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Verso la marcia della pace Perugia-Assisi "per la pace e la fratellanza dei popoli". Contributi di Silvia Berruto, Pasquale Pugliese

In vista del cinquantesimo della marcia della pace Perugia - Assisi, che si terrà il prossimo 25 settembre, condividiamo alcune delle interviste che il Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo ha pubblicato sui notiziari quotidiani.

La nonviolenza è in cammino - Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo: Quale è stato il significato della marcia Perugia-Assisi in questi cinquanta anni?

  • Silvia Berruto: La prima Marcia Perugia-Assisi, per la pace e la fratellanza dei popoli, del 24 settembre 1961, è stata un unicum. Fatto irripetibile per il portato, di rottura, culturale, sociale e politico e per il contesto storico, la marcia ha rappresentato un modello, poi variamente interpretato, e un punto di riferimento per molte e per molti, non solo e non necessariamente attivisti o studiosi. 30.000 persone marciarono con le associazioni democratiche, con i sindacati, con donne e uomini di cultura, che dal basso parteciparono ad una manifestazione della quale Aldo Capitini ebbe a dire: "Questa marcia era necessaria ed altre marce saranno necessarie nel nostro e negli altri paesi, per porre fine ai pericoli della guerra, liberare i popoli dai mali dell'imperialismo, del colonialismo, del razzismo e dello sfruttamento economico". La mozione conclusiva riassunse con chiarezza gli obiettivi della marcia: cessazione degli esperimenti nucleari di ogni genere, disarmo universale, aiuto reciproco tra i popoli, alleanza di tutti gli uomini che volevano la pace. Per dire no alla guerra "senza se e senza ma", come si direbbe oggi, per dire "No alla morte" come affermò allora Guido Piovene. Ragione e occasione per la base per riflettere su contenuti, modi, tempi e stili per un attivismo allargato e consapevole delle proprie capacità di autodeterminazione: allora come ora. Ora, come allora per coscientizzare, come disse allora Renato Guttuso: "Noi oggi siamo in grado di decidere del nostro destino".

  • Pasquale Pugliese: La "Marcia della pace per la riconciliazione dei popoli" voluta da Aldo Capitini nel 1961 ha rappresentato, per il nostro Paese, l'ingresso sulla scena politica e culturale di un nuovo "soggetto della storia" (convocato da "un nucleo indipendente e pacifista integrale"), ossia di quel "popolo della pace" a nome del quale Capitini lesse, dalla Rocca di Assisi, la "mozione del popolo della pace". È merito del Movimento Nonviolento - anch'esso voluto da Capitini come esisto politico della Marcia - aver proposto di marciare ancora, nel 1978 decennale della morte del fondatore, da Perugia ad Assisi. E cosi', grazie a quella "seconda", dare l'avvio al ciclo delle Marce come appuntamento centrale e periodico del "popolo della pace". La capacità di attrazione politica e simbolica di questa azione corale, che si collega alla grandi marce nonviolente della storia a cominciare dalla gandhiana "Marcia del sale", è man mano cresciuta nell'allargamento della partecipazione e nella costruzione della soggettività autonoma dai partiti del "popolo della pace" ma, a mio parere, ha progressivamente perso in nitidezza nell'indicarne gli obiettivi politici. Al punto che lo stesso Movimento Nonviolento (che dopo la "terza" del 1985 non aveva piu'' svolto un ruolo attivo di promozione dell'evento) ha ritenuto di convocare una "specifica" Marcia il 24 settembre del 2000, da Perugia ad Assisi, per ribadire il principio "Mai più eserciti e guerre". La Marcia del cinquantesimo anniversario, copromossa dalla Tavola della Pace e dal Movimento Nonviolento, dovrebbe recuperare la lucidità e la lungimiranza della visione capitiniana, esitando una nuova "mozione del popolo della pace" che, come la prima, affermi dei "principi" e promuova delle "applicazioni concrete" che impegnino tutti i partecipanti.

 

La nonviolenza è in cammino - Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo: Cosa caratterizzerà maggiormente la marcia che si terrà il 25 settembre di quest'anno?

  • Silvia Berruto: La proposta (della via) della nonviolenza. Dalla teoria (studio) all'azione (prassi). Il ripudio della guerra (l'articolo 11 della Costituzione della Repubblica Italiana) e, contestualmente, la difesa della Costituzione della Repubblica Italiana e di molti trattati internazionali. Mentre scrivo è stata approvata, in un'Italia commissariata, "la manovra delle manovre". Non ho ancora potuto leggere il testo integrale ma, in un clima di permanente ingiustizia e iniquità a carico della popolazione che paghera', oltre al resto e ad ulteriori misure di economia non sostenibile, anche le incompetenze del governo italiano, non sembrerebbero essere stati previsti tagli alle spese militari.

