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L’assunto “populismo”

L’assunto di fondo per definire il populismo (che è deriva di popolare) è che rappresenta il parlare della pancia, mentre la politica (vera) è il parlare della ragione. Partendo da ciò è bene comunque ricordarci sempre che l’assunto è una premessa data, accolta anche senza riprove, che non ha a volte fondamenta, e nemmeno palafitte, e che quindi può facilmente crollare, e di conseguenza senza dolori esser buttato.

Possiamo quindi ora anche dire che il populismo è la superficie grezza della comunità degli uomini, la crosta del mondo, il suo accidente, mentre la politica (vera) è la sostanza profonda dell’azione civile, il suo nucleo e fondamento.

Ne deriva l’asserzione che il populismo è il semplicismo, deriva della semplicità, che si esprime in slogan e parole d’ordine facilmente recepibili, mentre la politica (vera) è il ragionamento in sé complesso, perché non può essere mai facile, ma sempre articolato. Da ciò il populismo è leggerezza, mentre la politica (vera) è cosa pesante, quindi il primo è accattivante e a volte anche divertente, mentre la seconda è sempre e comunque faticosa.

Si può di conseguenza affermare che il populismo è assoluta semplificazione, non ha cioè mezzi termini, è senza se e senza ma, e quindi di per sé è integralista, e individualista, mentre la politica (vera) è compromesso e mediazione considerati come valori, in quanto comportano processi (quasi sempre lunghi, se non interminabili) di integrazione di cose, di uomini, di pensieri, di azioni, di anime, nel miraggio e/o nell’utopia della comunione degli interessi plurali e del diverso sentire.

Questi ed altri infiniti assunti dello stesso tenore sono sempre contrastati da simmetrici contro assunti, per cui “difficile è decidere”(quindi politica vera!) da che parte stare.

Dobbiamo oggettivamente ammettere che far parlare la pancia è oggi scelta divenuta vincente, ma cosa invero molto pericolosa, perché la pancia degli italiani (ormai è assodato da tutti i sociologici, dagli storici, e da grandi intellettuali, tra i quali io mi permetto di citare Franco Cordero) cura l’interesse particulare, e non certo quello comune, e oltretutto nel suo, purtroppo inequivocabilmente, parla fascista.

Al contempo è altresì doveroso riconoscere al nostro assunto (che sia populistico o no) due significati sicuramente positivi: quello del lavoro e quindi dell’appartenenza al mondo dei garantiti (comunque declinato in qualche modo e per qualcosa), e quello della salita al cielo, nel mondo dei beati.

Infine, dobbiamo ammettere che davvero poco dolce è districarsi in questo mare, “ma anche” constatare oggettivamente che la condanna del populismo si rivela invero troppo facile e quindi di rimando, secondo gli assunti richiamati, populista anch’essa.

Ormai impossibilitato davanti a tanto dilemma a trarmi a riva, o almeno sulla battigia (e nemmeno riesco a pensare di gettare un’ancora in un mare così aperto), mi salvo con l’arte letteraria e quindi la poesia, altrimenti che italiano sarei, citando però il francese Hugo. La frase dovrebbe essere sua, ma non l’ho rintracciata bibliograficamente e la chiamo poesia per scelta e non certo per assunto, rapinato dal costrutto delle parole, tralasciando i famosi insegnamenti di Platone ed Aristotele che collegavano forma e sostanza, ed anche il corpo e l’anima di Spinoza come unica cosa.

Infatti, Hugo, in modo insuperabile, perché nelle sue parole, da dentro, emerge e rimbomba l’anima, o se si vuole il cuore, scrive:

“La forma è il contenuto che sale in superficie”.

Con il sostegno di tali parole e concetti che ricompongono la diatriba, posso quindi concludere (per il momento) come, pur disapprovando in sé la scelta come incivile, l’uomo con il populismo e la politica (vera) debba necessariamente convivere, perché pur essendo due facce diverse è innegabile che compongano una unica medaglia.

Ad essere intellettualmente onesti, resterebbe ora, da definire cosa significhi “politica (vera)”.

Ma più che volentieri mi scuso e tal fatica rinvio.

Massimo Michelucci