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Gandhi, o della Politica (Corradino Secondino Scalcagnati)

La proposta gandhiana della nonviolenza di tipo satyagraha costituisce una rottura, una novità storica e culturale, perché è una proposta politica.
Nel corso della storia dell'umanità molte altre e molti altri avevano proposto con maggior o minore chiarezza la nonviolenza come scelta esistenziale, morale, sociale, giuridica: Gandhi ne ha fatto un progetto politico rivoluzionario adeguato alle condizioni del mondo contemporaneo. Solo a restare alle più note tradizioni occidentali, la nonviolenza come scelta morale ed esistenziale è l'idea guida di due figure fondative della cultura occidentale: quella di Socrate ateniese, e quella di Gesù di Nazareth (di cui qui parliamo in chiave solo storica, prescindendo da ciò che rappresenta - detto diversamente: da chi sia - per chi aderisce alla fede appunto cristiana); figure portatrici di un insegnamento orale ad un tempo profondamente radicato nella cultura di appartenenza e profondamente innovatore; figure che hanno testimoniato con la vita e con la morte la verità morale - esistenziale, filosofica, religiosa - di cui erano assertrici: al cui cuore è la scelta di preferir subire il male anziché compierlo; la forma più nitida ed intransigente di opposizione al male e di difesa della dignità umana propria e di tutti.
E sempre restando nell'ambito occidentale non vi è dubbio che ad esempio non solo gran parte dello stoicismo antico ma anche altre filosofie della grecità e dell'ellenismo tematizzarono fin sistematicamente acutissime idee morali che noi definiremmo nonviolente, con una capacità di articolazione ed una sottigliezza restate, ci sembra, insuperate.
E insuperata ci pare resti la teoria e la pratica della nonviolenza come proposta comunitaria e finanche macropolitica di una figura come quella di Francesco d'Assisi nella società e nel tempo che furono suoi.
E non abbiamo fatto cenno ai profili di nonviolenza in grandi tradizioni culturali cosiddette "orientali", ad alcune delle quali peraltro più volte lo stesso Gandhi si è riferito.

La novità di Gandhi, ci sembra, è il progressivo disvelarglisi, nel corso dei suoi "esperimenti con la verità" (dalle iniziali azioni difensive di diritti particolari volta a volta conculcati a quelle riformistiche per il riconoscimento e l'estensione di diritti generali nel quadro istituzionale dato, a quelle rivoluzionarie per la trasformazione delle stesse strutture politiche, giuridiche, economiche e sociali), che la nonviolenza, così come la veniva elaborando nel vivo delle lotte che conduceva, è una proposta politica e giuriscostituente di trasformazione sociale ed istituzionale adeguata al contesto della società mondiale contemporanea.
E che tale trasformazione per darsi doveva essere complessa ed olistica, ovvero coinvolgere tutte le dimensioni dell'esistere, del riflettere e dell'agire umano. Complessa ed olistica, non totalitaria: ovvero che individua l'interconnessione ed esige la coerenza, ma non applica quella reductio ad unum che porta allo stato etico e/o al nichilismo, e quindi ai gulag e ai lager. La nonviolenza gandhiana si fonda sulla relazione e la responsabilità, adotta un'etica della cura e del limite, fa propria un'epistemologia fallibilista e una metodologia sperimentale, si pone come relativa, situata, contestuale, dialettica ed aperta alla pluralità e al novum...
La peculiarità della nonviolenza gandhiana è che essa è una politica: lotta politica e proposta politica.

Gandhi è certo anche un saggio, un uomo di spiritualità, e molte altre cose: ma è innanzitutto un drigente politico di grandi lotte politiche. Per questo la nonviolenza di tipo satyagraha non può essere confusa con le tante esperienze che talora del suo lessico abusivamente si appropriano per veicolare pratiche e contenuti riferiti ad altri ambti (la psicoterapia, la mistica, persino il management); la nonviolenza gandhiana è peculiarmente un progetto politico di trasformazione, e si attua in forma di conflitto politico, di movimento sociale, di proposta giuriscostituente.
Una proposta politica rivoluzionaria molto affine per decisivi aspetti anche ad elementi centrali delle due grandi tradizioni del pensiero politico rivoluzionario europeo ottocentesco: la tradizione liberale e quella socialista. Ed è interessante notare che in Italia il più acuto e tenace propugnatore della nonviolenza gandhiana sia stato Aldo Capitini, che nell'ambito della riflessione politica alla confluenza di quelle due tradizioni di pensiero si colloca.
Ne consegue che la nonviolenza gandhiana, lungi dall'essere "antipolitica" e meramente testimoniale come pretendono taluni che o non la conoscono o volutamente la sfigurano, è invece eminentemente politica, e quindi concretamente operativa non solo nell'ambito del conflitto sociale, ma dello stesso processo istituzionale e giuridico.

In guisa di postilla: questo spiega anche perché alla nonviolenza di tipo satyagraha si siano persuasamente accostate anche persone la cui visione del mondo è su punti non irrilevanti finanche assai diversa da quella di Gandhi, o di Capitini, o di altre figure ritenute rappresentative di questo orientamento, ma che con Gandhi e Capitini condividono l'urgenza dell'azione politica contro la violenza, la consapevolezza della necessità della coerenza tra mezzi e fini, la scelta di un impegno critico e concreto, il criterio del riconoscimento e dell'inveramento dei diritti e della dignità degli esseri umani.