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Bocche scucite - Voci dai territori occupati: intervista a Nandino Capovilla

Autori: Betta Tusset, Nandino Capovilla

Qual è il dramma più grande delle persone che vivono in Palestina? Soprattutto dei cristiani?
La parola 'dramma' non riesce a far intuire una sofferenza e un'umiliazione inenarrabile che da cinquant'anni riduce allo stremo un intero popolo. Non siamo genericamente in una situazione di 'guerra' ma in quella più perversa e lacerante di un sistema di occupazione militare che schiaccia e tiene imprigionati milioni di esseri umani. Il dramma è in realtà una evidente ingiustizia basata sul ripetuto rifiuto da parte della potenza occupante di sottostare alle Risoluzione delle Nazioni Unite soprattutto interrompendo la colonizzazione e il blocco del movimento. I cristiani per questi motivi lasciano la Terrasanta e non certo -come alcuni irresponsabili media vorrebbero far credere- per una inesistente “persecuzione” da parte dei musulmani.


Perché le Agenzie di stampa non considerano granché, in genere, la voce degli abitanti della Palestina?
In ogni parte del mondo, in Palestina come in Iraq, dobbiamo vergognosamente prender atto di un sistematico mascheramento della realtà da parte delle agenzie di stampa mondiali che regolarmente falsano e nascondono le responsabilità dei potenti. Qui il fenomeno è macroscopico: attraverso un perverso uso di ambigui eufemismi si fa credere quotidianamente alla gente che invece di un chiaro massacro basato sull'occupazione militare ci sia un conflitto con torti e ragioni da entrambe le parti. Questo -come ripete inascoltato il Patriarca di Gerusalemme- è semplicemente falso. Non si può proprio accettare l'equidistanza che confonde l'occupante con l'occupato.E' molto più comodo cucire la bocca a chi potrebbe denunciare soprusi e ingiustizie con precise responsabilità di singoli e di stati. E' indispensabile allora studiare modi e spazi per dare ascolto a milioni di “bocchescucite”!

Checkpoint, muro, apartheid, campi profughi, ingiustizie, diritti violati… Potrà mai cessare tutto questo in Palestina?
Il vero processo di pace non ha niente a che fare con ridicoli tentativi per ammorbidire il sistema di occupazione né con inutili “generose concessioni”unilaterali: solo quando ognuno di questi terribili aspetti verrà affrontato dalla comunità internazionale forzando chi commette violazioni e ingiustizie vedremo avvicinarsi la pace. L'esempio più palese è il muro dell'apartheid: nessuno dovrebbe continuare a nascondere la chiara condanna della Corte dell'Aja e dell'Assemblea Generale dell'Onu.

Quanto conta la tradizione per un Palestinese?
La storia e la tradizione del popolo palestinese hanno radici ben più profonde di quelle dei loro alberi di ulivo che regolarmente, nell'impunità generale, vengono sradicate dai coloni israeliani. La terra e la famiglia, la casa e il campo, sono sacri e inviolabili. Nessun palestinese accetterà mai che il suo villaggio sia distrutto e consegnato ad altri come si è verificato nel 1948. E la fede dei cristiani è intrisa di un'”arabità” di straordinario spessore e valore per la terra che vede impresse le impronte dei passi del Figlio di Dio.

Le organizzazioni umanitarie che operano nel territorio non finiscono per deresponsabilizzare i veri responsabili di una situazione tanto dura, cioè i politici?
Se non ci fossero queste organizzazioni la Palestina non avrebbe potuto sopravvivere a quarant'anni di occupazione militare. I politici anche europei e italiani hanno l'enorme responsabilità di non sostenere gli sforzi di pace di leader e governi democraticamente eletti, adeguandosi alla criminale logica dell'apartheid e dell'embargo. Un popolo alla fame e umiliato come un topo in gabbia dovrebbe far sussultare le coscienze dei politici.