dal "Corriere Apuano" del 2 dicembre 2006

Il dibattito che in questi mesi si è sviluppato attorno ai temi della finanza pubblica e della legge Finanziaria ha riportato alla luce un problema che negli ultimi anni ha assunto proporzioni gigantesche, quello dell’evasione fiscale. La politica ha fronteggiato questa piaga sempre più debolmente, passando dalla decennale tolleranza del fenomeno, alla sua tacita approvazione con condoni di ogni genere, fino alla giustificazione – di un primo ministro davanti agli allievi della Guardia di Finanza, si badi bene – dell’evasione quando l’imposizione è ritenuta (da se stessi) troppo alta. In un contesto di degrado morale tra attori della vita pubblica – nessuno escluso – e di crescente individualismo tra i cittadini, nel Paese si è fatta spazio, senza che nessuno la arginasse, l’idea di vivere in uno stato opprimente e inefficiente, che tarpa le ali a non ben identificate libertà individuali, e che quindi merita di non essere finanziato. È questo il brodo di coltura in cui è nata l’idea che non pagare le tasse è lecito.
Il germe del rifiuto di versare alla collettività quanto è dovuto da ognuno, salvo poi reclamare quando i servizi pubblici diminuiscono in qualità o in quantità, è oramai dilagato tra gli italiani: si affievoliscono i valori del “bene comune” e della coesione sociale, rinascono i corporativismi, aumentano le frizioni tra classi sociali, tra chi evade e chi non può farlo, tra la sparuta minoranza di super-ricchi che dello stato può anche farne a meno e la maggioranza del paese che dello stato ha assoluto bisogno – anche se tra molti di essi la percezione di ciò spesso appare inconsapevolmente affievolita.
Il senso dell’impunità la fa da padrone, lo dicono i dati sui redditi dichiarati da certe categorie, che fanno capire che non si evade più “un poco” ma in maniera massiccia senza paura di controlli. E a braccetto con l’impunità va la tolleranza: un noto avvocato e politico, chiamato a rispondere di presunti fondi neri usati per corrompere giudici, pochi mesi fa si difese affermando che quei fondi erano stati occultati per non pagarvi le tasse, come se tutto sommato ciò non fosse granchè.
Forse ce ne siamo dimenticati ma è necessario riprendere consapevolezza che l’evasione fiscale è un reato.
Noi, come cristiani non possiamo accontentarci di questa affermazione; dobbiamo andare oltre: non possiamo tollerare l’evasione fiscale e poi reclamare l’assenza di risorse per le politiche famigliari, per l’infanzia e le giovani coppie. Monsignor Bruno Forte, noto teologo e Arcivescovo di Chieti, in una recente conferenza su etica e disuguaglianza ha giustamente affermato che “Anche la Chiesa, come guida morale dei credenti, deve far sentire più forte la propria voce: non pagare le tasse è un peccato grave, è rubare!".
Perché queste parole siano comprese e vissute e testimoniate nella società da ogni cristiano è necessario, come Chiesa, ricominciare ad ”Educare alla legalità”, titolo di un documento dei vescovi italiani del 1991, che richiamava l’impegno di Chiesa e cristiani su questo fronte perché “nel problema della legalità sono in gioco non solo la vita delle persone e la loro pacifica convivenza, ma la stessa concezione dell’uomo”.
La storia italiana ci dice in maniera inconfutabile quanto ”Educare alla legalità” fu profetico negli anni in cui fu pubblicato. Noi pensiamo che la profezia di quel documento troppo presto messo da parte sia valida ancora oggi. Se come Chiesa di Dio che vive nell’Italia di oggi sentiamo la necessità di dare il nostro contributo per il bene del paese, è da lì che occorre ripartire.