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I molti perché di un digiuno collettivo (Alessio Ciacci)


Se voi avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati dall’altro.

Don Lorenzo Milani in Lettera ai Cappellani Militari toscani, 1965


La nonviolenza non può non essere all’opposizione della società esistente che pratica
scopertamente la violenza oppure si basa sulla violenza (oppressione e sfruttamento)
cristallizzata nel tempo, e solo apparentemente estranea alla violenza

Aldo Capitini


Credete di vivere in un paese, in una città, pacifica e tranquilla? Pensate che le minacce al vostro benessere siano immigrazione e criminalità?
Imparate allora ad uscire dal guscio dell’ottusità e dell’egoismo per cercare di capire cosa vuol dire umanità!

Come si può parlare di pace e non impegnarsi per la giustizia, per la difesa dei diritti? Come si può amare la vita senza lottare quotidianamente contro ingiustizie e soprusi?
Come possiamo pensare di costruire un futuro senza l’impegno costante per la giustizia sociale, ambientale ed economica?
Non basta dire no alla guerra per costruire la pace, occorre mettersi in gioco, giorno dopo giorno, per costruire l’unico futuro possibile, per noi e per le future generazioni. RAGIONI E RIFLESSIONI SU UNA MOBILITAZIONE


Partire dalla nonviolenza per capire qual è, oggi, il nostro compito.


2 Ottobre 2006, Lucca
Inizia il digiuno collettivo, avviato da Salah e Mario a cui si sono aggiunti 15 concittadini lucchesi. Lo sciopero termina martedì 18 ottobre, alla sera, dopo aver appreso la notizia della sentenza del Tribunale dei Minori di Firenze che concede alla famiglia Chfouka tre anni di permesso di soggiorno, il tempo perché le figlie, benché entrambe maggiorenni entro poche settimane, possano terminare il ciclo di studi a cui sono iscritte.
Dopo sei giorni dal termine del digiuno collettivo mi impongo un’attenta riflessione sulle motivazioni ed i metodi di quell’azione nonviolenta, che ha portato ad una grande vittoria dei diritti contro una Questura che applica il sopruso contro un immigrato “scomodo” e la sua famiglia.

Scelgo, nel testo, l’utilizzo del termine "nonviolenza" e non la locuzione "non violenza", perché come ha insegnato Capitini c’è una bella differenza tra i due concetti.
"Non violenza" significa semplicemente non fare violenza.
"Nonviolenza" significa invece combattere contro la violenza, nel modo più limpido ed intransigente.
Peter Brock, nel libro "Ghandi e il pacifismo" sottolinea in maniera evidente come per Ghandi la nonviolenza non equivalga al non-intervento, perché non ha niente a che fare con la codardia e l’indecisione, bensì è la costante ricerca di un metodo alternativo per affermare relazioni di giustizia tra le classi sociali e le nazioni.

Nonviolenza è:

Rompere la complicità
: alla base della nonviolenza c’è la consapevolezza che il potere ingiusto che opprime si regge soprattutto sulla complicità delle vittime e degli indifferenti, la nonviolenza è in primo luogo un appello a rompere la complicità con l’ingiustizia, a togliere il consenso, ad uscire dalla passività, a prendersi la propria responsabilità, a lottare per la verità e la giustizia.

Lotta: è lotta contro la violenza, contro l’ingiustizia, contro il sopruso, contro la menzogna. E’ lotta perché ogni essere umano sia riconosciuto nella sua dignità; è lotta contro ogni forma di sopraffazione; è lotta di liberazione per l’uguaglianza di tutti nel rispetto e nel rispetto delle diversità di ognuno. E’ la forma di lotta più profonda quella che va più alla radice delle questioni che affronta. La violenza si ferma alle forme, la nonviolenza approfondisce i contenuti. E’ la lotta contro il potere violento, cui si oppone nel modo più completo, rifiutando la sua violenza e rifiutando di riprodurre violenza. Afferma la coerenza tra i mezzi ed i fini, tra i metodi e gli obiettivi.Chi lotta per l’uguaglianza deve usare metodi che tutti possano usare. E’ lotta per difendere e liberare, per salvare e per convincere, non per umiliare od annientare le persone. E’ il rifiuto di subire l’ingiustizia, è il rifiuto di ogni ingiustizia, sia quella contro di me che quella contro altri.La nonviolenza è lotta. E’ lotta per la verità, è lotta per la giustizia, è lotta di liberazione e di solidarietà, è lotta contro ogni oppressione.

