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Il progresso del 2014: solo odio e volgarità

A una scienziata: «Vecchia puttana». Ai politici un augurio: «Loro sono morti». Al Parlamento italiano: «Facciamolo bombardare da Al Qaeda». A un deputato europeo: «Krapò»

di Mario Pancera

Le parole servono ad esprimere i nostri pensieri e a capire quelli degli altri. Alcune sono dette parolacce perché hanno un effetto sgradevole, evocano cattivi odori, aprono vecchie ferite, riportano a momenti dolorosi, e così via. A volte ci ricordano episodi che «fanno schifo», provocano pessimi pensieri: ci debilitano, come di fronte a momenti di oscurità, inermi davanti a un guerriero. Impauriti. Cosa sta per accaderci? Le parolacce servono per intimorire l’avversario, fargli paura. Talvolta sollevano risate, ma – pensiamoci - non per allegria: soltanto perché tutti gli ascoltatori si trovano nella stessa fogna. Ci sarebbe da piangere.

«Lui ci mette la faccia, gli italiani il culo», grida un politicante facendo ridere i suoi spettatori. È lo stesso che ha minacciato tutti coloro che non votavano per i suoi amici. Nessuno lo ricorda. Lo stesso che voleva dare le coordinate ai terroristi perché bombardassero il parlamento italiano. Che voleva fare una nuova marcia su Roma. Lo stesso che evocava l’eccidio dello tsunami per spazzare via i politici eletti dagli italiani che non la pensano come lui. Lo stesso che ha come socio un imprenditore di marketing propagandistico televisivo internazionale. Lo stesso che ha detto a una vecchia scienziata: «Vecchia puttana», lo stesso che con i gesti e la parola «Vaffanculo», trasformata in teatrale «Vaffaday», invita alla violenza sugli altri, allo stupro, alla sodomia sull’avversario. Questo significa il suo lugubre linguaggio: violenza e morte.

Così ci si riporta al linguaggio di molti poveri fascisti ignoranti del secolo scorso. Non c’è bisogno di essere linguisti per essere impressionati da talune parole, che ci colpiscono come pugni nello stomaco o schiaffi sulla faccia. In ogni parola volgare (chiamiamola anche così) lanciata contro qualcuno, si trova, più o meno evidente, la volontà di fare del male. È lo «Hate speech» inglese, il linguaggio che non soltanto insulta, ma spinge all’odio, come ha ricordato la senatrice Michela Marzano, qualche mese fa aggredita in Parlamento. Chi ne resta offeso teme inconsciamente per il suo futuro, immediato o meno. Tutti o quasi pensano che dalle parole si passi ai fatti. Le parolacce, le lugubri frasi minacciose, ingiuriose per noi o per chi ci sta a cuore, anche se di vasto uso, psicologicamente fanno temere un male in arrivo: sono di cattivo augurio.

L’invettiva è sinistra, prima ancora che indecente. Viene usata insieme con l’annuncio che gli avversari politici: «Sono tutti morti». Una specie di avvertimento a breve. Perché sono avversari? Perché la pensano in maniera diversa. Ma in democrazia si discute, non si minaccia. Quelle parole violente sono un invito a una sicura disgrazia, il messaggio di uno stupro incombente. Nelle leggende popolari sono, in genere, gli uccelli notturni, come il gufo e la civetta, gli animali che annunciano il cattivo auspicio.

Siamo sinceri. Si può chiamare «Kapò» un parlamentare europeo per evocare i campi di sterminio nazisti della seconda guerra mondiale? No, chi lo fece fu rapidamente messo al bando in tutta Europa. Ne porta i segni ancora oggi. Il mondo non dimentica. Ed ora un altro italiano si permette di chiamarlo «Krapò», tra la greve ignoranza storica e la minaccia fisica. E tra le risate dei suoi incoscienti sostenitori.

Voce dal cortile: Gli italiani sono tutti così?

Seconda voce: Siamo tornati alla violenza popolar-fascista dei nostri bisnonni?

Terza voce: Passerà ‘a nuttata?

Quarta voce: Passerà, passerà. La civiltà deve tornare.


Mario Pancera