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I poveri hanno paura di parlare

Perché? Proprio perché sono poveri. La società cerca di far dimenticare che siamo tutti uguali figli di Dio

di Mario Pancera

I poveri hanno paura di parlare, infatti per farsi coraggio gridano e cercano di stare insieme. Non trovano mai un capo, se non passeggero. Eleanor Marx, la figlia di Karl, che pure era un'eccellente e ascoltata oratrice si lamentava che le folle in piazza, a Londra come a Chicago, perdessero ogni controllo non appena a confronto con la polizia, per mancanza di capi. Quelle folle erano formate da disoccupati, sottoccupati ovvero miserabili, un «popolo di straccioni» che non poteva darsi un capo: troppa la differenza tra chi deve saper guidare e chi deve comprendere come, perché e quando deve seguire.

L'emancipazione passa attraverso il pane e la scuola. Le folle dei miserabili non appartengono a nessun partito, nessuno li vuole: sono incontrollabili. Anche Marx aveva questo concetto, le chiamava «Lumpenproletariat», proletariato degli stracci. Il cristianesimo, invece, le raccoglie, cerca di immetterle nella società più viva dando loro, in nome di un dio salvatore, una dignità umana che esse hanno perso o addirittura mai avuto. Il corpo umano è sempre sacro.

Chi sono i poveri? Sono dappertutto, e hanno molti nomi, al punto che a volte non sembrano nemmeno poveri oppure sono peggio dei peggiori miserabili. Per don Milani, per esempio, gli analfabeti erano i più poveri tra i poveri, perché non possedevano nemmeno la parola per difendersi. Per don Mazzolari erano forse i bergamini, mungitori a giornata provenienti dalle valli bergamasche che nelle stalle padane lavoravano e vivevano come bestie. Per don Zeno i reietti senza famiglia. Ognuno di noi ha i poveri e i miserabili sotto gli occhi ogni giorno, ogni ora.

Faccio qualche caso che conosco. Mio padre e i suoi fratelli erano figli di un falegname: i tre maschi a 18-20 anni furono chiamati «al servizio della Patria» sulle Alpi contro l'Austria nella prima guerra mondiale; la femmina in filanda. Mio padre aveva fatto solo la prima elementare, era del 1897, fece la guerra tra il 1916 e il 1918, come autiere perché considerato istruito al punto da poter guidare i camion e leggere i cartelli stradali. Mio nonno materno, contadino, padre di due bambine, fu spedito a combattere in Macedonia: ucciso dal fuoco amico (cannonate degli alleati francesi: disperso), lasciò una vedova e due bambine, finite in orfanotrofio. Chi poteva aiutarli, chi riunirli a protestare per i loro diritti conculcati, chi alzare una voce in loro difesa? I ricchi, gli intellettuali?

Oggi, leggendo i giornali e guardando alla tv il Kossovo, il Darfur, l'Irak, l'Iran, l'Afghanistan, ma anche i paesi del centroafrica, la stessa immensa Cina (dove quasi ogni giorno scoppia una miniera di carbone, con dozzine di cadaveri) ci si trova davanti a un mondo di povertà. Bambini seminudi o con abiti laceri, sporchi, malati, affamati, uomini vestiti di lunghi stracci ma armati fino ai denti, file di persone che corrono tra morti e sangue, campi incoltivati, acqua che manca: folle di individui analfabeti che vivono come bestie e come bestie e muoiono.

Come fanno a parlare costoro? Come possono capire che ci si può difendere senza uccidere se non hanno nemmeno dove posare la testa, l'amore di una donna, l'amore dei figli? Chi li può aiutare, chi li può tirare fuori dalla melma, chi aiutarli ad avere la loro dignità? Chi gli insegna che sono pari a noi? I ricchi, gli intellettuali? Sembra populismo, ma guardiamo in faccia la realtà: questo sub proletariato non parla, muore o uccide.

Nel mondo occidentale c'è, in forma più consistente, un'altra povertà: ci sono scuole dove gli studenti non studiano, posti di lavoro dove i lavoratori cercano di non lavorare e altri dove i lavoratori sono sfruttati al centesimo, famiglie devastate dalla droga, soldati che non sono più chiamati dalla patria ma dallo stipendio, e via di questo passo. La soldatessa inglese, arrestata tempo fa dagli iraniani mentre si trovava insieme con una decina di connazionali in acque lontane migliaia di chilometri da casa, non era chiamata a difendere la patria: è la madre di una bambina, che aveva bisogno di uno stipendio per mantenerla. Così troviamo in divisa militare mariti, padri, fidanzati e perfino nonni.

Sono tutte cose note: sono sui giornali. Questi sono tutti poveri, non straccioni, certo; tutti in grado di pensare, di scrivere, di leggere, di riflettere, di partecipare alla vita politica. Eppure non parlano, non si difendono: non conoscono il loro diritto di far parte della stessa umanità. La società che li utilizza tende a trasformare la fede in superstizione, tende a far dimenticare che tutti gli uomini sono uguali come figli di Dio. È una verità da tenere nascosta. Uguali? I poveri, di ogni livello e di ogni latitudine, devono tacere, subire, non organizzarsi.

Perfino «sapere» fa paura. La paura di sapere, e quindi di parlare e di esprimersi, è contagiosa. Ma chi gli insegna che, invece, dovrebbero parlare, che devono dire la loro, che non devono avere paura della verità? L'attesa è lunga, intanto in silenzio se ne vanno. Ricordava Mazzolari: «Lo scandalo del secolo non è forse il distacco dei poveri dalla Chiesa?»
Mario Pancera