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La dittatura è come un'infezione: attacca la società con vari batteri. Uno dei questi è micidiale, aggredisce e rade al suolo la libertà di parola ovvero giornali, radio e tv. La stessa storia contemporanea europea ce ne dà numerosi esempi: dal salazarismo al franchismo, al nazismo, allo stalinismo, al fascismo. Preso il potere con un colpo di stato, le dittature si occupano subito di imbavagliare la stampa, la comperano con i soldi o con la paura, anzi, con entrambi. È il bavaglio alla libertà. Accadde col fascismo in Italia nel 1924. I cittadini non hanno altro che le notizie imposte dal partito al potere.

Tra il 2006 e il 2008 i parlamentari hanno fatto di tutto per fermare la diffusione di notizie che li riguardavano o riguardavano i loro potentissimi amici (spionaggio telefonico, malversazioni, conquiste di istituti bancari, traffici di voti, calciopoli, vallettopoli) di cui si occupava la magistratura. Il ministro della Giustizia, Clemente Mastella (poi caduto rovinosamente mentre faceva cadere il suo stesso governo) presentò alla Camera un ddl che prevedeva, tra l'altro, il «divieto di pubblicazione, anche parziale, degli atti di indagine contenuti nel fascicolo del pubblico ministero o delle investigazioni difensive, anche se non più coperti dal segreto, fino alla conclusione delle indagini preliminari».


Sull' «Unità», il giornalista Marco Travaglio osservava: «Cari lettori, quando il Parlamento approva una legge all'unanimità, di solito bisogna preoccuparsi. Indulto docet. Questa volta è anche peggio. La Camera ha dato il via libera alla legge Mastella che di fatto cancella la cronaca giudiziaria. Nessuno si lasci ingannare dall'uso furbetto delle parole: non è una legge "in difesa della privacy" (che esiste da 15 anni) né contro "la gogna delle intercettazioni". Questa è una legge che, se passerà pure al Senato, impedirà ai giornalisti di raccontare - e ai cittadini di conoscere - le indagini della magistratura e in certi casi persino i processi di primo e secondo grado. Non è una legge contro i giornalisti. È una legge contro i cittadini ansiosi di essere informati sugli scandali del potere, ma anche sul vicino di casa sospettato di pedofilia».


Il batterio delle «leggi bavaglio» alla libertà di parola è mortale per le democrazie: l'asservimento della stampa è il fondamento del totalitarismo. Oggi lo si prepara, cominciando dagli strombazzamenti propagandistici dei partiti di destra in vista delle elezioni politiche del 13-14 giugno. C'è da aver paura. Quasi ogni giorno, i mass media vengono accusati di aver volutamente stravolto le dichiarazioni di un leader o dell'altro, che peraltro tutti hanno ascoltato alla tv del giorno prima. Ecco, perché serve il bavaglio: a occultare la verità, che smaschera ladri e truffatori.


A spaventare i giornalisti, oltre ai politici, si trovano anche magistrati e avvocati. L'Unione nazionale dei cronisti italiani, UNCI, protesta segnalando casi stupefacenti. La Procura di Latina ha aperto un'inchiesta contro il direttore di un portale internet «per violazione di segreto di indagine» per aver reso nota un'ordinanza di assoluzione depositata in cancelleria (quindi già pubblica). Una inviata e un direttore di Studioperto sono stati incriminati a Perugia per «induzione alla rivelazione di atti d'ufficio»: avevano raccontato un fatto di cronaca. La sede di Ancona dell'agenzia nazionale di stampa ANSA è stata perquisita per aver «diffuso notizie» sulle minacce a un magistrato (e che cosa diffonde un'agenzia di notizie, se non notizie?). Una redattrice del «Mattino» di Napoli, il giornalista e scrittore Roberto Saviano (coraggioso autore di «Gomorra») e un ex pubblico ministero si sono visti accusati nell'aula di un tribunale da un documento della criminalità organizzata letto addirittura dagli avvocati difensori.


Che dire, se poi si aggiungono le lettere con minacce e proiettili che arrivano abbastanza spesso ai giornalisti più attivi? È qui che devono intervenire i politici, qui devono interessarsi della stampa: per fermare il crimine, garantire la libertà, la sicurezza, non per cucire le bocche di chi lavora al servizio della libertà di tutti.


Concludo riassumendo quanto scritto dall'Unione cronisti, riportato da un sito giornalistico nei giorni scorsi: «Berlusconi, nel presentare il programma del suo Popolo della libertà, ha annunciato la promozione di un ddl con il divieto di diffusione delle intercettazioni telefoniche e ambientali.», «Nel programma del Partito democratico di Veltroni si trova il divieto assoluto di pubblicazione di tutta la documentazione relativa alle intercettazioni e si chiedono sanzioni penali e amministrative molto più severe delle attuali». Da un batterio siamo all'epidemia.

