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Il papa e la terza guerra mondiale

C’è stato un momento di commozione quando nel volo verso la Corea il papa ha saputo che l’aereo stava per sorvolare la Cina. Lo ha raccontato ai giornalisti durante il viaggio di ritorno. Ha spiegato che si trovava, in visita, nella cabina dei piloti, quando gli hanno detto che stava arrivando la Cina. C’era il permesso di sorvolo; ma è prassi che quando si sta per entrare nello spazio aereo di un Paese, si chieda formalmente via radio l’autorizzazione all’ingresso; e questa poi subito arriva per la stessa via.

L’emozione è stata quando il papa ha sentito i cinesi che gli permettevano di passare sulle loro teste. Francesco non ha detto poi che cosa ha pensato in quel momento, se a Matteo Ricci o alle Chiesa che in Cina vive sotto lo stretto condizionamento del governo, o alle immense popolazioni dell’Asia a cui lui vorrebbe far gustare “la gioia del Vangelo”; in ogni caso era la prima volta che la Cina prendeva tutto lo spazio del cuore di un papa, mentre il papa dallo spazio del cielo sopra la Cina sognava di poterci andare “già domani”, come ha detto.

Così in questo Ferragosto passato in Corea invece che nella villa di Castelgandolfo, il papa ha parlato agli uomini dei confini: basta guardarli dal cielo, e quelli non ci sono più; lo spazio di Dio è il mondo, e questo è ora lo spazio dell’uomo, ed è anche lo spazio della Chiesa, ormai fuori dei limiti della cristianità.

Ma per attraversarli davvero il tempo si è fatto breve. È stato questo l’altro significato del viaggio d’agosto: c’è un’urgenza, non c’è tempo da perdere.

Questo vale per il papa, che parlando di sé ha detto di non pensare di poter fare chissà che cosa, perché “due o tre anni e poi…. alla casa del Padre!”; ma vale per il mondo stesso, perché oggi è un mondo a rischio. Esso è entrato infatti in una zona d’incubo, in cui succedono le cose più atroci, che fanno dire al papa che “siamo entrati nella terza guerra mondiale”, che non sembra tale perché “si combatte a pezzetti”, per singoli capitoli, non c’è un solo, unico incendio; ma in ciascuno di questi capitoli è stato raggiunto “un livello di crudeltà spaventosa”, popolazioni intere sono devastate e anche “la tortura è diventata un mezzo quasi ordinario”, ha detto il papa sempre nel volo di ritorno dalla Corea. Ed è proprio così: il mondo è entrato in una situazione di massima ingiustizia, e perciò di massimo pericolo; ed è solo per la futilità che si è impadronita del potere in Italia che qui si parla d’altro e facciamo finta di niente, e magari il massimo problema mondiale diventa il malore del maró detenuto in India e si prende l’aereo di Stato per andare a trovarlo.

Analisi veritiere sullo stato del mondo

Per fortuna, da quando a Roma c’è Papa Francesco, abbiamo ricominciato a sentire analisi veritiere sullo stato del mondo. Tutto dipende dal fatto che a governare è il denaro, che il sistema economico produce esclusione e una “povertà abietta”, ma nessuno lo mette in discussione perché vige “la globalizzazione dell’indifferenza”, e la guerra è tornata ad essere l’ultima parola (e anche la prima).

È in questo quadro che si muove la diplomazia pontificia, se di diplomazia si può parlare, quando invece la Chiesa di Francesco funziona come “un ospedale da campo”, che si mette in missione per tamponare le ferite più cruente.

La prima, curata da Papa Francesco, fu quella dei profughi a cui egli andò ad aprire le braccia a Lampedusa, e ora almeno vengono salvati per mare. Poi spiegò agli ambasciatori che al governo del denaro occorre sostituire il governo degli uomini; poi sventò la guerra alla Siria, che se si fosse fatta avrebbe oggi lasciato senza freni il califfato di Mosul; poi è andato a sostare al muro del pianto dei palestinesi a Betlemme e al mausoleo della Shoà a Gerusalemme, e ha portato israeliani e palestinesi a pregare insieme per la pace a Roma, dicendo loro che per fare la pace bastava che si convertissero non a un altro Dio, ma al loro Dio; poi ha mandato un cardinale a soccorrere le minoranze non solo cristiane perseguitate, tormentate e scacciate dai nuovi estremisti islamici che a partire dall’Iraq e dal Levante vogliono rifare quello che fu il grande califfato ottomano; e mentre ha cercato di scongiurare il conflitto in Ucraina, evitando di drammatizzarlo in funzione antirussa, si è detto pronto ad andare anche nel Kurdistan iracheno “per pregare e alleviare le sofferenze delle popolazioni colpite dalla guerra”; e per l’anno prossimo ha in programma un viaggio nel cuore del’Impero, a Philadelphia, Washington e New York.

