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Con Danilo Dolci nel mondo dei vinti

Vorrei che queste pagine fossero lette da tutti coloro che, in Italia, hanno una cattedra o un pulpito, e se ne servono per esaltare glorie nazionali magari remote o per flagellare terribilmente i vizi dei cattivi cristiani.
Sono pagine che scuotono sia la pigra sicurezza dei ripetitori compiaciuti di formule patriottiche sia il sussiego moralistico degli accusatori secondo le leggi stabilite. Sarebbe pure da augurarsi che le leggessero gli ideologi che pretendono di conoscere, essi soli, i segreti dell' ottima repubblica.
Sono pagine che costringono a rivedere i princìpi troppo alti, le sintesi troppo ambiziose, le dichiarazioni troppo solerti. (...) La via presa da Danilo Dolci è stata la via del non accettar la distinzione tra il predicare e l' agire, ma del far risaltare la buona predica dalla buona azione, e del non lasciare ad altri la cura di provvedere, ma di cominciarea pagar di persona. Chi lavora a fare programmi ha o crede di poter avere molto tempo dinnanzi a sé: fa una politica, come si dice, a lunga scadenza. Se poi i politici non l' ascoltano peggio per loro: egli ha fatto il suo dovere. A Danilo non sembrò vi fosse tempo da perdere: la situazione ch' egli scopriva e riviveva era grave. Egli volle soffrirla immediatamente in tutta la sua gravità e una volta immerso in essa non poteva più staccarsene( ...). Il modo che Danilo ha scelto per intervenireè stato quello della partecipazione diretta, della presenza attiva, il modo meno libresco che si potesse immaginare; edè stato appunto tra noi, che di quelle stesse cose discutevamo leggendo giornali, inchieste e interviste, un esempio come dicevo singolarissimo, tale da meritare da parte di tutti - senza distinzione di partiti o di ideologia - il più devoto rispetto. Quando parlo di partecipazione diretta,e si capisce ne parlo in contrapposto alla comprensione distaccata dello studioso, intendo un atteggiamento ben definito che richiede qualche commento. Per Danilo partecipare alla vita sociale di questi paesi, ignoti o conosciuti soltanto come luoghi di riprovazione o di dannazione, volle dire dividere dolori e speranze della gente più povera, dei disperati, dei messi al bando, e la loro invincibile miseria, e dividerla non già per una voluttà di macerazione o di mortificazione, ma per giungere a comprenderla meglio, poterne parlare con quella serietà con cui si parla di cose non solo apprese ma sofferte e per avere la forza di eliminarla. Volle essere, nel senso più preciso della parola, un «vivere insieme» (...). In questo modo si teneva lontano da due atteggiamenti che mi paiono meno schietti o, in quelle condizioni e tra quella gente, meno meritori o più sterili, tanto dall' atteggiamento del sociologo quanto da quello del missionario. Se un modello affiora nelle sue pagineè piuttosto quello del medico che non del missionario. La figura del medico si addice meglio a chi non eseguisce una missione dall' alto, ma un dovere assai concreto, modesto, che non vuole apparir troppo, dal basso. Ma anche questa non sarebbe un' interpretazione corretta. Nulla è più lontano dall' animo di Danilo che la vocazione del moralista: non è lì per condannare o assolvere, ma per capiree soccorrere. Ha il senso della complessità delle cose umane, e l' indignazione e la deprecazione degli errori e del male non generano mai la presunzione del giudice che si pone al di sopra a separare i buoni e i cattivi. Egli si è messo dichiaratamente dalla parte dei perseguitati contro i potenti. Ma non per questo i potenti sono assolutamente malvagi e incorreggibili demoni. Forse i perseguitati sono assolutamente buoni, modelli di virtù da additare? Lontano da ogni forma di risentimento contro i potenti, è altrettanto lontano dall'idoleggiamento romantico del primitivo, del barbarico, del mondo oscuro dei miti ancestrali. La difesa di coloro che la società, una certa società, ha dichiarato fuori legge non è fatta in nome di un maggior vigore o moralità ch' essi incarnino, ma dell' iniquità di leggi e rapporti umani che tutti inquinae corrompe, i potenti e i sottomessi, i giudici e i giudicati, del male che provoca male, del male dal basso come severa e necessaria risposta al male dall' alto.
NORBERTO BOBBIO

Fonte: La Repubblice del 13 novembre 2009 - pagine della cultura