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L'attivista in abito da sposa per combattere la violenza domestica

Da "Azione nonviolenta", aprile 2007 (disponibile anche nel sito www.nonviolenti.org), col titolo "L'attivista in abito da sposa per combattere la violenza domestica" pubblicato su “Voci e Volti della nonviolenza”, n. 70 del 27 giugno 2007.

Josie Ashton, trentaquattrenne, è convinta che la comunità latina di New York abbia bisogno di una "sveglia" rispetto alla violenza, soprattutto alla violenza domestica. Lei è divenuta la sfida costante alla compiacenza che circonda gli abusi tra le pareti di casa e non. L'evento che la mise per così dire in moto fu un omicidio che gettò nella costernazione i dominicani residenti in città: Gladys Ricart fu uccisa mentre si trovava nel proprio soggiorno, circondata da parenti felici, e splendente nel suo abito bianco da sposa. Il futuro marito la stava attendendo in chiesa. Il suo assassino era un facoltoso uomo d'affari con cui Gladys aveva avuto precedentemente una relazione.
Il fatto ebbe ampia risonanza e Josie stessa, che all'epoca già lavorava come avvocata d'ufficio a Miami per le vittime di violenza domestica, ne discuteva con amici e conoscenti: fu così che scoprì parecchie cose assai disturbanti, per lei. Per esempio, che parecchi biasimavano la vittima.
"Dicevano che in qualche modo aveva contribuito a quanto le era accaduto.
Avevano la percezione che essere uccise è quanto inevitabilmente accade alle donne se hanno relazioni con più di un uomo nella loro vita. I media, come al solito, parlavano di crimine della passione e di raptus". La concezione machista che un uomo non possa risolvere conflitti se non tramite atti di violenza, e che debba essere il padrone delle donne con cui ha relazioni di parentela o affettive facevano il resto.
Oltraggiata dai commenti e commossa per la sorte toccata a Gladys, Josie Ashton compì un primo pellegrinaggio di testimonianza: affittò un abito da sposa, e indossatolo camminò dal New Jersey, ove l'omicidio aveva avuto luogo, alla Florida dove lei stessa vive. I suoi colleghi tentarono di dissuaderla: "Mi dissero che era un suicidio professionale", ricorda Josie, "Sei finita, mi ripetevano".
Il 26 settembre 2001, al secondo anniversario della morte della ragazza dominicana, Josie Ashton si licenziò, affittò di nuovo la veste nuziale e partì per il suo secondo viaggio lungo 1.300 miglia. Durante il percorso ha visitato 14 rifugi antiviolenza e 22 città. La sua idea ha ispirato "marce di spose" a New York, in Florida, nel Wisconsin e a Washington.
Molti, quando la vedono camminare abbigliata in quel modo, la fermano per offrirle sostegno ed aiuto. Josie ha guadagnato alla causa, con tale sistema, numerosi altri attivisti e attiviste. "Ho parlato con persone che soffrono a tutti i livelli per la violenza domestica, sia perché la subiscono sia perché ne sono testimoni. Sembrava che stessero solo aspettando di essere legittimati a discuterne, di poter maneggiare la questione".
Oggi Josie ha ripreso il lavoro di avvocata per le vittime di violenza domestica a Fort Lauderdale, ma continuerà ad usare la sua idea del pellegrinaggio e spera che le "marce" si espandano: Josie crede che la strada maestra per il cambiamento sia l'abbandono di posizioni puramente difensive. L'agenda della lotta va verso la ridefinizione dei ruoli sociali di genere e lo smantellamento sistematico degli stereotipi che alimentano la violenza. Le spose non vogliono più temere i loro mariti o i loro ex fidanzati.
"Abbiamo la necessità di essere maggiormente pro-attive. Dobbiamo trasformare la concezione che la violenza domestica è correlata ad una supposta 'debolezzà delle donne. La violenza per me è una malattia, e va contrastata e curata nello stesso modo in cui ci difendiamo dalle infermità".