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Qualche riflessione sull'Italia di oggi: allarmata o festosa?

La riflessione sull'Italia d'oggi è necessariamente severa: ma possiamo correggerci; forse tra noi ne sta crescendo il desiderio. Meglio, se esso non è arrogante e fazioso, ma plurale e capace di produrre unità e umile chiarezza. Ottobre 2009 è stato un mese che nella vita pubblica italiana ha visto arrivare al pettine due nodi piuttosto grossi:
a) la sentenza nella causa civile Mondadori, con l'obbligo di una restituzione alla società di De Benedetti di un indennizzo molto oneroso per aziende e patrimonio di Berlusconi, in quanto dovuto in proporzione ai vantaggi ottenuti dal padrone Fininvest con la corruzione già acclarata da anni in sede penale, confermata in appello e cassazione;
b) la cancellazione del Lodo Alfano, giustamente giudicato incostituzionale dalla Corte, con la riapertura dei processi sospesi, e nuovi rischi in arrivo sulle spalle del presidente del Consiglio.  
Le considero entrambe  buone notizie perchè affermazioni di legalità e equità: ma sul piano politico esse avranno conseguenze evolutive o involutive a seconda del tipo di gestione che ne daranno le forze politiche di destra, sinistra e centro; purtroppo,  il contesto politico non offre garanzie adeguate di serietà e rispetto dei principi di diritto questa volta affermatisi. Berlusconi ha subito reagito attaccando con l'asprezza a lui possibile il giudice milanese della sentenza Mondadori, e a Roma i giudici della Corte e fin il presidente della Repubblica. Pur toccato sul vivo, disponendo di una grande maggioranza parlamentare, legittimata dal voto popolare (come ama ripeterci ogni giorno), Berlusconi può continuare a governare. Certo, la sua figura complessiva si sta allontanando dall'idea di superiorità di leader sempre vincente. Difficoltà gravi lo  stringono da varie parti: in politica (all'estero e in Italia), nelle sue aziende, in famiglia.  L'opposizione, di fatto, non è assillante, ma anche la sua maggioranza non ha una coesione brillantissima: i suoi numeri, però, sono tuttora comodi e  la Costituzione prevede elezioni politiche solo tra tre anni.
L'aggressività dei toni di Berlusconi non è una novità, come non è una novità la sua cultura politica populista, non idonea a interpretare  qualità e equilibrio delle istituzioni democratiche; né sono nuove le deformazioni cui sottopone la realtà storica, si tratti del comunismo (che non è più "il problema"), delle tradizioni religiose (più complesse ed esigenti di quanto egli le consideri), di profili e classifiche di quanti hanno governato l'Italia negli ultimi 150 anni (e qui le sue dichiarazioni di essere stato "il migliore" hanno superato il ridicolo per entrare nel patetico); o di realtà economiche e sociali, per le quali  il suo protagonismo di grande comunicatore  lo porta a privilegiare gli spunti della propaganda e a trascurare quelle esigenze solidaristiche più diffuse e sofferte che sarebbero la base più forte per una mobilitazione effettiva delle energie del paese. "Novità" non sono le uscite compiute da Berlusconi nell'ira delle ultime settimane, ma se mai lo è il contesto diverso in cui esse si propongono, e colpisce l'evidenza di quanto il loro stesso autore ne sia meno felice di quanto avveniva un tempo. Non sono Santoro e Travaglio a minacciare popolarità e consenso del presidente del consiglio, ma piuttosto la condotta del presidente stesso, l'autorevolezza politica del quale sta diventando il  problema italiano maggiormente visibile ai fini di quelle "procedure" politico-istituzionali, almeno approssimativamente normali, delle quali neppure una larga maggioranza può fare a meno: esse suppongono una certa universalità di diritti e doveri, da enunciare e da rispettare, come in Italia si sta facendo troppo poco, con omissioni diffuse da troppo tempo. Chi ha "colpa" di questa situazione, sgradevole  a giudizio di non pochi e obiettivamente pericolosa per moltissimi?
