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Ricostruire con l'aiuto della memoria

Spesso gli errori hanno una capacità di perpetuarsi che vince qualunque buona intenzione. Specie nei grandi rivolgimenti, come quelli innescati da guerre o terremoti, cambiamenti demografici nei quali si affacciano grandi idee come novità, ma che la storia ha già condannato. Fra queste l' idea delle new town, le nuove città, dei quartieri periferici ai margini delle comunità storiche distrutte o in fase di tumultuosa crescita. Come se il problema posto da queste evenienze potesse essere risolto solo con nuove abitazioni, nuovi agglomerati che nascono senza alcun legame con quanto la storia ha sedimentato, con quanto le comunità hanno creato, non solo come tetti per ripararsi e strade per incontrarsi, ma anche come modi di vivere, come cultura della vicinanza, condivisione del lavoro, della fede. ualche mese dopo il sisma del ' 68, quando si cominciò a parlare di ricostruzione, Danilo Dolci lanciò l' idea della città - territorio che avrebbe dovuto trasformare la valle del Belice in una grande comunità nella quale i risorti comuni avessero la possibilità di servizi e scelte economiche tali da farle uscire dalle angustie di paesi fino a quel momento dimenticati da Dio e dagli uomini.
Non si trattava di new town ma di una organizzazione moderna del territorio nel quale gli antichi aggregati cittadini, nel rispetto delle loro tradizioni, potessero trovare una moderna complementarità.
Lo scrivente, coinvolto nel progetto per gli aspetti sanitari, condivise l' iniziativa. In una delle riunioni di lavoro a Poggioreale, Danilo aveva invitato architetti e urbanisti siciliani, fra i quali Giuseppe Carta dell' Università di Palermo, amministratori locali, una rappresentanza popolare.
La discussione andava dai nuclei di urbanizzazione a un asse autostradale attrezzato, alle bretelle viarie di raccordo, ai servizi sociali e sanitari. A conclusione Dolci domandò a uno dei contadini presenti: «Zu Pippino, che ne pensi?». Ed egli rispose: «Bellu, ma li vestie dunni li mittemo (Bello, ma le bestie, i muli dove li mettiamo?».
Risposta e domanda di immediata saggezza contadina. Che si pone il problema, prima che di un tetto, di come salvaguardare gli strumenti di lavoro, le bestie che rappresentavano nel mondo contadino gli ausili più importanti. Ma anche la prospettiva dignitosa di autosostenersi con la propria famiglia. La ricostruzione della valle, a parte l' autostrada PalermoMazara, è andata per tutt' altro verso.
Si sono ricostruiti i borghi distrutti facendone grandi dormitori, quando non sono stati posti 15 chilometri lontano dal sito storico. Come per Gibellina, lontana anche dai terreni che per secoli avevano permesso una stentata ma dignitosa sopravvivenza. La stessa disattenzione ha caratterizzato l' opera degli urbanisti che si sono interessati dell' edilizia popolare siciliana.
A Palermo, le periferie rappresentate da Borgo Nuovo, il Cep, Falsomiele, lo Zen hanno permesso che i cittadini più bisognosi di un' abitazione degna di questo nome lasciassero Cortile Cascino, la Fossa di Danisinni, via D' Ossuna, senza nessuna delle attività con le quali erano vissuti fino a quel momento. Fra queste, la raccolta di capelli, di rottami di ferro, di stracci, di cartone.
Nei grandi dormitori dovettero provvedere a come ogni mattina «scendere a Palermo», come sostituire il carrettino con la "lapa" per continuare la propria attività. Sicuramente, i palermitani della città bene avranno pensato alla sparizione di questi mestieri. E grande sarà stata la loro sorpresa apprendere che sono ancora tanti a praticarli e tanti capaci di organizzare manifestazioni di piazza, come recentemente è avvenuto davanti al nostro palazzo Pretorio, perché una disposizione dell' Amia, corretta sul piano igienico ma non su quello umano, ha cercato di impedire che queste attività potessero essere svolte dagli «ultimi» dei nostri cittadini.
Ecco a cosa dovranno pensare urbanisti e amministratori pubblici quando vi è la necessità di trasferire una determinata popolazione? Essa non può muoversi con lo strappo di radici storiche, sociali ed economiche con le quali ha vissuto fino a quel momento.
Le conseguenze di queste disattenzioni sono il degrado civile e morale dei nuovi aggregati, com' è avvenuto per lo Zen 1 e 2, per Falsomiele a Palermo, per il Librino a Catania, per le Vele a Napoli. Un degrado legato alla ricerca di nuovi sistemi di guadagno, alla mancanza di una coscienza e di un controllo civico presenti anche nelle più piccole ma stratificate comunità umane.
Un paese come il nostro non può spostarei suoi cittadini senza stare attento a che lo spostamento non diventi la deportazione dei più poveri.

Pubblicato su "Repubblica" del  14 aprile 2009