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Rivisitando empowerment: principi per uno sviluppo umano (John Friedmann)

Tratto dalla "Nonviolenza in cammino", n. 1323 del 11 giugno 2006

Ringraziamo Alberto L'Abate (per contatti: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.) per averci messo a disposizione il seguente testo di John Friedmann: "si tratta della nuova introduzione al libro da me curato, Empowerment, verso il potere di tutti, edito nel 2004 dalle edizioni Qualevita di Torre dè Nolfi (Aq). Lo sviluppo alternativo è stato il mio tentativo, 15 anni fa, di elaborare un quadro di lavoro di riferimento teorico sulla povertà, che non cominciasse e finisse all'interno dei discorsi egemonici della teoria economia neoclassica. Questa teoria, tanto popolare oggi, è una riproposta del liberismo ottocentesco di Manchester, ovvero della teoria dello stato gendarme per la quale il ruolo dello stato è ridotto al suo potere poliziesco di mantenimento dell'ordine sociale in modo tale da consentire al sistema dell'impresa privata di impegnarsi in una accumulazione incontrastata.
Attualmente il liberismo di Manchester, un tempo praticato solo in Gran Bretagna, è stato adottato a livello globale. Ma i suoi fondamenti filosofici non sono molto diversi da quelli che i suoi ideologi predicavano due secoli fa: individualismo sregolato, competizione come primo movente del comportamento umano, giustizia distributiva rapportata ai meriti di ciascuno (cioè quella che potremmo definire una forma di giustizia naturale, in sintonia, insieme alla fiducia nella competizione, con il modello del darwinismo sociale) e la fede in un mondo di risorse materiali illimitate.
Non voglio spendere qui il mio tempo per criticare questa ideologia o visione del mondo che oggi, in modo multiforme, si insinua in tutti i discorsi sulle politiche pubbliche in Europa occidentale come in Nordamerica. Quello che sappiamo, e che può essere confermato empiricamente, è che l'inevitabile conseguenza di una economia di mercato senza regole è una abietta povertà di massa, e che l'accumulazione al vertice non produce alcune effetto di "sgocciolamento" verso le masse, come spesso ci viene raccontato, ma tale accumulazione è possibile solo perché la maggior parte della popolazione mondiale è largamente ignorata dalle istituzioni capitalistiche il cui unico obiettivo è una ulteriore accumulazione su scala globale.
Mi piacerebbe, invece, tracciare alcuni principi alternativi per una economia morale che si collochi in un rapporto dialettico con l'attuale economia dei mercati sregolatamente "liberi". L'economia morale locale non è un sostituto dell'economia di mercato globale, nè intende essere una nota a piè di pagina dell'ideologia dominante. È un'alternativa a pieno campo che, in una continua lotta con i poteri egemonici esistenti, condurrà, si spera, ad una nuova sintesi dello sviluppo che mantenga la promessa di un mondo nuovo rivolto non all'arricchimento individuale ma al fiorire della vita umana.

Sono solo sette principi:

1. Gli esseri umani sono naturalmente sociali, dotati di affettività, la cui vita e la cui sussistenza sono autoprodotte in stretta interdipendenza con gli altri, vicini e lontani, ma inevitabilmente in condizioni che non sono state prodotte da loro.
Questo è il principio di base. È un'antropologia filosofica che ci dice qualcosa sulla natura umana:
o che non siamo individui isolati che perseguono il proprio autodeterminato corso nella vita;
o che non siamo solo esseri pensanti e razionali, ma che siamo capaci di sentimenti come l'amore, la passione, l'odio, la disperazione, la speranza ecc. Sentimenti che di fatto sottendono ogni nostro pensiero e azione;
o disporre dei mezzi per la sussistenza (vale a dire per la sopravvivenza fisica e la riproduzione sociale) è una condizione fondamentale della vita, laddove "vita" assume il suo significato più ampio possibile;
o noi siamo agenti e dunque responsabili della nostra vita e sussistenza;
o La vita e la sussistenza sono attività intrinsecamente sociali che ci coinvolgono con gli altri a livello individuale e generale;
o le condizioni in cui riproduciamo la nostra vita e sussistenza non sono determinate da noi e abbiamo limitate possibilità di modificarle (per i filosofi esistenzialisti siamo "gettati nel mondo").