Mario Pancera


La guerra contro il giornalismo.
Ma anche contro la libertà di stampa


di Mario Pancera


Tra le Olimpiadi di Pechino dell'estate 2008 e l'aggressione bellica alla striscia di Gaza nel mese di dicembre ci sono 64 giornalisti uccisi, un loro collaboratore pure ucciso, 673 giornalisti fermati o arrestati, 929 aggrediti o minacciati, 29 rapiti e 353 «media» cioè giornali o radio o tv, censurati. Questo elenco è pubblicato da Stefano Marcelli, presidente dell'Information safety and freedom, di Firenze, e riportato da siti giornalistici con il titolo «La guerra cieca di Gaza e la resa dei giornalisti». Lo riprendo appunto da uno di questi siti. Così va il mondo: si sa solo quello che vuole il padrone (lo ricordava anche don Lorenzo Milani ai suoi scolari: «I giornalisti scrivono quello che vuole il loro padrone»).

C'è una guerra contro il giornalismo cioè contro l'informazione, di cui le prime vittime sono i giornalisti, che vi perdono non soltanto la credibilità e l'onore, ma anche la libertà di parlare, la libertà di movimento e spesso la vita. Noi non sappiamo la verità sul peso effettivo delle Olimpiadi sulla vita dei lavoratori cinesi: la propaganda ha coperto tutto. Allo stesso modo, al di là delle notizie ufficiali dovute a Israele e ad Hamas, di Gaza non sappiamo nulla. I giornalisti non sono ammessi a documentare il massacro: perché, sebbene  le tv ci mostrino sempre gli stessi spezzoni di filmati vecchi e stravecchi, si tratta proprio di un disastro umano; in una ventina di giorni mille morti e migliaia di feriti, i palestinesi alla fame e alla sete, senza medicinali, senza nulla.
I giornali non sono dei giornalisti, ma degli editori ovvero di imprenditori che si occupano anche di banche, industrie leggere e pesanti, petrolio, armi, chimica e così via. Si ricorderà, forse, la distruzione di Falluja, in Irak, nel novembre 2004 con bombe al fosforo bianco, che pare siano le più micidiali che si possano produrre (solo un po' meno delle atomiche). Con queste bombe i corpi bruciano, addirittura si disfano, scompaiono. Il mondo protestò, i militari e i politici minimizzarono, anzi negarono. Ma, almeno, ci fu una specie di sollevazione generale dell'Occidente e non solo dei pacifisti, fin che le notizie si smorzarono e non se ne parlò più.

Nei giorni scorsi si è tornato a parlare di bombe al fosforo, questa volta nella battaglia di Gaza, e riprese l'esecrazione: timida, perché i militari israeliani ne negavano l'uso. Ma ci fu di più: in una intervista a un tg italiano, davanti ai filmati che mostravano il lancio di bombe multiple nella notte, un esperto spiegava che quelle potevano essere bombe al fosforo, ma che entro certi limiti (previsti dalle convenzioni internazionali), potevano essere legittimamente usate in guerra. Il fosforo fa bene, soprattutto ai bambini, diceva il mio vecchio medico condotto, rinforza l'intelligenza e la memoria.

La stampa è, dunque, sorda e cieca, è stata accecata come gli uccellini da richiamo: è per farli cantare meglio. I giornalisti non protestano: in Italia c'è tra l'altro una annosa discussione sindacale per il rinnovo del contratto nazionale, gli istituti giornalistici  di mutua assistenza sanitaria e pensionistica sono in crisi. La categoria è in un momento cruciale su vari fronti: è come un cane da caccia alla catena.

C'è un giornalista che da settimane parla al Tg 1 «dal confine di Israele con la striscia di Gaza». Ha sempre lo stesso tono di voce, e alle spalle sempre lo stesso sottofondo. È una vittima, non un protagonista dell'informazione. E il suo editore non è un privato, è la Tv pubblica. Potrebbe almeno dire: «Guardate, non ci lasciano andare a vedere con i nostri occhi quello che sta succedendo: mille morti sono mille morti, un milione e mezzo di affamati sono un milione e mezzo di affamati, vorremmo aiutarli presentando al mondo le loro condizioni, invece siamo qui al freddo e vi diamo perciò solo le notizie che ci passano gli eserciti...» Non dice niente, perché non può (non penso che sia un servo o sia d'accordo con chi gli impedisce di fare liberamente il suo lavoro di giornalista).

È come se  la guerra non esistesse, eppure la si può riprendere quasi al millimetro dai satelliti artificiali, ma anche quelli o sono militari o militarizzati o proprietà di qualcuno che certo non è un giornalista. Conclude Marcelli: «Di fronte a questa stampa sorda e cieca non bisogna interrogare gli astri per prevedere un altro anno nero per la libertà di informazione nel mondo». Io speriamo che si sbagli.

Mario Pancera