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Afghanistan: che fare? alcune idee (Floriana Lipparini)

Tratto da "La nonviolenza è in cammino", n. 1351 del 8 luglio 2006

[Ringraziamo Floriana Lipparini (per contatti: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.) per questo intervento. Floriana Lipparini, giornalista (tra l'altro ha lavorato per il mensile "Guerre e Pace", che per qualche tempo ha anche diretto, occupandosi soprattutto della guerra nella ex Jugoslavia), impegnata nel movimento delle donne (Collettivo della Libreria Utopia, Donne per la pace, Genere e politica, Associazione Rosa Luxemburg), ha coordinato negli anni del conflitto jugoslavo il Laboratorio pacifista delle donne di Rijeka, un'esperienza di condivisione e relazione nel segno del femminile, del pacifismo, dell'interculturalità, dell'opposizione nonviolenta attiva alla guerra, da cui è lentamente nato un libro, Per altre vie. Donne fra guerre e nazionalismi, edito in Croazia da Shura publications, in edizione bilingue, italiana e croata]

Peacekeepers

Esangui abitatori del nulla
che non ridono
non piangono non gridano
sotto ogni cielo
su tutte le strade di polvere e di sangue
ogni respiro di vita trafiggono
al suono di quei passi le voci si spengono
le mani silenziose si aprono
ombre nude diventano
e di nuovo di nuovo si alzano
le canzoni le urla di nuovo di nuovo
risuonano nell'aria di neve di pioggia di vento
come frecce puntate al cuore s'involano
per un istante sopra le nubi nel sole s'indorano
e poi ricadono ricadono ricadono.


La continua polarizzazione su Lidia Menapace [il riferimento è alla vivace e fin aspra discussione svoltasi in alcune mailing list - ndr] rischia davvero di porre in secondo piano il cuore del problema. Eppure la stima e l'affetto per una persona di valore non dovrebbero indurre nè a inorridire se sbaglia nè a caricarla di aspettative troppo pesanti nè a concentrare su di lei tutte le speranze. E nemmeno dovrebbero impedire di dissentire radicalmente dalle sue scelte.
Non so se qualcuna o qualcuno ha realmente pensato che la sola presenza di Lidia in Parlamento potesse cambiare la politica estera dell'attuale governo, fatto sta che lei in occasione della manifestazione del 2 giugno a Roma secondo la percezione di alcune persone presenti avrebbe subito chiaramente tracciato una linea di separazione fra chi sta nel Palazzo e chi sta fuori, ossia i movimenti. Ad esempio su questo penserei giusto il contrario, penserei che l'unico modo per dare senso alla presenza nel Palazzo sia invece quello di rompere con le idee ricevute e tenere aperta una porta per vivificare l'aria stantia e autoreferenziale che si respira nelle stanze del potere con l'ossigeno dei pensieri di chi sta fuori.
Insomma, includere invece di escludere (parlo di contenuti politici, ovviamente, non di presenze fisiche).

Tornando però al cuore della questione, il rifinanziamento della guerra in Afghanistan (guerra, non missione: le parole sono importanti), la domanda che mi pongo sostanzialmente è questa: esisteva o esiste ancora una modalità utile a contrastare e impedire la sciagurata decisione di proseguirla? Possiamo attivare azioni urgenti che portino il segno della nonviolenza, del pacifismo, del femminile? L'assemblea in programma il 15 luglio dovrà parlare di questo, non delle eventuali delusioni personali. Quel che conta, insomma, è l'obiettivo autentico: impedire di continuare a opprimere e a uccidere, dietro il falso schermo delle missioni umanitarie.
Qui sta l'assurdo dei nostri tempi: all'orrore della guerra aggiungere l'ipocrisia, il ribaltamento della realtà. Teoricamente la guerra non viene accettata dagli statuti fondativi dell'Onu, che anzi la definiscono un flagello da cui salvare le future generazioni. Ecco perché viene chiamata in altro modo, e comunque non viene mai nominata. Diventa operazione di polizia internazionale, mantenimento o imposizione della pace (!), nuovo modello di difesa, embargo, o anche piani di aggiustamento strutturale, una forma di guerra economica non meno crudele, visto che mette in ginocchio i popoli di molti paesi. Il blocco militare, un atto di guerra proibito dal diritto internazionale, viene contrabbandato come embargo e unilateralmente imposto. Andare in paesi stranieri a rapinare manu militari mezzi e risorse viene definita operazione di peacekeeping, interposizione a scopo di pacificazione. Una "novità" ormai acquisita anche nelle regole militari italiane.
Allora il punto è far emergere la verità, porre il governo di fronte allo specchio di Alice. I coraggiosi parlamentari dissenzienti da soli non ce la possono fare. Cosa possiamo fare noi, oltre naturalmente alle manifestazioni, ai cortei e a sventolare le bandiere della pace, per quanto scolorite?
Ecco le "pazze" idee che mi attraversano la mente.
- Far giungere nelle aule del nostro Parlamento le voci delle cittadine e dei cittadini afgani con l'aiuto di Emergency, di foto e di video.
- Fotocopiare in molte copie e diffondere le numerose testimonianze sulla situazione nel Paese, già raccolte nelle interviste apparse su giornali e su bollettini telematici.
- Ottenere con urgenza che qualche canale televisivo ospiti un dibattito con rappresentanti della popolazione afgana, e in particolare dei gruppi di donne.
- Rapidamente organizzare manifestazioni telematiche insieme ai pacifisti di tutto il mondo (mail al governo e ai parlamentari eccetera).
- Proporre un sit-in alla sede del Parlamento europeo.
- Dare parola a Cindy Sheehan, in questi giorni in Italia.

Lo so che siamo in un momento di stasi, oltretutto d'estate, la gente è stanca, va in vacanza, vuole rilassarsi, mica pensare alla guerra.
Ma cosa possiamo fare, oltre a mettere al centro la cittadinanza, far parlare i civili, chi si occupa di diritti umani, i giornalisti indipendenti? Durante le guerre jugoslave questo non fu possibile, tutto passò sulla testa dei civili, che rimasero senza voce e senza diritti. Al posto loro parlarono i geostrateghi, gli alti comandi, i "gruppi di contatto". La Jugoslavia divenne una carta geografica su cui spostare bandierine, mentre sul terreno vero infuriava l'orrore della guerra fatta di corpi, di sangue, di stupri, di stragi. Perché la guerra è questo, in qualsiasi modo la si chiami.
Ancor oggi, quale strada abbiamo se non quella di smascherare le menzogne, far crescere il numero di persone contrarie alla guerra, far sentire con forza ai politici che l'opinione pubblica non è d'accordo con le loro scelte?