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Una riflessione sulle sinistre: ripartire dai diritti

Il risultato delle politiche del 4 marzo e, ancor di più, l'esito delle elezioni amministrative del 24 giugno pongono tanti interrogativi, tante domande e, inevitabilmente, anche molte angosce e preoccupazioni, rese ancora più pesanti ma mano che questa nuova destra che governa manifesta tutta la sua arroganza.

Abbiamo assistito ad una sconfitta generale di tutte le sinistre, quella moderata e quella radicale, ma ancor più il disastro non sta semplicemente nell'esito uscito dalle urne, ma nella cultura che sta emergendo nel paese, tra le comunità... di cui il risultato elettorale è solo un frutto.

Sembra quasi che ormai la politica stia procedendo a delegittimare ogni barlume di “etica”.

Se è pur vero che in nome della ragion di stato questo è sempre avvenuto, sicuramente però ora stiamo assistendo ad una velocizzazione di questo processo di delegittimazione e ad una amplificazione tramite la rete nella società civile, per cui ognuno si sente in dovere di poter ridefinire i propri confini di etica, anche all'interno della propria esistenza e della propria comunicazione: anzi trova una sua autorizzazione a farlo proprio dalle parole espresse dalla classe politica dominante e dalle istituzioni che rappresentano.

D'altra parte un ministro dell'interno che fa il super sceriffo, come sempre forte e arrogante con gli ultimi, in grado di comandare a tutti i poteri cosa debbano o non debbano fare, distrugge ogni forma di coesione sociale e di remora morale che tenga insieme i comportamenti, i linguaggi delle persone...

Abbassando ogni forma di tabù e delegittimando i poteri separati voluti dalla Costituzione, stanno legalizzando la barbarie, il rifiuto dell'altro .. ed in questo percorso ci sono solo macerie.

Hanno ridotto la solidarietà a valore negativo, definendola con il termine spregiativo di buonismo..., come dicono le suore comboniane nella loro newsletter settimanale “I valori fondamentali, che sono il collante di una comunità nazionale, non solo vengono rimossi dal vocabolario politico e sociale, ma vengono addirittura degradati a disvalori. La solidarietà ora si chiama “buonismo”. Quando una società rende la solidarietà un disvalore, non ci sarà più solidarietà per nessuno», neppure per italiani e italiane".

Una cultura di paura dell'altro e di rifiuto che la politica della destra insegue ed alimenta, in un gioco perverso al massacro, nel quale stiamo smarrendo il senso dell'umano.

Una politica che trova necessità di avere sempre un nemico da combattere: non ci sono più avversari o idee diverse con le quali confrontarsi, esiste solo un nemico che va annientato e delegittimato ... e questo messaggio diventa pane quotidiano anche nelle comunità locali, nelle relazioni sociali e tra le persone.

Ed in questo contesto la politica della barbarie sta arrivando ad introdurre l'idea della giustizia fai da te, legiferando sul concetto di legittima difesa e sulla diffusione delle armi.

Se in questo contesto la destra ha un gioco facile, per l'altra parte della società (sinistra e centro sinistra) si tratta, ancor prima di sperare in un risultato elettorale positivo, di operare per una cultura diversa che segni una rottura con questa cultura dominante e rimetta al centro la dimensione umana, i diritti di cui è portatrice... un lavoro lungo che ci chiede di prima di tutto di diventare credibili e rendere concreti nostri valori, i nostri riferimenti... un lavoro di elaborazione che sfoci in un progetto e che abbia come prerequisito un'operazione di verità, rispetto ai tanti cedimenti e contraddizioni di cui siamo stati portatori in questi ultimi decenni.

Non possiamo ridurre il tutto a una semplice operazione di maquillage, o alla scorciatoia di cercare semplicemente dei leaders... Dobbiamo lavorare nel profondo, diventare noi stessi laboratori politici in cui siamo capaci di essere inclusivi, di saper praticare le diversità, di cercare di cogliere nell'altro le verità di cui è portatore... indagando fino in fondo le ragioni della devastazione che abbiamo subito e favorito.

Si tratta di accettare il fatto di essere minoritari, nella consapevolezza che non necessariamente i valori espressi dalla maggioranza debbano essere positivi.

