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Che cosa rimarrà nella storia delle dimissioni di Papa Benedetto XVI? Che cosa rimarrà di questo evento straordinario di cui siamo testimoni? Che cosa rimarrà, in un’epoca dove l’etere divora quintali di notizie, dove i virus hanno il potere di fare tabula rasa di ogni informazione digitale.

Diceva che nella Chiesa c’era bisogno di “cardinali un po’ matti”, di “gente fuori dalle righe”, di “persone che rompessero le barriere e sapessero portare novità”. Non riusciva a sopportare la vista di questa Chiesa “stanca”, “rimasta indietro di 200 anni” e si interrogava del perché non si scuotesse, di cosa mai avesse paura, com’è che continuasse ad accumulare “tanta cenere sopra la brace”.

La Chiesa che si appresta a celebrare i 50 anni dall'inizio del Concilio Vaticano II dovrà ora fare a meno anche di lui. Martini non aveva partecipato al Concilio, ma tutta la sua vita è stata intrecciata alla straordinaria novità con cui la Chiesa del Novecento aveva saputo ripensare se stessa, la fede e il mondo; di questa novità egli è stato il più lucido e coraggioso interprete nell'episcopato italiano, e a una delle conversioni più decisive della Chiesa conciliare, quella del ritorno alla Bibbia e della sua restituzione alla preghiera e alla riflessione dei credenti, ha dato strumento e voce, sia con i suoi studi biblici e la sua riedizione dal greco del Nuovo Testamento, accolta e usata da tutte le Chiese cristiane, sia con la generosa somministrazione della Sacra Scrittura nella «Scuola della Parola» e nelle sue catechesi e letture bibliche ai fedeli di Milano.