Compito dell’ONU fermare l’aggressore

Naturalmente il papa non ha ricette sue per risolvere o sventare i conflitti; è ben consapevole che i cristiani, e gli uomini tutti, vivono in regime d’incarnazione e perciò le ricette, per uscire dai mali del mondo, le devono trovare loro, con l’aiuto di Dio. Perciò per fronteggiare la terza guerra mondiale che si svolge a pezzetti, ha fatto appello, come già aveva fatto Giovanni XXIII con la “Pacem in terris”, alle risorse degli uomini e a quella straordinaria istituzione che essi hanno messo in campo e che è l’organizzazione delle Nazioni Unite. “Dove c’è un’aggressione ingiusta – ha detto Papa Francesco ai giornalisti il 18 agosto nel viaggio di ritorno dalla Corea del Sud – solo posso dire che è lecito fermare l’aggressore ingiusto. Ma solo l’ONU può decidere come fermare un aggressore”. Ed ha aggiunto: “sottolineo il verbo: fermare, non dico bombardare, fare la guerra. Fermarlo. I mezzi con cui potranno essere fermati dovranno essere valutati. Dopo la seconda guerra mondiale questo compito è delle Nazioni Unite. Dobbiamo avere memoria di quante volte con questa scusa di fermare l’aggressore ingiusto le Potenze si sono impadronite dei popoli e hanno fatto vere guerre di conquista. Una sola nazione non può giudicare come si ferma un aggressore ingiusto”. E qui Francesco ha detto una cosa singolare: “Fermare l’aggressore ingiusto è un diritto che ha l’umanità, e quello di essere fermato è un diritto che ha l’aggressore: di essere fermato perché non faccia del male”.

Dunque c’è un compito di fermare l’aggressore e di contrastare le minacce alla pace e le violazioni della pace che è proprio delle Nazioni Unite; secondo lo Statuto dell’ONU – però mai veramente attuato – esso dovrebbe essere assolto dal Consiglio di Sicurezza mediante l’uso di forze armate messe a disposizione dell’ONU dai membri delle Nazioni Unite; ma queste dovrebbero essere messe non sotto il comando dei generali dei singoli Paesi ma del Comitato di Stato maggiore composto dai capi di Stato Maggiore dei cinque membri permanenti del Consiglio. Dunque dovrebbero operare americani, inglesi, francesi, russi e cinesi insieme, e mai nelle forme devastanti della guerra.

Ma c’è un compito proprio del papa, delle Chiese e dei cristiani, di dire che “le guerre non si fanno in nome di Dio”, ed è proprio quello che papa Francesco ha proclamato da piazza San Pietro di fronte alle guerre che si andavano cumulando in Iraq, a Gaza, in Ucraina.

Non in nome di Dio

E questa è la cosa decisiva, perché è proprio in nome di Dio che si fanno le guerre, e tutte le guerre, da quando il diritto laico ha messo fuori legge le guerre di aggressione e di conquista, sono in qualche modo guerre sante. Ne è apparso l’emblema più raccapricciante nella figura del boia che in paramenti neri taglia la testa dei giornalisti americani a loro volta vestiti della tunica arancione delle vittime. Non si tratta di uccisioni qualsiasi, sono uccisioni rituali, sono sacrifici umani. La guerra comporta che si immolino olocausti, spesso senza alcuna ragione militare, vittime senza causa e senza ragione, per la sola esigenza che si portino a compimento i sacrifici. Dunque sono all’interno di un’azione sacra. I laici non lo dicono, o non lo sanno. I religiosi fanatici lo sanno e lo proclamano. Ma da tutti le guerre sono combattute come se fossero delle necessità supreme, ineluttabili, come se fossero guerre volute da Dio. Tutti ricordano l’enfasi missionaria con cui l’Occidente ha esaltato le guerre cosiddette umanitarie con cui ha devastato il Medio Oriente e la Jugoslavia dopo la caduta del muro di Berlino, e ancora paghiamo il prezzo del valore salvifico attribuito alla guerra perpetua di Bush; da sessantacinque anni dura la guerra di Israele per il possesso esclusivo dell’intera terra di Palestina come terra data da Dio; e si potrebbe fare il conto di quante vite umane è costato ogni pezzo di terra, ogni casa, ogni olivo che sono passati di mano; l’ultima inquietante contabilità è stato Israele stesso a farla, decidendo l’esproprio di quattromila ettari di terre palestinesi tra Betlemme ed Hebron in cambio dei tre giovani ebrei sequestrati e uccisi all’inizio dell’ultima guerra per Gaza. E infine abbiamo addirittura la messa in scena dei sacrifici da parte dei musulmani jiadhisti, e la nascita di nuovi califfati, a Mosul, a Bengasi, in Nigeria, per sempre nuove guerre di Dio.

Per questo assume tutta la sua importanza, per spegnere la terza guerra mondiale, il definitivo congedo della Chiesa cattolica dal Dio violento, pronunciato da Papa Francesco e consacrato in uno straordinario documento della Commissione teologica internazionale che ha ripercorso i “fraintendimenti” di Dio che nella teologia e nella stessa Scrittura hanno portato alle giustificazioni religiose della violenza; e assume tutta la sua forza profetica la denuncia che Papa Francesco ha fatto commemorando gli ebrei sacrificati dai nazisti nel mausoleo della memoria di Yad Vashem: poiché Dio non gradisce e non vuole i sacrifici, chi immola le vittime le sacrifica a se stesso, ponendosi al posto di Dio, e di un Dio deturpato e frainteso. Perciò non c’è un’uccisione che sia un sacrificio, non c’è guerra che sia santa, non c’è violenza, conquista, punizione collettiva o vendetta che possa farsi “in nome di Dio”.

È questo che sta dicendo il papa, e su questo gioca la riforma della Chiesa e il rinnovamento del suo messaggio.


fonte: http://ranierolavalle.blogspot.it/2014/09/il-papa-e-la-terza-guerra-mondiale.html

Fonte: Centro Studi Sereno Regis