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Ribaltare la Shoah? (Ida Dominijanni)

Pubblicato su "Il manifesto" del 8 agosto 2006.

Sottrarsi al ricatto della Shoah e dare voce a un grido liberatorio contro la politica di Israele: sul manifesto del 3 agosto e su Liberazione del 4 Angelo d'Orsi propone questa sorta di «programma minimo» per la sinistra - intellettuali, politici, giornali e comuni mortali in grado di sottrarsi al «chiacchiericcio opinionistico» che ci martella con la sicurezza di Israele e in nome della Shoah giustifica la sua aggressività in Medioriente, la sua pulizia etnica verso i palestinesi e la sua arroganza verso l'Onu. A costo di alimentare il chiacchiericcio, mi permetto di dissentire fermamente. Prima che sul merito, su una pratica intellettuale che perimetra la sinistra coi picchetti, gerarchizza intellettuali e senso comune, identifica verità e razionalità senza nulla apprendere dallo scacco della ragione in cui sulla questione mediorientale tutti, intellettuali e ordinary people, siamo presi e persi. Sulla Shoah e sull'antisemitismo «scientifico» novecentesco che portò alla macchina dello sterminio di Hitler, molti intellettuali di sinistra, argomenta d'Orsi, hanno le carte in regola e le credenziali in ordine: energie, saggi, volumi dedicati a analizzare, condannare, combattere. Insomma: abbiamo dato. Basta questo per sentircene affrancati? Basta per decidere che siamo in un'altra epoca e in un mondo rovesciato, in cui «le vittime si sono trasformate in carnefici» e le energie, l'analisi, la denuncia e la condanna vanno spostati tutte e solo dall'altra parte? Tutte e solo, sottolineo. Perché è ovvio che su molti degli argomenti di d'Orsi siamo d'accordo: sull'aggressività e la cecità strategica della politica di Israele; sulla cecità politica della comunità israelitica italiana; sull'uso a dir poco strumentale della Shoah da parte della destra e dei giornali di destra (e non solo) italiani. Ribaltando lo schema retorico di d'Orsi verrebbe però da dire: non abbiamo già denunciato più e più volte tutto questo su questo giornale (e altrove)? Non abbiamo anche qui le carte in regola e le credenziali in ordine? E dunque in che dovrebbe consistere quell'appello a sottrarsi al ricatto della Shoah che d'Orsi ci rivolge, e da quale spostamento dovrebbe sgorgare quell'ulteriore grido d'indignazione che ci chiede di lanciare? Temo che la chiave stia in quel presunto ribaltamento delle vittime in carnefici, che domanderebbe e autorizzerebbe il ribaltamento di cui sopra dell'epoca, del mondo, delle ragioni e dei torti. Con due conseguenze nefaste. La prima è lo schiacciamento - antisemita e antidemocratico - del popolo ebreo sul governo israeliano, schiacciamento speculare all'integralismo che d'Orsi denuncia nello stato di Israele. La seconda è la valutazione delle poste in gioco in Medioriente che ne consegue. Se le vittime si sono trasformate in carnefici, il conto è facile: tutti i torti a Israele, tutte le ragioni ai palestinesi e al Libano. Ma è così? Davvero, fermo restando il giudizio sulla politica israeliana, non c'è anche il problema del riconoscimento e della sicurezza di Israele? Davvero, fermo restando il giudizio sulla deriva integralista di Israele, non c'è anche il problema del fondamentalismo di Hamas e Hezbollah? Davvero su Hamas e Hezbollah possiamo farci scudo della religione democratica e della fede nella legittimazione elettorale, o non è piuttosto la fede democratica a essere scossa dalla legittimazione elettorale di Hamas e Hezbollah? Davvero l'11 settembre e la guerra in Iraq non ci obbligano a guardare al Medioriente con lenti modificate? La tragedia mediorientale non sta in un ribaltamento dei torti e delle ragioni: sta in una loro, spesso indecidibile, complicazione. Lo scacco della ragione sta qui, e brucia le migliori carte e le migliori credenziali.
Qual è l'eredità della Shoah in gioco nella discussione pubblica sul Medioriente, e per chi gioca? L'ha scritto domenica Sveva Haertter su queste pagine: la Shoah ha colpito il popolo ebraico ma pesa su tutta l'umanità. È un crimine dell'umanità contro l'umanità: nella sua memoria non ne va solo del destino delle sue vittime, ma della colpa europea. Non ne va solo dell'antisemitismo novecentesco, ma di qualsivoglia biopolitica che faccia tutt'uno di una razza, una religione e uno stato. Non abbiamo svoltato pagina in un hegeliano e razionale ribaltamento del secolo e delle ragioni: quella pagina si sta tragicamente e irrazionalmente riaffacciando, per fortuna senza la macchina hitleriana dello sterminio, per disgrazia in più punti del mondo e su tutti i fronti del micro-mondo mediorientale. La sua memoria non parla a una parte o all'altra: parla a ciascuna e a noi spettatori, o tace per tutti.