  • Pasquale Pugliese: Scriveva Aldo Capitini nel 1962, ripensando un anno dopo all'esperienza della Marcia della pace, che "una marcia non è fine a se stessa; continua negli animi, produce onde che vanno lontano, fa sorgere problemi, orientamenti, attivita'". Attualmente ci sono due documenti di convocazione della Marcia della pace: uno sottoscritto dalla Tavola della Pace e dal Movimento Nonviolento che richiama l'impegno dei giovani alla partecipazione, in questo momento di crisi dei valori e della politica, per essere "parte della soluzione"; un altro del Movimento fondato da Capitini che mette a fuoco come in questa fase della nostra storia sia in atto la violenta rottura del Patto di cittadinanza che lega gli italiani, che viene "ripudiato" attraverso la costante preparazione e l'uso continuo della guerra come "mezzo di risoluzione delle controversie internazionali", mentre la Costituzione sancisce, nell'undicesimo dei dodici articoli che la fondano, che è proprio il mezzo della guerra a dover essere "ripudiato". Questa violazione e ribaltamento della lettera e dello spirito della Costituzione, oltre ad aver trascinato l'Italia in guerra oggi in Libia ed Afghanistan, ma prima in Iraq, nei Balcani, in Somalia... - con la complicità di tutte le forze parlamentari -, costituisce anche la maggiore fonte di sperpero di risorse pubbliche inghiottite dalla piu'' alta, e sempre crescente, voce di spesa del bilancio dello Stato, quella militare. Al punto che l'Italia, pur declassata dalle agenzie internazionali "cani da guardia" della speculazione finanziaria, è stabilmente tra i primi dieci paesi al mondo per spesa bellica. Al punto che, finanziaria dopo finanzaria, fasce sempre maggiori di cittadini italiani scivolano nella poverta', ma i governi acquistano fiammanti cacciabombardieri capaci di trasportare le armi nucleari. E uno solo di questi mostri, portatori di morte, costa quanto trecento asili nido! Legare la rottura bellica della Costituzione con l'assurdità delle spese militari; collegare lo sperpero di risorse pubbliche nei sistemi d'arma, nelle missioni di guerra, nella "casta" dei militari, con la condizione di vita di milioni di persone a cui vengono imposti sacrifici sempre più pesanti; connettere questi temi con la nuova capacità di mobilitazione dal basso dei cittadini manifestata nella "primavera italiana", sono "i problemi, gli orientamenti, le attivita'" che dovremmo far sorgere dalla Marcia della pace del prossimo 25 settembre. I segnali sono incoraggianti perché sta crescendo la mobilitazione popolare in preparazione della Perugia-Assisi: sono stati costituiti molti comitati promotori locali e si stanno svolgendo tante iniziative territoriali in tutta la penisola. Se dovunque gli amici della nonviolenza presenti portano un contributo di chiarezza e d'impegno, questi temi possono davvero diventarne gli elementi caratterizzanti.

 

La nonviolenza è in cammino - Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo: Qual'è lo "stato dell'arte" della nonviolenza oggi in Italia?

  • Silvia Berruto: Non parole. Sono necessarie più azioni che parole. Pur in presenza di un buon apparato teorico, fatto di un know-how e di complementari percorsi collettivi di acculturazione, non seguiti, pero', da un progetto d'azione sistemico e trasversale, capace di coagulare una base allargata di attivisti in grado di portare a termine azioni ed iniziative nonviolente di massa, è indispensabile, a mio avviso, una metodologia per l'evaluation e per una restituzione, intellettualmente onesta, dei progetti e delle azioni nonviolenti intrapresi. Sulla base di un'autocritica serrata, sempre intellettualmente onesta, si deve pensare ad allargarne la potenziale trasversalità che potrebbe favorire una probabile maggiore visibilita'. La nonviolenza e', a mio avviso, un'utopia concreta che può essere e deve diventare sistemica.

