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Questo 8 marzo

Il militarismo e la propensione alla guerra sono un aspetto del maschilismo più truce. Gli uomini, muovendosi guerra, violentano la Madre Terra, l'umanità e l'ambiente.

La valorizzazione di genere, la considerazione della donna e del femminile, il dialogo tra generi e generazioni, come punto di riferimento per la trasmissione della memoria storica e dei valori della pace, a partire dall'istituzione scolastica, sono strumenti ed istanze imprescindibili dei veri processi di pace, contro l'obbedienza agli ordini, all'uniformità, al culto della forza, tipici delle organizzazioni militari.

Per questo motivo, la cultura politica attualmente egemone, strumentalizza e svilisce la figura della donna: vuole imporre lo spirito maschilista e guerrafondaio, di violenza e sopraffazione. Mentre il femminismo conquista la sua dignità di nuovo umanesimo, che unifica tutte le grandi utopie, nell'importante obiettivo della solidarietà tra donne e uomini, in cammino per la realizzazione di contesti sociali di pace e nonviolenza La pace può essere favorita attraverso i valori di cui le donne sono portatrici, trascendendo le barriere etniche, culturali e religiose attraverso il dialogo, la comprensione e la riconciliazione.

Un tema molto dibattuto agli inizi del '900 fu il pacifismo connesso e opposto all'interventismo. Le donne a favore dell'interventismo vedevano una possibilità di chiedere il diritto di cittadinanza, mostrando alla patria l'utilità di presa di consapevolezza femminile, scoprendo così l'importanza di far parte di una comunità. Invece le donne portatrici di riflessioni sul pacifismo e sull'internazionalismo, incominciavano a cercare di superare le frontiere, i confini, le barriere, i limiti imposti dal potere maschile e, comunque, in quanto portatrici di differenza sottolineavano i molteplici motivi di dissenso, discutendo di come quanto ogni tipo di conflitto esasperi le diversità del tessuto sociale.

Sulla differenza incombe sempre la riproposizione degli stereotipi e dei luoghi comuni, per cui l'identità di genere non è solo una condizione connotata in modo statico, ma diventa piuttosto un processo formativo che progressivamente rielabora la propria appartenenza al genere, quale identità sessuata in cammino, che pone a confronto gli stereotipi proposti dalla cultura, dalla storia in interpretazioni, scelte e rifiuti, che ogni singolo opera al fine di divenire se stesso. Il rapportarsi con l'altro da sè comporta una presa di consapevolezza nell'identità e nella differenza come certezza modificata e modificabile dalle situazioni, dagli incontri, dai condizionamenti culturali e sociali, dai rapporti affettivi, dagli eventi significativi di ogni biografia.

Differenza e diversità femminile sono sempre state definite come complemento e appendice e completamento, rispetto al maschile. Infatti dalla millenaria ripetizione dei ruoli legati alla differenza sessuale sono scaturiti semplificazioni improprie, stereotipi stantii, luoghi comuni, generalizzazioni acritiche, alla base dei pregiudizi che restringono la gamma della potenzialità di differenze, secondo una netta bipolarizzazione asfittica dei ruoli. Secondo la stereotipizzazione più ottusa, claustrofobica e pregiudiziale, al femminile compete il mondo emotivo, al maschile il mondo cognitivo, da cui deriva l'atavica educazione femminile alla dipendenza, alla disautonomia, che portano le donne a non esistere per se stesse. Ne Il secondo sesso (1949), Simone de Beauvoir individua e delinea il destino sociale e psicologico delle ragazze, per cui sin da bambine si insegna loro la passività, la subordinazione, l'obbedienza, mortificando lo spirito d'iniziativa, il senso d'avventura, il coraggio, l'esplorazione, condizionandole nelle loro dimensioni professionali, intellettuali e sociali.

Anche l'uomo è condizionato nello sviluppo emotivo in quanto lo stereotipo maschile insegna ad astenersi dalle manifestazioni di emotività che sono proprie della donna. Questa bipolarità ingannatrice è ancora presente nei media, anche se nella società attuale i ruoli tradizionali sono in crisi, uomini e donne devono ripensare e ricostruire la propria identità in un immaginario collettivo. Una prospettiva olistica della complessità potrà consentire alla differenza di genere, tra maschile e femminile, di superare il riduttivismo pregiudiziale per costruire un complesso identitario che rispetti le singole individualità.

Attualmente si auspica che la condizione della donna a livello planetario, diventi innanzitutto una presa di coscienza e di consapevolezza di un valore intrinseco, di una diversità implicita che racchiude in sè molteplici differenze, scandagliate nell'intima analisi introspettiva, di un'istanza psicologica interiore, che diventa mondo proteiforme nel rimembrare degli eventi, delle memorie, riesumando emozioni e sensazioni, sia in solitudine, sia in comunità, in gruppo, rammentando che le conquiste ottenute sul piano sociale, i diritti, i riconoscimenti, sono un patrimonio di rivendicazioni maturato e conquistato nel tempo, nel corso della storia, di cui occorre rendere partecipi e testimoni le giovani generazioni di donne volte alla partecipazione sociale, all'impegno politico, senza mai prescindere dalla propria dimensione interiore, dall'Anima più genuina del sè, risorsa interiore per l'esistenza.


Laura Tussi è docente, giornalista e ricercatrice. Ha conseguito la sua quinta laurea specialistica nel 2009 in formazione degli adulti e consulenza pedagogica nell'ambito delle scienze della formazione e dell'educazione. Autrice dei libri: Sacro (Emi 2009), Memorie e Olocausto (Aracne 2009), Il disagio insegnante (Aracne 2009), Il dovere di ricordare (Aracne 2010). Collabora con l'Istituto comprensivo Prati di Desio (Mb), con diverse riviste di settore, come "La rassegna dell'istruzione" (Le Monnier Mondadori - Miur), "Scuola e didattica" (La Scuola, Brescia), e con moltissime realtà online.


Fonte: Centro di Ricerca per la pace di Viterbo