I diritti umani presi sul serio: La nonviolenza è l’unica teoria-prassi dell’azione sociale e politica che si prefigge nel suo steso svolgersi il rispetto dei diritti umani di tutti, non solo di coloro che partecipano all’azione ma anche di chi la subisce. La nonviolenza è lotta intransigente per affermare la dignità umana di tutti e per affermarla subito. Essa è nei suoi metodi e nel suo svolgersi coerente con i suoi fini: poiché il fine è la dignità umana, la liberazione dall’oppressione.

La liberazione umana subito: la nonviolenza è l’unica teoria prassi dell’azione sociale e politica che realizza nel suo stesso farsi una forma di democrazia diretta, rapporti egualitari e non gerarchici, che prefigura già nella sua organizzazione relazioni umane e sociali liberate e liberati; perché consente la partecipazione di tutti ed abolisce i rapporti di dominio e di oppressione. Per questo non è solo un’occasione di lotta ma è anche un’occasione di rapporti umani solidali, per questo nella nonviolenza è richiesta una limpidezza dei comportamenti e una forte lealtà nei confronti di tutti, di scelta comune di metodi e strumenti.

La nonviolenza si oppone alla guerra e alla violenza e le smaschera. Scrive Havel nel 1978 "il rovesciamento di una politica astratta dell’avvenire a vantaggio dell’individuo concreto e della sua difesa attiva si accompagna in modo del tutto naturale ad una avversione verso ogni forma di violenza" in nome di un avvenire migliore""
Scrive poi Miller in "Il principio della nonviolenza" "E’ importante comprendere la violenza che nasce dalla rivolta degli oppressi quando vogliono liberarsi dal giogo che pesa su di loro. Se la nonviolenza condanna e combatte anzitutto la violenza dell’oppressione, essa obbliga ad una solidarietà attiva con quelli che sono le vittime. Ma liberare gli oppressi è anche permettere loro di liberarsi dalla loro violenza".

Questi giorni di mobilitazione nonviolenta ci hanno insegnato queste cose ma anche molto altro. La solidarietà, la determinazione, l’aiuto reciproco, l’intesa, la condivisione e ancora molto. Dobbiamo ringraziare Salah perché ci ha dato questa possibilità, l’occasione di una mobilitazione importante che ci ha fatto crescere. Ma soprattutto ha mostrato alla città l’esempio che occorre ribellarsi ai soprusi, che uniti si può vincere, che la costruzione di una migliore umanità passa anche dal nostro quotidiano.
Anche grazie a questi giorni abbiamo capito nuove cose. Nei vari movimenti pacifisti in cui molti di noi hanno partecipato, oggi ed in passato, si è forse mancato di approfondire cosa significa pacifismo e cosa significa nonviolenza.

