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“Care italiane, cari italiani, cari connazionali,

leggendo nei siti on line di gran parte dei quotidiani italiani ed ascoltando i report radiofonici e televisivi emessi dalla Rai e da altre catene, abbiamo purtroppo registrato che rispetto ai fatti venezuelani, vige una informazione a senso unico che rilancia esclusivamente le posizioni e le interpretazioni di una delle parti che si confrontano.

Abbiamo anche letto e ascoltato spesso che l’attenzione prestata alla situazione venezuelana viene giustificata per la presenza in Venezuela di una “consistente comunità italiana o di origine italiana” in sofferenza e che sembrerebbe essere accomunata in modo unanime alle posizioni dell’opposizione.

Caro amico e cara amica a cui invito questa mail

non è mia abitudine rivolgermi a te con una lettera collettiva ma questa volta ho un motivo che mi sta particolarmente a cuore e per il quale vi chiedo alcuni minuti di attenzione.

Invitarti a prendere conoscenza su una specifica delle tante, troppe situazioni di emergenza umanitaria può suscitare in te due interrogativi. Il primo è: perché questa fra le tante? Il secondo: e cosa posso fare io in questo caso?

Come valutare la sentenza di primo grado sul processo Condor a Roma? La Corte ha condannato all’ergastolo 8 ex alti ufficiali o presidenti in carica durante le dittature del Cono Sur per la morte e la scomparsa di cittadini italiani durante l’attività criminale del Plan Condor, la rete a guida Cia che serviva a liberarsi degli oppositori senza leggi né frontiere durante gli anni ’70 e ’80. Le assoluzioni sono state 19. Un documento declassificato dalla Cia e datato 23 giugno 1976 spiega la nascita del Condor, dopo una riunione che si svolse a Buenos Aires tra le intelligence dell’Argentina, del Cile, dell’Uruguay, del Paraguay e della Bolivia. Poi si aggiungeranno Brasile, Perù e Ecuador. L’Argentina, che conta 30.000 scomparsi, sarà l’epicentro del Condor.

due settimane nel Salvador devastato dalla violenza e da una criminalità organizzata che controlla intere zone del Paese;

due settimane sulle strade percorse da mons. Romero e da Marianella, sui luoghi del loro martirio e di quello di tanti altri, come Ignacio Ellacurìa e gli altri docenti dell’Università dei gesuiti, come padre Octavio Ortiz e i quattro giovani uccisi con lui, come padre Rutilio Grande e i due campesinos assassinati mentre lo accompagnavano ad una messa;