2. L'economia morale, basata sulla reciprocità e sulla cooperazione, esiste in relazione di interdipendenza con l'economia di mercato che è organizzata sulla base di principi differenti.
Noi tutti partecipiamo simultaneamente a due economie: una economia di mercato mediata dal denaro e in parte regolata dalla competizione e un'economia morale regolata da principi come la reciprocità, la cooperazione, la lealtà, il senso del dovere, l'amore, ecc. l'economia morale ha le sue origini nella comunità familiare, quella che gli antichi greci chiamavano oikos, che di fatto permea e rende possibile l'economia di mercato capitalistica di oggi. Per questa ragione credo che l'economia morale sia la più pervasiva delle due: l'economia di mercato e ogni forma di organizzazione comunitaria crollerebbero in assenza della prevalenza delle relazioni morali, mentre l'economia familiare, sebbene inserita nel mercato, opera principalmente in base alle relazioni morali di reciprocità e cooperazione. Il mercato capitalista quindi dipende in buona misura dall'economia familiare che si assume la responsabilità fondamentale della riproduzione sociale e dei suoi costi (1). I conflitti sono inevitabili e possono sorgere quando il nucleo familiare, originariamente centrato sull'autoproduzione della propria vita e sussistenza si impegna direttamente in transazioni di mercato (ad esempio con il lavoro a domicilio e le cosiddette attività informali). Inoltre nella maggior parte delle società esiste una precisa divisione del lavoro in base al genere che nell'economia non remunerata delle relazioni morali richiede alle donne un carico di lavoro significativamente maggiore rispetto agli uomini.

3. La distribuzione delle ricompense dovrebbe essere guidata da un senso di giustizia sociale (distributiva) e secondo la misura dei bisogni di riproduzione sociale e di crescita individuale (flourishing) degli esseri umani.
Questo principio si compone di una parte normativa (giustizia distributiva e sviluppo umano come valori sociali fondamentali) e di una parte assertiva sulle condizioni che rendono possibile la vita umana. L'asserzione è che i bisogni umani di sopravvivenza fisica, riproduzione sociale e crescita individuale sono intrinsecamente circoscritti, mentre l'economia capitalistica di mercato è basata sull'assunto di un illimitato desiderio di beni e servizi materiali, ciò che gli economisti classici hanno definito come "domanda". I bisogni di vita e di sopravvivenza possiamo definirli bisogni di base mentre la crescita individuale (flourishing) va oltre la sopravvivenza e l'autoriproduzione.
In termini di giustizia distributiva che è sempre, di per sè, un criterio sociale, la società (nello sviluppo alternativo) ha la responsabilità di assicurare le condizioni ottimali per la crescita individuale (flourishing).
La realizzazione degli obiettivi di crescita individuale dei membri della household dipende dalle dinamiche sociali interne al gruppo familiare sul quale la società esercita un controllo limitato (2).

4. Come esseri sociali, dotati di affettività, gli esseri umani si relazionano gli uni con gli altri in comunità che li vincolano a reciproche obbligazioni e responsabilità alle quali sono collegate aspettative e diritti.
Il principio introduce un'altra variabile: la comunità. Per comunità in questo contesto si intende un'entità politica a base territoriale e le sue specifiche forme di "governance". Una comunità che esiste a diverse scale di grandezza, dal villaggio alla metropoli e altre ancora fino agli stati nazionali e ad altre forme di stato. Alcuni di noi oggi parlano di comunità globale e della necessità di procedure e regole a questo livello per la salvaguardia della vita e dello sviluppo umano (ad esempio diritti umani e sviluppo sostenibile). Il principio che collega i diritti ai doveri è, a mio parere, una condizione universale della vita sociale, ma sia gli uni che gli altri sono oggetto di lotta perenne e costituiscono il cuore di ciò che si intende per cittadinanza politica.

5. Ci sono limiti alla crescita economica che, se superati, conducono ad una lotta senza quartiere per la sopravvivenza di alcune comunità umane.
Il principio capitalista della "crescita illimitata" è insostenibile sulla lunga durata e ci condannerà infine a una guerra permanente tra nazioni per il controllo delle risorse, per la giustizia distributiva e per la sopravvivenza collettiva. Tale stato di guerra è già in atto in diverse parti del mondo. Lo sviluppo alternativo deve quindi trovare il modo di superare il principio obsoleto, ma ancora dominante, della crescita economica illimitata. Ciò implicherà, in prima istanza, uno sviluppo orientato principalmente al soddisfacimento dei bisogni umani primari di tutti i membri all'interno delle loro comunità. (si vedano i principi 3 e 4).

6. In linea di principio è possibile raggiungere uno sviluppo socio-economico che assicuri ad ognuno, per prima cosa, la sussistenza di base in modo da rendere possibile la crescita (flourishing) delle capacità individuali, che sono di fatto diverse tra gli esseri umani.
Questa è una dichiarazione di speranza più che un principio. Si noti che in questa affermazione l'individuo entra per la prima volta nel mio discorso e che in quanto tale gli sono riconosciute capacità individuali differenti.
Non tutti noi siamo capaci di diventare scienziati, artisti, compositori ecc. anche in condizioni ideali di giustizia e di sviluppo umano. Ciò che può essere fatto è assicurare che le condizioni di vita consentano agli individui di raggiungere il loro potenziale, qualsiasi esso sia.

7. L'unico illimitato potenziale degli esseri umani è l'universo dello spirito creativo, della ricerca di conoscenza, delle domande e delle rivelazioni.
Dobbiamo comunque stare attenti a garantire che lo spirito creativo sia indirizzato su modalità che sostengono e/o migliorano la vita. In questa prospettiva anche la ricerca scientifica deve sottostare a questo principio.
La scienza non può reclamare una maggiore autonomia morale rispetto alle altre attività umane, essa deve sempre ritenersi responsabile nei confronti delle comunità politiche e in definitiva nei confronti della comunità mondiale, sul cui supporto è fondata.

Le istanze per uno sviluppo alternativo sono universali, sono le istanze dei poveri senza potere (disempowered). Ma la loro realizzazione dipende da una continua lotta nonviolenta, a livello locale e globale, contro gli attuali poteri costituiti del mondo.
Il carattere particolare dell'economia morale tende ad essere circoscritto a località specifiche. I principi di reciprocità e del valore d'uso che la guidano sono più evidenti nella loro applicazione a livello di comunità familiare (household) e di comunità locale. Quando sono allargati a popolazioni più vaste tendono ad indebolirsi e possono essere sopraffatti dalle attuali strutture di potere.
In un mondo che avrà presto dieci miliardi di persone delle quali forse solo un terzo ha un potere relativamente forte (è sufficientemente empowered), le lotte più importanti sono a livello delle comunità locali dove i diritti possono essere rivendicati non solo in quanto esseri umani, ma anche come cittadini di precise comunità politiche.
La lotta comune deve coinvolgere direttamente i poveri. Lavorare insieme ai poveri è perciò una precondizione per il successo di una lotta. Ma come tra gli altri aggregati della popolazione umana anche tra i poveri senza potere (disempowered) ci sono delle differenze. Non solo sono deprivati di potere in modo ineguale, ma differiscono anche in rapporto al genere, all'età, all'educazione, all'occupazione, alla religione, alla lingua, ed in una molteplicità di altri modi. Noi, che disponiamo di un potere relativamente forte, dobbiamo essere capaci di recepire queste differenze ed di comprendere questa molteplicità.
Uno sviluppo alternativo non potrà mai essere raggiunto in modo definitivo.
Le sue opportunità maturano nel rapporto dialettico con il mondo in cui viviamo e che, al momento, è organizzato in base a principi diversi.
La via per uno sviluppo alternativo può essere solo quella del dialogo.

Il rafforzamento del potere sociale (social empowerment) passa attraverso l'accesso delle comunità familiari (households) a certe basi strategiche del potere sociale. Ottenuto l'accesso alle basi del potere sociale, le comunità familiari hanno raggiunto una condizione necessaria per cominciare ad essere le produttrici della loro vita e della loro sussistenza in luogo di essere costrette a riprodurre le condizioni della loro povertà.
L'espressione "autoproduzione della vita e della sussistenza" suggerisce un ruolo molto differente da quello del lavoratore e del consumatore. La mia vita di lavoratore è governata da regole imposte da altri, la mia vita di consumatore è un piacere privato del tutto passivo. L'"autoproduzione della vita e della sussistenza" suggerisce invece un ruolo pro-attivo, nel quale si afferma il mio ruolo sociale ed affettivo, in cui sono in grado di esercitare scelte in rapporto agli scopi che voglio raggiungere.
La strada per il rafforzamento del potere politico (political empowerment) passa attraverso il rafforzamento del potere sociale.

Note
1. L'economia familiare è in declino in tute le società capitalistiche avanzate, dove la dimensione della famiglia sta drammaticamente riducendosi mentre la maggior parte dei suoi servizi che una volta erano assicurati dall'economia morale vengono esternalizzati diventando parte dell'economia di scambio del mercato. Inoltre in molte grandi città il numero di persone che vivono sole è aumentato significativamente negli ultimi decenni eppure nei paesi meno avanzati l'economia morale della famiglia funziona ancora e resta insostituibile.
2. Le famiglie dovrebbero essere considerate come microcomunità politiche in cui la distribuzione di diritti e doveri in materia di riproduzione sociale e crescita individuale sono spesso oggetto di contestazioni.