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Simonetta Fiori intervista Stefano Rodotà su La vita e le regole

Pubblicato su "La domenica della nonviolenza", n. 167 del 8 giugno 2008 e tratto dal quotidiano "la Repubblica" del 31 maggio 2006

È difficile trovare una definizione per La vita e le regole, il nuovo libro di Stefano Rodotà da pochi giorni in libreria. Tratta naturalmente di diritto, ma per segnalarne limiti e inadeguatezza. Veleggia nel maremoto giurisprudenziale usando come inedite bussole Yeats e Kundera. Per certi versi sorprendente anche l'indice dei nomi: rari i giuristi, più numerosi registi e letterati. "Posso stare un giorno senza letture giuridiche", scherza il professore, "ma guai a rinunciare a un romanzo. E il dolore l'ho capito di più leggendo Gadda che i codici".
Per epigrafe ha scelto Montaigne: "La vita è un movimento ineguale, irregolare e multiforme". Bastano le prime pagine per capirne il senso: il diritto non sempre asseconda la pienezza del vivere. Anzi: più frequentemente tende a impadronirsene, in un logorante corpo a corpo con i bisogni esistenziali. L'amore, la sessualità, la nascita, l'intimità, il caso, il dolore, la malattia, la cerimonia degli addii: in alcune sfere della vita la norma può risultare inopportuna, intollerante, odiosa. Per questo viene elusa, svilita, talvolta mortificata. E allora bisogna fermarsi in tempo. Arrestare la "giuridificazione" del mondo. Per restituire al diritto il suo valore originario.

- Simonetta Fiori: Ma come, un illustre civilista come Rodotà, cattedratico con esperienza internazionale, ora inopinatamente allergico alle regole?
- Stefano Rodotà: Direi meglio: consapevole dei limiti della regola. Di fronte a una realtà in tumultuoso cambiamento, noi giuristi abbiamo il dovere di riconoscere che il diritto non sempre appare adeguato alla sua complessità. Esistono zone dell'esistenza in cui la norma giuridica non deve entrare, o deve farlo con mitezza. Quel che io invoco non è certo una sua sospensione, ma una maggiore sobrietà: un diritto al servizio del mestiere di vivere.

- Simonetta Fiori: In quali casi non le appare tale?
- Stefano Rodotà: In tutti quei casi in cui i cittadini sono costretti a migrare altrove per decidere liberamente della propria vita. È quel turismo dei diritti che caratterizza soprattutto l'Europa. Il fenomeno non è nuovo.
Un tempo esisteva quello abortivo e del divorzio: ricordo ancora i charter diretti a Londra dove si poteva praticare l'interruzione di gravidanza. Era anche l'epoca in cui la legge sull'indissolubilità del matrimonio veniva aggirata con i divorzi internazionali: prima ungherese, poi messicano, poi americano...

- Simonetta Fiori: Ora prolifera il turismo procreativo, ed anche quello dell'eutanasia.
- Stefano Rodotà: Dall'Italia molte donne sono costrette a spostarsi in Inghilterra, in Belgio o in Spagna per accedere ad alcuni tipi di fecondazione assistita messi al bando dalla legge 40. Anche il diritto di morire con dignità spinge a riparare in Svizzera, dove la legislazione sul suicidio assistito è anche più liberale di Olanda e Belgio. Me ne parlò con dovizia di dettagli una persona straordinaria che organizzò qualche anno fa un incontro sull'eutanasia: il suo ultimo atto pubblico prima di ricoverarsi in Svizzera.

- Simonetta Fiori: Era un miliardario.
- Stefano Rodotà: Sì, qui sta proprio il problema. Di questo turismo dei diritti beneficiano solo i privilegiati. Il proibizionismo favorisce il ritorno alla cittadinanza censitaria, alla relazione diretta tra censo e godimento effettivo d'un diritto. E non è il solo effetto negativo.

- Simonetta Fiori: Quale altro?
- Stefano Rodotà: Il rischio della delegittimazione della norma. Quando non gode del consenso sociale, la regola è condannata all'elusione. La peggiore offesa che si possa fare alla giurisprudenza.

- Simonetta Fiori: Lo shopping dei diritti è un fenomeno planetario, non solo italiano.
- Stefano Rodotà: Sì, in un certo senso rappresenta un nuovo universalismo dei diritti che nasce dal basso - qui la novità -, non più imposto dall'alto. Soprattutto segnala che ci sono alcuni bisogni esistenziali dalla cui realizzazione non possiamo prescindere. Secondo alcuni studiosi, l'Ottocento sarebbe stato il secolo della libertà economica, il Novecento quello della libertà politica. La libertà finale, quella che riguarda le determinazioni proprio sulla vita, segnerebbe il secolo che stiamo vivendo.

- Simonetta Fiori: Lei affronta temi di cui non si parla, per reticenza o per pudore. L'eutanasia, ad esempio. Quel che viene chiamato il "suicidio assistito".
- Stefano Rodotà: Sì, è il vero problema. Altre questioni come la sospensione dell'accanimento terapeutico o la terapia del dolore - spesso erroneamente catalogate nel quadro dell'eutanasia - sono in via di soluzione, anche grazie all'istituzione del testamento biologico: ancora qualche anno e diventeranno pratica comune.

