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Il muro di Berlino

Christian Führer, da buon pastore protestante alla  Nikolaikirche di Lipsia, non crede nella fatalità delle date anche se non può non sottolineare che il 9 novembre, quando nel 1989 cadde il muro di Berlino, ricorre nel 1938 quando si scatenò il pogrom contro gli ebrei tedeschi (la Kristallnacht), e rimanda al 1923  al 'putsch di Monaco', quando Hitler provò il primo assalto al potere. Comunque il ricordo di quei due giorni nefasti per il popolo tedesco ha spinto il governo della riunificata Germania a fissare come giorno di festa nazionale non quello della caduta del Muro, bensì il giorno della riunificazione, il 3 ottobre 1990. Così si è impedito di creare una tradizione legata al ben più significativo 9 novembre 1989, quando si raggiunse l'apice delle dimostrazioni e di movimenti di popolo pacifici che furono in grado di avviare la decomposizione degli Stati e dei regimi del socialismo reale. I movimenti dell'89 sono tanto più straordinari perché non dovettero confrontarsi solamente con Stati-caserma, ma dovettero sovvertire le 'ragioni' della geopolitica, che, nonostante l'attiva politica di roll-back  di Reagan, militavano pur sempre contro la demolizione dei regimi dell'Est con cui l'Occidente voleva continuare una politica di coesistenza per evitare l'olocausto di una guerra atomica. I governi occidentali non ritenevano possibile portare a temine una rivoluzione pacifica senza scatenare una guerra mondiale. A questo 'miracolo' di unire rivoluzione e salvaguardia della pace, l'Occidente non aveva mai creduto, anzi il presupposto delle relazioni internazionali era quello stabilito a Yalta, di un mondo diviso in zone di influenza dove sussistevano regimi economici e politici in lotta tra di loro senza però giungere a confronti armati. In nome di questa 'pace', che presidiava regimi di oppressione all'Est e all'Ovest, si erano snodati i periodi della tensione negli anni '50 e poi della coesistenza pacifica nei decenni successivi. Le rivolte del 1953 nella RDT e in Polonia, in Ungheria nel 1956, e poi in Cecoslovacchia nel 1968 avvennero in condizioni di coesistenza pacifica, così come la guerra contro il Vietnam e il blocco di Cuba. La coesistenza pacifica era il pilastro delle relazioni internazionali e su di esso si sviluppavano le relazioni di dominio dei due imperi, americano e sovietico; di più, la coesistenza pacifica era il 'mantra' che consentiva di fare aulici discorsi sulla pace per perseguire politiche di compromesso sociale a livello nazionale: il PCI  ne è il caso più emblematico. La geopolitica era contro i popoli, ed essi hanno dovuto rischiare da soli per rovesciarne le ragion di Stato, degli USA e dell'URSS.
Dopo poche settimane da quel 13 agosto 1961, quando iniziò l'erezione del Muro, Kennedy, il presidente progressista, colui che proclamò Ich bin ein Berliner, fece sapere ai governanti sovietici che gli USA lo accettavano come 'un fatto della vita internazionale'. Nel famoso discorso alla Porta di Brandeburgo del 12 giugno 1987, Reagan invitava Gorbachev a 'buttare lui giù il muro' per aprire la via alla liberalizzazione e ad una più sicura salvaguardia della pace. Il rapporto con la 'nomenclatura' dei paesi dell'Est era imprescindibile e su quell'altare veniva sacrificato ogni sia pur minimo supporto ai movimenti dei popoli. Sia detto per inciso che proprio per rompere questa logica di doppio dominio si accese la polemica contro la coesistenza pacifica da parte di Che Guevara con i suoi 'mille fuochi di guerriglia' e di Mao con la sua tesi dell'imperialismo come 'tigre di carta': vennero ambedue accusati di avventurismo e scomunicati, mentre di certo essi coglievano gli elementi di immobilismo che paralizzavano i movimenti rivoluzionari all'Ovest e all'Est.  Infatti, i movimenti di popolo dovettero abbattere non solo i regimi nazionali, ma ridefinire sia pure inconsapevolmente nuove regole dei rapporti internazionali. Certo, quello che li guidò non furono le preoccupazioni diplomatiche ma la fiducia nella propria ragione e nella propria determinazione a conquistare la libertà e i diritti umani, che all'Est in nome della 'democrazia di nuovo tipo' venivano soppresse. Sono state le rivoluzioni dell'Est a mettere fine alla guerra fredda, anche se non hanno portato a un mondo di pace. Che l'Occidente non fosse preparato alla 'rottura della dittatura comunista', come ricorda Adam Michnik (Die Zeit, 11/2009, p. 47), non è solo una sua considerazione personale se si pone sol mente al fatto che personaggi diversi come Thatcher e Mitterand si opposero alla riunificazione tedesca per mantenere buone relazioni con Mosca, del cui regime non volevano la dissoluzione vedendo in Gorbachev un autorevole interlocutore capace di 'riformare' il socialismo reale senza sconvolgere gli assetti di potere internazionale; che Bush ancora nel dicembre 1989 vedeva in Gorbachev il suo partner per la regolazione del contenzioso USA-URSS e che l'Amministrazione statunitense a lungo cercò di dissuadere