Partendo da questa consapevolezza costruire un laboratorio politico di idee, di contenuti e di prassi che sia credibile, che sia capace di raccogliere gli sguardi, ancor dubbiosi, di quanti ci hanno abbandonato per la nostra responsabilità, per la nostra ignavia nel cercare di decifrare quel senso di poca credibilità che abbiamo a lungo espresso, cercando certezze fallaci ed evitando di ascoltare le domande che provengono dal nostro elettorato.

Un processo lungo, che necessita operazione di verità rispetto a questi ultimi decenni, ma che ci impone anche di evitare ogni tentazione a cercare scorciatoie, perché siamo chiamati a costruire un progetto credibile.

Non si tratta di costruire un nuovo partito, bensì è necessario, una volta fatta una indispensabile operazione di verità che coinvolga tutti, individuare gli interessi che vogliamo rappresentare, ribadendo però con formza che obiettivi, strumenti, metodi ed azione debbano essere coerenti tra di loro, e iniziare a salire lungo il sentiero da percorrere (che sicuramente non sarà il più agevole).

Dobbiamo dare sostanza e contenuto a parole che troppo spesso siamo abituati a urlare: democrazia, partecipazione, pluralità, inclusione, pace, diritti...

Si tratta di dare senso e significato ai processi inclusivi, che, come ci insegna la nonviolenza, richiede capacità di lavorare sugli elementi unificanti e non su quelli che dividono, per cercare una sintesi politica nella quale ciascun soggetto, singolo e organizzato, ritrovi un pezzo della propria cultura politica, consapevole anche del proprio limite e della propria parzialità.

Ma è fondamentale esplicitare l'orizzonte verso il quale vogliamo muoverci.

In tale ottica io ritengo che un terreno sul quale sperimentare la sfida, per avviare un processo di rottura con il passato, più lontano e più recente, sia quello di porre al centro i diritti, ma declinandoli a 360°, senza esitazioni e senza se o ma.

La sfida, rispetto a questa destra così chiusa nella propria identità e nel costruire una società fortificata, è porprio quello di ampliare i diritti e le possibilità di ciascunoa/o di sentirsi parte di una comunità solidale e coesa: diritti non solo civili, ma di dignità come il diritto alla salute, all'istruzione, al lavoro, all'equità, alla giusta retribuzione, alle pari opportunità senza discriminazioni di genere, di scelte sessuali, di fede, di cultura e di nazionalità.

Ampliare i diritti significa proporre appunto un modello inclusivo, nel quale ciascuno trova spazio per le proprie convinzioni, senza calpestare od impedire quelle altrui. Non significa rinunciare alle proprie idee, alle proprie visioni del mondo, significa riconoscere le altre idee, le altre visioni del mondo... per questo partire dai diritti come viatico per educarci a riconoscere l'alterità.

Non è relativismo, bensì affermare con forza che solo all'interno di una società inclusiva si assicura sicurezza, giustizia, equità...

Affermare i diritti significa rimettere al centro il "pubblico" e il "bene comune", rispetto al quale le scelte devono essere categoriche, per segnare una netta distinzione con questa cultura di destra dominante... anche se ciò significa remare contro vento.

Ma non basta lottare e affermare i diritti, è necessario farlo con lo sguardo degli ultimi, perché solo con questa prospettiva possiamo includere ed assicurare a tutti dignità, perché è dalla loro condizione e dalle disuguaglianze che rappresentano che dobbiamo costruire un modello di società e di convivenza sociale.

Una scelta di campo netta, che implica porre prima la dignità delle persone, rispetto all'economia, allo sfruttamento del territorio, alle discriminazioni.

Una scelta netta che indichi veramente in che direzione vogliamo procedere o con quali modalità, e che diventi anche l'occasione per rileggere, in maniera critica, le scelte fatte da una parte di questa sinistra in quetsi ultimi decenni, laddove troppo spesso si è anteposto alla dignità delle persone l'interesse di parte, l'economia... ampliando la forbice della disuguaglianza, quando invece siamo chiamati a ridurla.

In tale ottica diventa chiaro che per il "bene comune" e per "diminuire le disuguaglianze" ampliando i diritti, dobbiamo riaffermare con forza lo strumento progressivo delle imposte, senza aver paura di una possibile patrimoniale, ma esplicitando con chiarezza i capitali verso i quali vogliamo indirizzarci.

Gino Buratti

Massa, 30 giugno 2018