Non si deve rispondere: "Berlusconi", argomentando che, poichè è indubbiamente "lui" il protagonista degli ultimi 15 anni, e oggi quasi nessuno è contento e soddisfatto (neppure lui), sarebbe assurdo cercare un altro responsabile della nostra disastrata situazione nazionale. No, bisogna trovare un modo migliore per unire le due verità appena pronunciate... E' vero che Berlusconi è stato nella vita pubblica il maggiore protagonista degli ultimi 15 anni,  ed è vero che ora quasi nessuno è contento e sicuro, ma non si deve cadere in una interpretazione falsificante la realtà, del tipo di quelle che Berlusconi ci propina. Sbaglieremmo a farne il "capro espiatorio": questo termine ha una sua nobiltà in antichi riti religiosi, che il cristianesimo ha però fatto evolvere in una direzione responsabilizzante le persone e le comunità. Berlusconi, come non è affatto il grande statista che ama dirsi, così  neppure è autore sufficiente dei guai italiani, così lunghi ed umilianti come li viviamo.  Non è il creatore della situazione che ora  si sintetizza nel suo nome; di essa è solo il maggiore protagonista e utilizzatore. In un certo senso, Berlusconi è soprattutto un "rivelatore" di limiti che esistono diffusi e radicati tra noi. Le sue capacità di valorizzarli, interpretarli e utilizzarli a proprio vantaggio si erano collaudate in un "preambolo" economico e comunicativo almeno ventennale e poi, dal 1994, con un impegno politico diretto assunto in difesa schietta dei suoi interessi, con uno strumento originalmente partitico: ma, fin dall'inizio, intensamente estraneo alla Costituzione repubblicana. E' un pezzo di storia della società italiana, nel quale hanno operato e si sono fusi sotto la sua direzione, altri soggetti politici e culturali componenti gran parte dell'elettorato complessivo italiano, o in esso influenti. Vari soggetti politici e larghi strati sociali hanno concorso potentemente nella creazione politica, sia pure corruttiva e abortiva, che è giusto definire "berlusconiana". Berlusconi ne è il punto d'arrivo più coagulante e stabilizzante per virtù sue proprie; ma che non avrebbe potuto imporsi e durare nella vita politica e istituzionale italiana, senza essere riconosciuto e adottato da una quantità di soggetti dotati di vita propria, cioè di  interessi ed idee, esistenti ben prima di Berlusconi e della sua "discesa" in politica. Potenziali alleati e sudditi di Berlusconi c'erano prima di questa "discesa" e ovviamente in parte sopravviveranno al suo esaurimento, in quanto rappresentano posizioni, e addirittura istituzioni, che non si identificano con le vicende di congiuntura politica e con le  persone fisiche che possono avervi  ruoli di rappresentanza solo pro-tempore. Vale per i partiti della Repubblica, che ne hanno progressivamente eluso e trascurato la Costituzione, per  sindacati e associazioni di lavoratori e imprenditori,  per giornali ed editori, e, sia pure con le loro caratteristiche particolari, per le comunità religiose, di cui in Italia la chiesa cattolica è di importanza incomparabile rispetto ad ogni altra, per consistenza e capillarità di tradizioni storiche e sociali.
Con l'azione politica intrapresa nella crisi segnata dall'insorgenza della Lega e dalla esplosione di  Tangentopoli con la sua rivelazione della "dazione ambientale", Berlusconi è riuscito a salvare alla grande i propri interessi, e nella nuova "vocazione" alla vita pubblica ha esaltato identità e vitalità del suo privato personale. Sta riuscendo a convincere ancora la maggioranza di italiani di essere l'uomo giusto da cui essere guidati? O l'interpretazione che egli viene dando della sua azione e comunicazione politica, dopo aver "rivelato" quanto molti italiani condividano sentimenti, opinioni, desideri di Berlusconi  (confermando a lungo il suo successo), viene ora rivelando che proprio "qualcosa di Berlusconi"  gli impedisce di svolgere con profitti condivisi da molti le sue alte funzioni, e che pertanto occorre prepararsi, o almeno farsi disponibili, ad alternative e sostituzioni?  Per anni, il "conflitto di interessi" non è stato un luogo reale di confronto politico e questa insipienza dell'opposizione e una tolleranza sociale larghissima hanno regalato molto a Berlusconi; ma ora una più vasta e concreta percezione di un conflitto di interessi tra Berlusconi e "tutti gli altri" potrebbe acquistare rilevanza nel confronto politico in senso stretto e produrvi risultati non solo verticistici. Proprio il desiderio di novità sostanziali, immaginabili da trovare e provare solo in un tempo che sia "dopo Berlusconi", a me pare  cominci a crescere in strati profondi  della società italiana. Ma sarebbe molto utile e più fecondo che questa "anticipazione" (dobbiamo pensare seriamente a un' "Italia dopo Berlusconi") avesse nel suo interno, anche minoritaria ma avvertibile, una consapevolezza che i difetti di Berlusconi sono stati pericolosi soprattutto perchè condivisi, e che non si può denunciarli come "negativi" senza riconoscere che la loro "negatività" è stata non poco partecipata. Solo la loro "rappresentatività nazionale" ha conferito e conferisce ad essi una pericolosità, da cui è bene uscire, correggendosi tutti, in misura proporzionata alle diverse responsabilità omissive e praticate. Il confronto politico non può fare a meno di un certo tasso di polemica, ma la polemica è un fattore di vittoria reale e realmente feconda, solo se intrecciata a grandi e essenziali "verità", cioè riconoscimenti autocritici puntuali quanto necessari, e riconoscimenti di meriti dell'avversario, che in democrazia non si può considerare e configurare come un nemico e interpretare come un "mostro di estraneità". Bisogna dare un contenuto molto forte e comunicativo alle "formalità" di cui vive l'etichetta parlamentare, preziosa come via che ci introduca all'etica, all'interesse per capire il punto di vista altrui, al rispetto dei suoi diritti, e, anche, dei suoi bisogni, o di quelli di cui si fa portatore nell'Aula deputata a parlarne e a prendere le relative decisioni. Tutto all'opposto di sostituire la "forma" della politica con il mito devastante dell'antipolitica più qualunquistica.