Pacifismo, negli ultimi anni, è stato rifiuto della guerra, sensibilizzazione e mobilitazione di massa, nonviolenza è qualcosa di più, è mobilitazione radicale ed organizzata, è disobbedienza. Pacifismo rifiuta la guerra ma non ha alternative da proporre , il pacifismo rappresenta spesso un senso del tutto borghese del quieto vivere, lontano dall’accettazione del sacrificio della nonviolenza. "Da questo pacifismo acritico e conciliante la nonviolenza si stacca come concezione scomoda e provocatoria" scrive Vigilante in "Pensiero nonviolento".
"Nonviolenza è guardare oltre il punto di vista della civiltà del benessere: guardare dal punto di vista dell’escluso, del povero, del malato, dello sfruttato" scrive Pontata in "La personalità non violenta".
Di fronte a situazioni sociali, politiche, economiche disastrose dove ogni giorno il sopruso vince sul diritto, l’esclusione sulla dignità, Danilo Dolci sostiene che occorre farsi "obiettori di coscienza" Perché la condanna della guerra rischia di trasformarsi in rifiuto morale che rischia di non andare ad incidere sulla storia. Ghandi afferma "La disobbedienza civile è un diritto imprescindibile di ogni cittadino. Far cessare la disobbedienza civile sarebbe voler imprigionare la coscienza" Occorre, secondo Dolci, "opporsi non solo alla guerra ma a quelli che sono mostri economici, politici, giuridici, morali".
La nonviolenza permette ed alimenta una coscienza aperta, un’opposizione creativa che vince se crea consenso, amplia la partecipazione e alimenta la speranza per la costruzione, vera, di un mondo migliore.

Ma il limite più grande dei movimenti in questi anni è stata forse la mancanza di una visione allargata e strategica della pace e della nonviolenza, di cosa è pace e di quali sono le vere e reali minacce alla pace.
In questi giorni di mobilitazione abbiamo compreso quanto importante sia stata la nostra lotta per alimentare, con un nostro mattone, la costruzione di una vera pace nella nostra città. Il sopruso è violenza e minaccia alla pace, arroganza e non rispetto dei diritti da parte del potere è violazione della dignità. Ci siamo dunque uniti allo sciopero di Mario e Salah anche per costruire un nostro futuro migliore. Un futuro che non sia più fatto di espulsioni, di commercio di permessi di soggiorno, di mafia e di affari sporchi sulle spalle dei diritti.

Da questa mobilitazione abbiamo anche imparato l’entusiasmo della vittoria, ma subito (ancor prima di iniziare), ci siamo interrogati su come rendere questa vittoria una vittoria per tutti gli immigrati, per la costruzione di spazi di denuncia, di ascolto, di vera condivisione e comune impegno per il rispetto dei diritti. Abbiamo anche capito quanto questa mobilitazione sia soltanto un piccolo tassello nella fondamentale importanza dell’impegno di tutti noi in tanto altri ambiti del nostro vivere.

Scrive Danilo Dolci in "Cos’è Pace" "Non e' vero che tutti vogliamo la pace. Bisogna avere il chiaro coraggio di individuare chi organizza e chi alimenta la preparazione delle guerre per sopraffare coloro che vuole sfruttare; di scoprire dove passa il fronte fra il parassitismo di ogni genere e chi e' impedito nel suo sviluppo da emorragie di ogni genere, tra la violenza di chi difende il proprio parassitismo e la coraggiosa energia di chi difende la vita; veder chiaro quando e dove questo fronte passa attraverso noi stessi".

E’ dunque fondamentale, nel nostro vivere quotidiano, riconoscere, cercare, scovare, rifiutare, disobbedire a ingiustizie, soprusi, vicini a noi o legati ai nostri comportamenti.