- Simonetta Fiori: Non accadrà più che il medico sussurri al parente del malato terminale: guardi che così lei accorcia la vita del suo caro. Capitava non molti anni fa, quando si sollecitava la morfina per il dolore.
- Stefano Rodotà: Conosco quel tipo di pressioni, risvegliano ricordi su cui non voglio tornare. Oggi il paziente ha il diritto di scegliere come accomiatarsi dalla vita. Certo, per il "suicidio assistito" occorre maggiore cautela. Bisogna accertare la volontà del malato, mettendolo al riparo dalle spinte egoistiche dei famigliari: c'è chi per fragilità non regge, chi mira all'eredità etc. Mi sembra però che la direzione più giusta sia quella di assecondare il diritto della persona di morire nel modo più dignitoso.

- Simonetta Fiori: L'impressione è che sia un fenomeno più consistente di quanto si ammetta pubblicamente.
- Stefano Rodotà: Sì, film come Le invasioni barbariche o Million Dollar Baby documentano una sensibilità diffusa e profonda, un'empatia tra il morente e le persone che ne accompagnano la fine: persone che si assumono la responsabilità non per pietà, ma per affetto. Anche una recente inchiesta dell'Università Cattolica racconta di medici che aiutano a morire. Non è un fenomeno recente. Diversi anni fa partecipai a un programma televisivo di Giorgio Rossi che si chiamava "Il duello". Fece una puntata sull'eutanasia e mi chiese di sostenere la parte "a favore". In una quindicina di giorni raccolsi numerose testimonianze. Poi però questi medici si rifiutarono di venire in trasmissione.

- Simonetta Fiori: C'è chi liquida l'eutanasia come segno di relativismo morale.
- Stefano Rodotà: Questa mi appare una sciocchezza. Il fatto è che le rivoluzioni scientifiche e tecnologiche hanno oggi reso possibili scelte individuali e collettive là dove prima agivano soltanto il caso e la necessità. Un tempo i confini erano disegnati dalle leggi naturali. Non ero nelle condizioni di scegliere se spegnere o meno una macchina fondamentale per la mia sopravvivenza perché non c'era la macchina. Così come non potevo scegliere se insistere in una determinata cura perché non c'era la cura. Oggi viviamo in quella che viene chiamata la "repubblica delle scelte". E queste talvolta possono essere - è il titolo d'un saggio di Guido Calabresi - "scelte tragiche".

- Simonetta Fiori: Che cosa l'ha indotta a questo ripensamento sulle regole?
- Stefano Rodotà: Sicuramente la mia esperienza. Da Garante della Privacy, incarico che ho ricoperto fino a qualche tempo fa, ho governato pezzi di vita altrui. Anche nella mia esperienza parlamentare sono entrato in contatto con le realtà più diverse. Oggi mi interessa più la vita della regola.

- Simonetta Fiori: Ma la regola è spesso invocata dalla stessa collettività per paura dinanzi all'esplodere irregolare della vita.
- Stefano Rodotà: È così. In alcuni campi, come ad esempio la clonazione, si manifestano angosce insopprimibili. E il diritto appare come l'unica cura sociale. È dalla società che arriva una richiesta costante di norme, limiti, divieti. Ma questo può essere rischioso per il diritto, piegato a un uso autoritario.

- Simonetta Fiori: Professore, lei a un certo punto sostiene che le conquiste tecnologiche modificano la nostra antropologia. A cosa allude?
- Stefano Rodotà: Le rispondo con la battuta d'una bambina californiana, tornata a casa da scuola con un microchip elettronico imposto dalle autorità scolastiche per controllarne i movimenti: "Non voglio essere un pacchetto di cereali". Questo è il rischio che corriamo: da soggetti liberi a oggetti impacchettati e sottoposti a sorveglianza.

- Simonetta Fiori
: La recente vicenda Telecom insegna: migliaia di clienti catalogati e controllati.
- Stefano Rodotà: Sì, è un caso esemplare di riduzionismo.

- Simonetta Fiori: Cosa intende?
- Stefano Rodotà: Che da persone siamo ridotti a un corpus di informazioni elettroniche, ossia acquisite con mezzi come telefoni fissi, cellulari, internet. Questa nostra riduzione a corpo elettronico è rischiosa per tanti motivi. Intanto è falsificante, perché noi non siamo soltanto quella roba lì: la nostra vita è come frantumata, dunque alterata. E poi in questo modo procediamo a grandi passi verso la società del controllo. Della nostra vita si impadroniscono i gestori delle banche dati.

- Simonetta Fiori
: Lei è mai stato controllato?
- Stefano Rodotà: Francamente non lo so. Mi hanno detto che lo ero, ma non ne sono curato più di tanto. Direi così: sono preoccupatissimo della società del controllo, ma non me ne sono mai fatto un problema personale.

- Simonetta Fiori: Il saggio che chiude il volume è dedicato a Pier Paolo Pasolini. Una scelta non casuale.
- Stefano Rodotà: È la figura che più intensamente incarna il conflitto tra l'esistenza e le regole, nella vita come nella morte. La norma giuridica gli è stata scagliata contro fin da Ragazzi di vita, e non l'ha mai abbandonato. È anche l'autore che ha fatto cadere più tabù, spostando i confini della regola. Il prezzo però è stato troppo alto.