Per questo ormai istruzione e livello di competenze, in una cittadinanza democratica sono un valore sociale e politico, rinunciare al quale è cosa pericolosissima per tutti: e qui scuola e sistema mediatico avrebbero funzioni vitali; ma anche il livello dell'etica media e delle persone più comuni è un dato di costume senza del quale le democrazie non possono vivere in salute e garantire  livelli di efficacia nello studio e nella soluzione dei problemi che si susseguono in ogni società nazionale e nel contesto mondiale sempre più influente. La conoscenza del "diritto" può infatti anche accrescere i soprusi dei più forti e aiutarne la protezione; la "cultura" e le informazioni possono allargare spazi per introdurre errori o crimini; il "moralismo" può servire ai fini dei più bricconi, e fin l'autorità religiosa può concorrere a legittimazioni opposte ai suoi principi costitutivi: e tuttavia diritto, cultura, moralità e nella fede il timor di Dio, sono fattori da prendere  in simpatia sul serio,  produttivi di bene, se serviti senza ostentazione con fedeltà personale. Berlusconi certamente non va linciato (non deve esserlo nessuno), ma una "resistenza al suo stile politico", sobria ma effettiva, è condizione previa e determinante per uscire in piedi e bene come cittadini di una democrazia plurale, complessa ma ordinata e dignitosa, quindi "rispettosa" di tutti e ciascuno. Berlusconi non va seguito nel "magistero illusorio" che egli si attribuisce quando proclama "agli italiani piaccio così". Forse è indispensabile opporre almeno  domande del tipo: "fino a quando?" "e se proprio ora è così, è sicuro che sia un bene per tutti e anche per lei?"; opporglielo in pubblico, se se ne hanno le occasioni e la forza, ma innanzitutto domandarselo nella propria interiorità, e sostenerlo sempre, con pacatezza,  nel proprio ambiente di vita.
Nella società italiana ci sono varie tradizioni che possono alimentare una capacità di resistenza a illusioni etiche e contrastare le mistificazioni più interessate: le tradizioni di moralità siano tutte ben viste nel CLN in formazione  contro l'occupazione berlusconiana del nostro territorio mentale, ma le condizioni molto evolute (nonostante tutto) della nostra convivenza storica,  richiedono che lo stile della condotta di resistenza e liberazione dalla occupazione berlusconiana sia forte ma non urlato, sobrio e visibilmente coerente. Per questo un ruolo importante può essere assunto dalle componenti che, senza essere clericaleggianti, siano espressive di tradizioni cristiane indipendenti e lontane da costumi e pensieri illustrati oggi da  Berlusconi con battute e sortite di cui parliamo troppo, mentre sono espressive di fragilità profonde, più da curare che da demonizzare: ma come curarle in Berlusconi, se prima non le abbiamo corrette dentro di noi?  Ma un'etica civile che si nutra di tradizioni cristiane è oggi in difficoltà nel nostro paese anche per la conflittualità e le incertezze che esistono in ambito ecclesiale circa l'interpretazione dell'aggiornamento conciliare sul grande tema di come si debba intendere, proporre e testimoniare  la "vita cristiana". Come i conflitti di orientamenti fanno la debolezza delle coalizioni politiche, pur essendo inevitabile la pluralità di orientamenti nella complessità delle esperienze odierne, e quindi ben alto è il prezzo che paghiamo alla povertà di formazione politica dei cittadini da parte delle organizzazioni di partito attuali, così la conflittualità (reale anche se non affrontata e poco discussa) della formazione religiosa in atto tra noi, determina una scopertura etica crescente nella vita sociale italiana, con conseguenze gravissime per la qualità della vita pubblica. E' provato dai gravi e costanti episodi di corruzione, riaffioranti di continuo nelle pratiche giudiziarie, ma bloccati dalla messa in dubbio costante circa il carattere politico e ideologico della funzione giudiziaria,  se esercitata verso persone politicamente significative come ormai è inevitabile avvenga nell'intreccio di iniziative criminose e di omissioni o distorsioni di controlli e  sanzioni.
