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Danilo Dolci: memoria e utopia

I contrasti mi hanno sempre affascinato, come uomo ma anche come artista: nei cromatismi, nella luce, nelle idee e nelle scelte di vita. La vicenda di un settentrionale, un triestino, che nei primi anni '50 scelse di andare in Sicilia, una terra allora devastata da miseria, fame e feroce banditismo, per sperimentare attraverso la pratica quotidiana metodologie nonviolente, non poteva non catturare la mia attenzione. Non ho conosciuto, pur essendo cresciuto a Palermo, Danilo Dolci in vita, e avendo deciso di realizzare un documentario biografico su questa straordinaria esperienza umana, ho cercato i fili attraverso cui tessere la trama del mio racconto. Il Danilo Dolci che ho cercato di raccontare è quello che riaffiora nella memoria comune di tutti coloro che lo hanno conosciuto e che non sempre, non necessariamente, ne hanno condiviso le scelte e i metodi: attraverso quei volti ho cercato di capirne l'utopia, il desiderio divenuto presto progetto, programma, fatto concreto.
Ho cercato Danilo Dolci nei volti stanchi ma fieri dei contadini che marciarono a migliaia per le strade della Sicilia occidentale nel 1967 e che un vecchio filmato amatoriale (scovato tra i materiali di un casolare) ha restituito, e donato, per sempre alla storia. Attraverso quei volti ho visto delinearsi, pian piano, i tratti di un personaggio pudico e forte, semplice eppure così austero nella sua testardaggine, congeniale in tal senso ad "una terra ed ai suoi mille volti ancora, perennemente, tutti da cercare...", come scriveva Gesualdo Bufalino. Sono questi i volti che raccontano, come in un gioco di specchi, il grande ed eterogeneo impegno di Danilo Dolci: poeta, educatore, sociologo, apostolo della nonviolenza, e quant'altro Dolci ha saputo esprimere senza mai perdere di vista il "senso della direzione", come lui stesso amava ricordare in un'intervista che chiude il mio documentario.
Dopo le immagini una sensazione chiara, nitida ma amara: la constatazione dell'assenza. Penso che tenere viva la memoria di ciò che Danilo Dolci ha fatto ed è stato, tenerla al riparo da strumentalizzazioni e dalla retorica dei politicanti di turno, tenerla viva, fertile, sia opera necessaria e quantomai indispensabile, non per il significato "museale" del ricordo ma per i segni concreti di rinascita che l'esperienza di Danilo Dolci porta in sè: lui è come pochi altri proiettato nel futuro, lo era già in vita, spetta a noi, adesso, riuscirne a tenere il passo.

Fonte: Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo