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17 maggio: giornata internazionale contro l'omofobia e la transfobia

Il 17 maggio, giornata internazionale contro l'omofobia e la transfobia, così come le altre giornate internazionali (diritti delle donne, diritti dei migranti) sono il richiamo continuo al nostro sistema sociale malato, fondato sulle disuguaglianze e sulla chiusura a difesa di se stesso.

Un sistema tale che necessariamente ha paura delle differenze, di fronte alle quali si chiude come in un fortino assediato... ma circondato non da nemici, semplicemente dai mostri delle nostre paure.

Un sistema al maschile, occidentale, eterosessuale e misogino.


L'idea stessa che la nostra identità possa essere messa in crisi dalla frequentazione di altre identità, testimonia la debolezza stessa della nostra identità.

Le nostre identità sono dinamiche, e crescono all'interno dei processi di conoscenza e consapevolezza, di frequentazione dell'alterità.

Il modello di famiglia che abbiamo costruito non è l'unico, è, appunto, solo “un modello”, che, sicuramente, può arricchirsi, se ne siamo capaci, dalla contiguità con altri modelli di famiglia, di relazioni di affetti.

Ci siamo costruiti un sistema di stereotipi, con categorie rigidi, immodificabili.

Chiusi nelle nostre paure abbiamo smarrito un concetto elementare: la persona. Di fronte a noi non riconosciamo “le persone”, che non hanno solo doveri, ma anche diritti, ma soltanto le “categorie” che essi rappresentano.

Se riconoscessimo nell'immigrato, nel transessuale, nell'omosessuale, nella lesbica una persona, necessariamente riconosceremo a loro i diritti... perché i diritti non appartengono a categorie, ma alle persone, e non proveremo disagio e rifiuto.

Vittorio Arrigoni, dinanzi alla violazione dei diritti dei palestinesi (non riconosciuti appunto come persone uguali agli israeliani), ci richiama ad “essere più umani”, a ritornare ad essere umani, a riconoscere nell'altro una persona.

E' questo lo sforzo che dobbiamo fare, il senso di una lotta di trasformazione.

La negazione dell'altra come persona, ridotta al rango di oggetto destinatario solo di “possesso”, porta al femminicidio e alla violenza diffusa.

Ma anche dinanzi ad una violenza efferata la nostra paura ci porta ad indignarci più per la “nazionalità” di chi ha compiuto quel gesto, che non per la disumana violenza che esso esprime.

Per essere soggetti di cambiamento dobbiamo andare a scalfire questo nostro chiuderci nella nostra fortezza, all'interno di mura che non ci proteggono da niente, ma che invece indeboliscono le nostre capacità di relazione e di crescita... perché la crescita avviene solo attraverso la relazione con le persone diverse da noi.