La "festosità" con cui interpretiamo la vitalità del concilio e dei suoi doni, ove accettati e valorizzati con fiducia e umiltà, ci fanno pensare che la situazione pesante delle cronache attuali possa venire migliorata dal miglioramento che ci pare "inevitabilmente in arrivo" tra i cristiani da una interpretazione risanante e costruttiva delle ricezioni conciliari. Esse (e solo esse) hanno l'autorità  per proporre  a quanti si dicono cattolici osservanti una sintesi di doverosa severità verso se stessi, di solidarietà e generosità con gli altri, di rispetto di tutte le  persone e dei loro diritti, dell'equità e della legalità agite con scrupolo nelle relazioni sociali. E' difficile pensare che non sia utile anche solo un lieve miglioramento in questo ambito di comportamenti collettivi di credenti non increduli, se avviati da un'esperienza risanante quale il Vaticano II richiede di accogliere e valorizzare. Senza polemiche, di fatto miglioramenti di questo genere sono a-berlusconiani e post-berlusconiani: il che è meglio e più politico che volerli qualificare antiberlusconiani, perchè è l'ossessività delle inimicizie che si piega sempre in qualche modo all'imitazione del "nemico", ne prolunga l'influenza e svuota il confronto politico di quella nobiltà e positività che ne fa una azione di pace e sviluppo comune, sintesi di moderazione e determinazione, prima nazionale e poi internazionale.
Ottobre 2009 si è concluso con un evento politico positivo, che non era scontato in partenza. Il partito democratico ha fatto eleggere il proprio segretario direttamente dagli elettori, sottoponendo al loro voto i tre candidati Bersani, Franceschini, Marino, che erano stati indicati da una prima votazione degli "iscritti" superando il quorum necessario. Il 25 ottobre, in circa 10 mila seggi, hanno votato in tutta Italia poco meno di tre milioni di "elettori", iscritti e simpatizzanti; i volontari che hanno reso possibile una consultazione nazionale ordinata erano oltre cinquantamila: il partito democratico è uscito bene da una prova indubbiamente impegnativa, autofinanziata dal versamento contestuale di un contributo minimo di due euro per votante. Bersani, che era già in maggioranza nel voto degli iscritti nei "circoli", ha vinto di nuovo, superando di alcuni punti il fatidico 50% del voto dei cittadini presentatisi ai "seggi". E ora è in pienezza il nuovo "segretario" del partito democratico. Anche i risultati di Franceschini e Marino sono stati onorevoli e collaboreranno autorevolmente col segretario. Nel Pd, per la prima volta, iscritti ed elettori, promuovendo il voto dei tre candidati in campo in una competizione aperta e leale, hanno mescolato le vecchie appartenenze di iscrittti o elettori dei prosciolti Ds e Margherita. Nella campagna elettorale e nelle dischiarazioni seguite al voto, il profilo del partito si è precisato come quello di un partito di alternativa (cioè di opposizione ma anche di governo), che sa discutere idee e proposte, ma è unito intorno al segretario eletto direttamente da più del 50% dei cittadini (iscritti e simpatizzanti) affluiti ai seggi della "partecipazione popolare". Bersani ha ripetuto che vuole un partito seriamente presente nel territorio, con grande attenzione ai problemi del lavoro e della economia. Già dalle prime dichiarazioni ha pure precisato che conta di lavorare in vista di costruire alleanze politiche attorno a un programma popolare e di sviluppo democratico, in grado di battere Berlusconi e dare all'Italia un governo migliore di quello in carica con l'attuale maggioranza. Il 25 ottobre  2009 le cose sono andate bene, e qui le vogliamo interpretare come tendenzialmente omogenee e sintoniche con le nostre speranze più profonde ed ardite.

Fonte: Lettera mensile di novembre 2009 delle Acli di Cernusco