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L'assuefazione alla guerra in questo sistema di disonformazione

Ci stiamo assuefacendo alla guerra, alle tragedie e alla violenza, in un vortice in cui siamo incapaci di abitare il senso critico e il dubbio, di porci delle domande.

Di questa degenerazione un buona parte di responsabilità ce l'ha l'informazione, ormai, fatte poche eccezioni, tutta a senso unico, incapace di descrivere la complessità delle cose e delle tragedie, rispetto alle quali non esiste un'unica tonalità per rappresentarle: informazione che riflette specularmente il degrado della politica.

Pensiamo per un istante se la Russia avesse distrutto una città ucraina, di oltre due milioni di abitanti, sganciando su di esse una quantità inimmaginabile di bombe; uccidendo più di 15.000 persone, la metà dei quali bambini; distruggendo siti di interesse storico, archeologico e religioso; bombardando ospedali con il pretesto che nascondessero postazioni militari; allagando con acqua di mare interi territori. Ebbene dinanzi a questo quale sarebbe stato l'atteggiamento delle potenze occidentali, dell'Europa, dell'Italia? Quale i resoconti dei media e dei giornali?

Io credo che ci sarebbe stata, giustamente, una indignazione profonda e un'alzata di scudi generali, e sarebbero state, sicuramente, decise nuove sanzioni dinanzi ad un crimine di tale portata.

Di fronte alla reazione del governo israeliano, in seguito all'attacco terroristico di Hamas, invece tacciamo, anzi quasi giustifichiamo questa reazione spropositata che sa di vendetta, e che appare quasi un piano già scritto; non ci inorridiamo, non adottiamo sanzioni e chi magari solo lo pensa viene tacciato di antisemitismo.

Eppure il governo israeliano ha distrutto Gaza, che per altro assediava da anni, nella quale vivono più di due milioni di abitanti, sganciando in un mese più bombe di quelle usate in tutto il conflitto Russo Ucraino; ha ucciso più di 15.000 persone, la metà dei quali bimbi o minori; ha distrutto chiese antiche, luoghi di culto, siti di interesse archeologico; ha bombardato ospedali sostenendo che vi si nascondessero postazioni militari; ha allagato i tunnel sotto Gaza con acqua marina, causando un danno ambientale devastante.

Due pesi e due misure!

Il peccato originale dell'occidente dinanzi al conflitto israeliano – palestinese che dura da più di 70 anni, è avere sempre avuto due pesi e due misure.

L'olocausto ci avrebbe dovuto insegnare quanto sia mostruoso e orribile il genocidio di un popolo, il considerare popolazioni inferiori a noi, praticare apartheid. Questo insegnamento ci dovrebbe attrezzarci affinché queste situazioni non si verifichino e, in ogni caso denunciare quelle realtà in cui invece esistono.

Purtroppo, dobbiamo constatare come come il governo israeliano adotti da sempre, nel silenzio generale dell'occidente, politiche di apartheid, quando mette in atto diritti e sistemi giudiziari diversi per israeliani e palestinesi, quando occupa territori che non gli appartengono, quando distrugge una regione intera, quando separa la propria terra con muri fortificati, quando permette ai coloni di uccidere i palestinesi.

Dinanzi a tutto ciò non ci inorridiamo, perché ci viene chiesto solo di schierarci per Israele, perché gli occidentali devono fare questo e chi evidenzia la complessità del conflitto viene messo all'indice tacciandolo di antisemitismo.

Non solo non ci inorridiamo, ma il sindaco della città di Modena è stato capace addirittura di esibire un carrarmato con la bandiera israeliana da cui si distribuiscono doni. Che messaggio lanciamo ai nostri figli signor Sindaco: ogni carrarmato uccide non elargisce doni! Le armi uccidono! Ed anche il carrarmato israeliano uccide bimbi vecchi e donne, imprigionati in una striscia che il governo israeliano ha assediato con un muro impedendone l'uscita da terra e da mare.

Siamo intrisi di violenza, perché la comunichiamo ad ogni livello in maniera più o meno esplicita. Dinanzi alla violenza di genere causata dalla cultura del patriarcato, ascoltiamo le frasi ipocrite della politica, capace solo di introdurre nelle scuole corsi di educazione al rispetto.

Ma quale senso ha questa scelta quando poi il linguaggio e la pratica della politica è di altro tono, con la riproposizione costante del nemico e la perpetuazione dell'odio?

Dobbiamo anche essere consapevoli che nessun corso di educazione al rispetto fatto nelle scuole, può servire se non si educa al rispetto nella società, nella politica, nel linguaggio della politica, nelle scelte della politica, nell'agire della politica a prescindere dal genere, dalla fede religiosa, dal colore della pelle e dalla nazionalità.

Dobbiamo imparare a indignarci e provare sgomento ogni volta che viene esercitata violenza, ogni volta che viene ci troviamo di fronte ad una ingiustizia, a prescindere dall'appartenenza di chi la subisce e di chi la pratica.

Dobbiamo espellere la guerra dalla nostra società, e per farlo non abbiamo bisogno di esibire un carrarmato come addobbo natalizio. E se vogliamo espellere la guerra dobbiamo riabituarci a leggere la complessità delle cose, a capire che un conflitto non nasce mai per caso e, sopratutto, non dobbiamo avere due pesi e due misure a seconda del paese che compie mostruosità.

Dobbiamo praticare una logica ed una cultura altra rispetto a quella militare e della guerra, capovolgere il paradigma, consapevoli che la guerra genera solo odio e altra violenza, costruendo un mondo di disuguaglianze e oppressione.

Dobbiamo praticare una politica inclusiva fondata su nonviolenza e disarmo.

Faccio mie le parole di Padre Paolo Dall'Oglio, come invito veramente ad abitare le differenze e il dubbio:

Credo che la pace sia qualcosa che si costruisce con i propri nemici. Perché non si farà mai pace se nell’altro si cerca solo quello che ci assomiglia. Fare la pace significa avere curiosità, attenzione, apertura verso la differenza. Bisogna immaginare di poter imparare qualche cosa. Per questo però c’è bisogno di creare spazio per il dialogo, per la curiosità e per l’intesa

Costruire la pace significa ripristinare la giustizia e trovare un punto d'incontro, rispetto al quale ciascuno guadagni e perda qualcosa, ma in un bilancio che alla fine risulti positivo rispetto alle devastazioni di vite umani e di condizioni di insicurezza che si andrebbero a determinare continuando la guerra.

Per fare questo è però necessario riconoscersi reciprocamente, vedere anche nell'altro l'umanità che rappresenta.

Gino Buratti

Massa, 19 dicembre 2023