E’ importante, fondamentale, capire l’inutilità o la scarsa efficacia di andare anche fino a Roma per manifestare contro la guerra quando poi nel carrello della nostra spesa o nel nostro piatto finiscono gli spaghetti Barilla (l’azienda è per metà proprietà di un’azienda di armamenti) o la CocaCola (l’azienda è sotto una pressione di boicottaggio internazionale per innumerevoli crimini in campo antisindacale, ambientale, sociale…). Perché altrimenti potremmo anche risparmiarci di viaggiare fino a Roma perché avremo alimentato la guerra in forme diverse ma più necessarie al sistema.
Marcos, in un saggio del 1997, parla della Quarta Guerra mondiale definendo l'attuale processo di globalizzazione una guerra che uccide, crea concentrazione della ricchezza e distribuzione della povertà, diffusione dello sfruttamento e dell’oppressione.
Se, invece di parlare di pace, vogliamo costruire pace attraverso la nonviolenza dobbiamo sforzarci di creare ed alimentare comportamenti virtuosi, responsabili verso la società e l’ambiente in cui viviamo. Se non lo faremo milioni di persone entreranno sempre più nelle fasce povere della popolazione, già oggi milioni di persone scompaiono per mancanza di cibo e di acqua potabile. Le ondate migratorie in richiesta di diritti assaliranno sempre più i centri del potere economico e dello sfruttamento, circoli insostenibili negli aspetti sociali ed ambientali si alimenteranno a vicenda.
Non ci resta che responsabilizzare la nostra azione quotidiana, sociale e politica, associativa e cittadina. Da quando andiamo a fare la spesa, evitando i supermercati bensì privilegiando i gruppi di acquisto solidali (presenti in quasi tutte le provinciale e le città, ben 4-5 in provincia di Lucca). A quando scegliamo un vestito. Fino alla necessità di organizzarci con altri per la difesa dell’istruzione, della sanità, dell’ambiente. I nostri territori, le risorse della natura in cui viviamo sono quotidianamente attraversati e dominati da logiche mercificatici e insostenibili. Occorre difende, ad esempio, l’acqua sia da chi vorrebbe estrarla gratuitamente in logiche produttive insostenibili (pena il ritrovarci senz’acqua), sia da chi vorrebbe privatizzarne i servizi idrici per prelevare profitti anche dalla distribuzione del bene comune acqua nelle nostre case. Per di più in molte città toscane l’azienda pubblico-privata che ha privatizzato i servizi idrici lo ha fatto anche in Honduras privando molti contadini del diritto all’acqua perché le bollette, aumentate del 200-300 % non erano più sostenibili per chi guadagna 1-2 dollari al giorno.

Cosa c’entra l’acqua bene comune, con i diritti dei migranti, i gruppi d’acquisto solidali e la lotta contro la mafia?
C’entra perché è solo dalla difesa dei diritti fondamentali degli esseri umani, dalla ricerca di una sostenibilità ambientale, sociale ed economica delle nostre società possiamo pensare di poter avere un futuro possibile.

Occorre destinare uno spazio importante, maggiore, per nostre prossime azioni nonviolente, alla progettazione, alla condivisione di obiettivi e strategie ma anche di contenuti e strumenti comuni ed individuali per l’azione collettiva. Solo attraverso una piena coscienza del problema e della nostra strategia riusciremo a partecipare a pieno e a coinvolgere, ad avvicinare e sensibilizzare. Occorre, ritengo, costruire con maggiore gradualità la scala delle azioni intraprese, da quelle più semplici (che possono avvicinare un numero più ampio di perone) a quelle più radicali come il digiuno.

Occorrerà, come già abbiamo ipotizzato ed iniziato a progettare, continuare il nostro impegno comune di cittadini ed associazioni affinché verità e giustizia tornino anche nella nostra città e soprusi, violenze e illegalità lascino il posto a trasparenza, chiarezza e dignità

Da questi giorni così come dalle precedenti mobilitazioni nella lotta per il bene comune acqua mi accorgo sempre più dell’importanza di lavorare nella forma che Danilo Dolci definiva “maieutica”, valorizzando il contributo di ognuno, socializzando conoscenze, favorendo l’autoanalisi popolare, progettando dal basso nuove iniziative di liberazione, di partecipazione, di lotta.

E’ a partire dalla resistenza ad un modello unico che guarda alla crescita dei consumi, alla privatizzazione dei servizi, alla conversione neoliberista di ogni economia, che possiamo pensare di costruire alternative che valorizzino le culture locali, le tradizioni, la genuinità, la convivialità.

Occorre il coraggio dell’essere uomini e donne, di una umanità vera che non accetta la passività di fronte al sopruso e alla violenza ma si organizza per una nonviolenza attiva, determinata, frutto dell’impegno di tutti noi. Qui risiede la nostra speranza. In questa creativa resistenza che è vita. Le nostre risorse sono illimitate, solo il nostro freno e il nostro egoismo ne ostacolano la piena espressione. Insieme si cresce. Liberarci è liberarsi.

Alessio Ciacci - Scioperante per dodici giorni