l'Ucraina a dichiarare la propria indipendenza. A riprova di questa camicia di forza scientemente costruita con la guerra fredda è l'orizzonte delimitato della SPD che fu di fatto contro la riunificazione tedesca e fin all'ultimo dimostrò scetticismo verso la rivoluzione pacifica della Germania dell'Est, perché voleva mantenere buone relazioni con la DDR sperando in una evoluzione solo nei rapporti tra Stati non  certo il rovesciamento degli Stati dell'Est. Lafontaine fu un acerrimo avversario della riunificazione in nome degli alti costi economici così da lasciare a Kohl e a Genscher il merito del sostegno al  movimento di popolo della RDT. È stata la Democrazia cristiana , la CDU-CSU di Kohl, a battersi perché si aprisse il Muro e poi a sostenere politicamente la sfida che all'Est venne condotta contro i partiti al potere. Mai cecità politica fu più grave. Ancora oggi persone del calibro intellettuale di Nicola Cipolla esaltano questa politica di buone relazioni che hanno consentito ripetutamente il soffocamento delle rivolte popolari (il manifesto, 14 ottobre 2009, p. 10). Nel 1989 la doppia tenaglia della repressione interna e delle ragioni di potere della geopolitica venne spezzata da un movimento pacifico di popolo che sfidò lo Stato-caserma impedendogli di ricorrere all'esercito come avvenne a Tienanmen il 4 giugno, unico paese dove lo Stato riuscì a trionfare. Nonostante la sanguinosa repressione a Pechino, una miriade di forze, il Neues Forum formatosi nel settembre 1989 intorno all'eredità politica del dissidente Havemann e le manifestazioni del lunedì partite dalla Nikolaikirche nello stesso mese, furono elemento di catalizzazione di centinaia di migliaia di persone in un movimento che per mesi mantenne un carattere di assoluta spontaneità. Testimonia Jens Reich, un biologo molecolare tra i promotori del Neues Forum: "I mesi dell'autunno 1989 e in parte fin nel 1990 furono caratterizzati da un movimento di ribellione anarchico. Si dimentica che la rivolta, in parte nonorganizzata, in parte debolmente coordinata da gruppi del Neues Forum e dagli altri movimenti di cittadini, si estese come un incendio all'intero paese e paralizzò la classe dominante" (Die Zeit, 29/2009, p. 17). Il sommovimento rapidamente passò dalla richiesta di poter liberamente lasciare la RDT - Wir wollen raus, 'Vogliamo andar via' - a Wir bleiben hier, 'Noi rimaniamo qui', e al ben più famoso Wir sind das Volk, 'Noi siamo il popolo', che delegittimò l'intera struttura di potere del partito, dello Stato e della Stasi. Il 9 ottobre a Lipsia il regime fece un passo indietro come ci ricorda Christian Führer: malgrado le minacce di soffocare nel sangue le manifestazioni, di fronte a 70mila persone con le candele accese i Vopos non spararono, anzi si ritirarono. La rivolta pacifica aveva segnato il primo incancellabile successo. Fu un altro pastore protestante,Christoph Wonnenberg, attivo con gli obiettori di coscienza, a dettare il catalogo della nonviolenza come critica del potere che contrappone alla forza dello Stato la forza della giustizia. Con questo metodo pacifico il popolo della RDT ha sconfitto uno Stato che aveva portato il controllo e la repressione sociali a livello capillare. Per questo la rivolta ha coinvolto  milioni di persone nella loro individualità,  battutesi per la libertà politica, i diritti umani, la libertà di pensiero e di riunione, lo scioglimento della Stasi e le libere elezioni. Una rivoluzione 'borghese' si potrebbe dire se non fosse che i regimi di 'democrazia popolare' hanno ucciso le libertà politiche e civili per erigere un sistema di oppressione e sfruttamento sociale. E se non fosse che la 'presa di parola' è la primaria esigenza degli oppressi e la via maestra per entrare in relazione con gli altri, fondamento di qualsiasi movimento di popolo. Con il 1989 si sperimentano nuove forme politiche, oltre i partiti, come il Forum e i Bürgerbewegungen, movimenti della società civile, che istituiscono spazi pubblici dal basso ? prime espressioni della democrazia partecipativa e deliberativa.
Rimarrebbe da riprendere la discussione con Cipolla e con quanti/e hanno visto nel crollo del Muro solo l'occasione per 'aggiornare' il comunismo del Novecento e non per reinventare, sulla base delle esperienza di movimento di milioni di persone, la sinistra di alternativa anticapitalista. Soprattutto in Italia si continua, sulla scia del 'caso italiano', a parlare di eccezionalità del PCI, che non meritava di essere ucciso in seguito al crollo del socialismo reale. È la posizione di Magri, della Castellina e in fondo della stessa Rossanda. La nostalgia per una 'grande e terribile storia'  continua ad avvolgere il presente e, invece, di prodigare energie per una teoria politica che dia conto dei conflitti dell'oggi e prospetti nuove ipotesi strategiche, ci si attarda a guardare indietro come se il futuro fosse comunque già scritto nel passato. Questo richiederebbe altro spazio, che spero venga aperto per un necessario confronto.

Fonte: newsletter ComunicazioniNazionali