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Un colpo in testa e via

E' successo così. Hanno catturato Gheddafi, lo hanno preso a schiaffi, insultato, e poi, non si sa come né perché, gli hanno sparato un colpo in testa. Un avvenimento di cui si discuterà, anche animatamente, per qualche giorno; poi se ne parlerà sempre meno; e più avanti ogni tanto spunterà fuori una novità, un filmato o una foto inediti, le rivelazioni di chi c'era, una riflessione più sicura sui perché e, soprattutto, sul mandato di chi è accaduta una cosa del genere. Questa è la premessa.

Da ieri in poi, a meno di una futura, amara, presa di coscienza di una realtà diversa da quella sperata, tutti i libici, soprattutto i più poveri e i più vessati dal regime, possono respirare un'aria nuova rispetto al passato e dire a sé stessi "sono libero"; da ieri in poi sanno per certo che ogni giorno andrà conquistato con fatica e l'incertezza di un bimbo che muove i primi passi, ma proprio per questo spavaldo e caparbio nel conseguire l'obiettivo di rimanere in piedi; da ieri in poi la libertà ha cominciato a formare un sedimento che diventerà una solida base per le scelte future, sapendo che quella base andrà sì difesa, ma non sarà mai più spazzata via. Questo perché il dittatore che li opprimeva non c'è più, e ne hanno avuto la certezza inequivocabile, perché è morto; forse la stessa certezza si sarebbe potuta ottenere in modo diverso e meno cruento tramite un processo che forse, poteva rendere ancora più concreta quella certezza, permettendo alla giustizia di giudicare altri colpevoli; ma dopo quarantadue anni di dittatura si crede solamente a quello che si può toccare con mano, come la pistola d'oro impugnata da quel ragazzino. Prendo le distanze e non voglio giudicare, lo farà la storia, anche perché noi italiani siamo passati attraverso un episodio analogo, se non identico.

Però non posso fare a meno di invidiare il profondo senso di libertà che deve provare adesso il popolo libico.

Noi “occidentali” non stiamo vivendo un periodo facile, siamo sottoposti ad una dittatura forse meno cruenta di quella di Gheddafi, ma costellata di morti bianche: povertà, licenziamenti, incidenti sul lavoro, fine del sistema socio-assistenziale. In questa situazione si sono create le condizioni per la morte del nostro sistema economico; poi i governi dei vari paesi hanno deciso di sostenere le banche, che avrebbero dovuto a loro volta sostenere il rilancio dell’economia e l’uscita dalla crisi. Le banche invece hanno ricominciato a fare il solito giochino: i soldi li danno in prestito a tassi sanguinari, mentre chi ha i soldi e gioca in borsa non gioca coi suoi soldi, ma con le nostre vite. Avevamo l’occasione di tirare un colpo in testa al nostro pazzo e falso mondo finanziario, e ce la siamo fatta scappare. La nostra guerra è appena cominciata, e ognuno di noi sceglierà come combattere la propria battaglia: io sono una persona pacifica che da sempre lotta in maniera NONVIOLENTA, e spero che per tutti sia così, anche se a qualcuno converrebbe il contrario… Siamo in guerra; spero di vederne la fine, e poter dire, gridare, un giorno "SONO LIBERO!"

Paolo Maria Puntoni