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Gianfraco Fini e la questione Iran (di Massimo Fini)

Davide Tondani ci ha fatto pervenire questo articolo, di Massimo Fini, pubblicato sul Gazzettino del 6 novembre 2005, inerente la questione iraniana

Capisco l'ansia di Gianfranco Fini di voler essere il "primo della classe" nelle proteste contro le dichiarazioni del presidente iraniano, gravi ed inaccettabili, ma non più gravi ed inaccettabili di quelle del presidente americano che non una , ma più volte, ha detto di voler cancellare dalle mappe del mondo gli "Stati canaglia" fra cui comprende l'Iran, e che in un paio di casi - Afghanistan e Iraq - non si è limitato ad affermare, ma ha reso concrete quelle minacce. Capisco quest'ansia, perché il presidente di An ha una lunghissima coda di paglia avendo militato per anni in un partito, l'Msi, che si richiamava al fascismo su cui pesa la vergogna, e la criminalità, di aver emanato leggi antisemite.
Ma Fini è un ministro degli Esteri e ha il dovere di far prevalere, sui suoi interessi personali, quelli nazionali. Un ministro degli Esteri, dunque, non può partecipare ad una manifestazione indetta da un giornale di parte contro uno Stato con cui intratteniamo relazioni diplomatiche; non ha la libertà di Giuliano Ferrara o di qualsiasi altro privato cittadino che voglia manifestare la propria solidarietà con lo Stato d'Israele. Questo per la forma. Per la sostanza il ministro degli Esteri non può non sapere (come lo sa il ministro della Difesa Antonio Martino che infatti è stato molto più cauto astenendosi da manifestazioni plateali) che, dopo Nassiriya, la sostanziale incolumità dei nostri soldati è stata garantita dai servizi segreti iraniani che, nella parte sciita del territorio iracheno, hanno un'influenza determinante.Né può ignorare che, con l'Iran , l'Italia intrattiene importanti scambi commerciali. Né può pensare di poter trattare l'Iran allo stesso modo dell'Iraq come vorrebbero americani ed israeliani.
L'Iran non è l'Iraq; è un grande e popoloso Paese di antichissima cultura (la Persia) e i suoi dirigenti non possono essere trattati da criminali. Perché non sono criminali. Eccessi verbali a parte, la Repubblica islamica d'Iran , nel suo quarto secolo di vita, non ha mai aggredito alcun Paese ma è stata al contrario aggredita (da Saddam Hussein cui gli occidentali, quando si profilava la vittoria iraniana, fornirono le famose armi chimiche).Saddam era un dittatore, l'Iran è una teocrazia che non è la democrazia di tipo occidentale ma non può essere nemmeno confusa col potere di uno solo. Ecco perché le dichiarazioni di ini, dopo l'incontro con Sharon («un Iran in possesso di un'arma nucleare sarebbe un grave pericolo non solo per Israele ma per tutta la comunità internazionale») sono irrealistiche e solo un favore reso alle leads americane. Innanzitutto l'Iran sta perseguendo un programma di nucleare ad usi civili e da tempo in trattative con Gran Bretagna, Germania e Francia per avere aiuti in questo senso, disposta in cambio, ad accettare ispezioni. Inoltre un Iran armato nuclearmente non sarebbe un pericolo per nessuno. Ho già scritto su questo, ma preferisco far svolgere il ragionamento all'insospettabile e autorevole commentatore americano William Pfaff che ne ha scritto sull'Herald Tribune il 13/8. Nessuna media potenza nucleare , dice in sostanza Pfaff, può osare di usare l'atomica perché ciò "avrebbe per l'aggressore risultati catastrofici". Inoltre, Pfaff fa notare che è stata proprio la politica aggressiva degli americani "a rendere le armi nucleari ancora più attraenti per i Paesi che non le hanno: sono una risorsa politica e un deterrente contro attacchi stranieri" (e infatti l'Iraq è stato attaccato, la Corea no). E un altro osservatore insospettabile, Sergio Romano, fa osservare come l'Iran sia "circondato da potenze che possono raggiungere il suo territorio con le loro armi nucleari: la Russia, l'India, il Pakistan, la Cina, Israele e, di là dalle frontiere irachene, gli Stati Uniti... perché dovrebbe sottostare al possibile ricatto di uno Stato nemico?". In realtà, dice un altro insospettabile studioso americano, John Mearsheimer, lo scopo della politica di non proliferazione non è affatto quello di prevenire possibili pericoli nucleari, "ma di prevenire tutto ciò che può limitare la libertà d'azione degli Stati Uniti nei loro rapporti con gli altri Paesi: perché uno Stato dotato di armi nucleari diventa inattaccabile".
MASSIMO FINI