  • Pasquale Pugliese: A me pare che vi sia un aumento della nonviolenza che viene dal basso a contrastare un aumento della violenza che viene dall'alto. La violenza che viene dall'alto è crescente: c'è la guerra che crea stragi tra chi riceve le bombe e vittime (dal punto di vista etico, civile, legale ed economico) tra chi le manda; c'è un governo razzista e liberticida dei diritti dei migranti; c'è un modello di sviluppo devastante per l'ecosistema; una finanza internazionale che "obbliga" a ricette economiche ultraliberiste; ci sono interi pezzi del nostro territorio governati direttamente dalle mafie... e si potrebbe continuare a lungo. E tuttavia, facendo un bilancio sullo "stato dell'arte" della nonviolenza, poco tempo fa, abbiamo condiviso un documento del Movimento Nonviolento che ricorda come "nei dieci anni che ci separano dal G8 di Genova c'è stata un'importante avanzata della nonviolenza in Italia, sotto molti punti di vista: dalla rinuncia alla reazione violenta di fronte al massacro delle persone e della democrazia avvenuto in quei tragici giorni, alla lenta riorganizzazione di un movimento dal basso e sui territori capace di esercitare il 'potere di tutti'; dalla messa in campo di modalità creative di comunicazione nonviolenta per i referendum, alla importante lotta esemplare e di popolo della Val di Susa". Nel documento, articolato in dieci punti, al quale rimando, questi e altri passaggi sono analizzati uno per uno. Mi sembra opportuno riportare qui l'ultimo punto, il decimo, che collega queste lotte alla prossima Marcia della pace: "Come accaduto dopo il G8 di Genova, i movimenti sono chiamati oggi a dare una nuova prova di maturità e contemporaneamente a compiere un altro passo nel processo di nuova Liberazione popolare da questo regime in putrefazione. C'è già un appuntamento per tutti i movimenti di lotta nonviolenti ed è la Marcia per la pace e la riconciliazione tra i popoli, che quest'anno si svolge il 25 settembre, nel cinquantesimo anniversario della prima voluta da Aldo Capitini. Allora, per la prima volta dalla Liberazione il popolo della pace si mise in marcia, con responsabilità e consapevolezza, entrando come un nuovo soggetto nella nostra storia. Da allora non ne sarebbe più uscito e gli stessi movimenti di lotta di questo decennio, anche nelle biografie di molti attivisti, derivano da quella storia. Oggi al popolo della pace, ancora in marcia da Perugia ad Assisi, tocca ancora il compito di fare sintesi di tutte le lotte nonviolente e di porsi come la vera alternativa, aperta e dal basso, alla violenza culturale, strutturale e repressiva di questo potere" ("Dalla Val di Susa al Decennale del G8 di Genova. Dieci punti per una riflessione sulla nonviolenza nei conflitti sociali", a cura del Movimento Nonviolento).

 

La nonviolenza è in cammino - Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo: Quale ruolo può svolgere il Movimento Nonviolento fondato da Aldo Capitini e gli altri mobimenti, associazioni e gruppi nonviolenti presenti in Italia?

  • Silvia Berruto: Il Movimento Nonviolento non è sufficientemente trasversale sul territorio. Non è capillarmente e trasversalmente presente sul territorio italiano nella sua auspicabile funzione di catalizzatore, attore (e co-attore) e regista di azioni collettive. Duecento iscritti non rappresentano un numero sufficiente per un progetto di azioni e iniziative nonviolente permanenti. Mi pare che oggi il movimento sia troppo debole/esiguo per esprimere, ma soprattutto per agire, tutto il suo potenziale reale. Dovrebbe essere, a mio modo di vedere, più vicino agli ultimi e provare ad essere più criticamente e autocriticamente una presenza più determinata, dal basso. Al congresso nazionale del Movimento Nonviolento dell'ottobre 2010, svoltosi a Brescia, proprio mentre in città si stava consumando la tragedia della gru, nel gruppo di lavoro e di studio della sesta commissione "per una nuova convivenza nella città aperta" non si registrava neppure la presenza di un migrante. Non è più tempo di parlare in nome e per conto di altri, e/o al loro posto. Nonviolenza significa anche promuovere un protagonismo reale ed un empowerment di tutte e di tutti, per tutte e per tutti: verso la realizzazione dell'utopia concreta dell'omnicrazia capitiniana. La critica che viene mossa al movimento, circa il suo atteggiamento un pò elitario, ovvero chiuso, mi pare pertinente. Penso allora che si debbano incentivare la comunicazione e l'informazione, non sufficientemente adeguate, la formazione, l'organizzazione, training collettivi per promuovere un'acculturazione e un'azione meno dilettantesche finalizzate ad una preparazione professionalizzante - teorico-pratica - all'azione nonviolenta di tutte le amiche e gli amici persuase e persuasi della nonviolenza.

  • Pasquale Pugliese: Prima di rispondere a questa domanda ho letto le diverse risposte già pervenute. Parte di esse oscillano tra la richiesta al Movimento Nonviolento, più o meno, di "sciogliersi" in reti più ampie e quella di assumere su di se', per tutti, compiti di grande impegno e responsabilita'. Forse è utile proporre una istantanea dello stato attuale del Movimento fondato da Aldo Capitini. Si tratta di una organizzazione oggi "associazione di promozione sociale" che nasce cinquanta anni fa e attualmente conta circa duecento iscritti, con attivi referenti locali ("centri") in quasi tutte le regioni d'Italia. Edita la rivista "Azione nonviolenta", fondata anch'essa da Capitini, che oscilla tra i 1.200 e i 1.300 abbonati, una piccola collana di apprezzati "Quaderni" di approfondimento, poi un sito internet (www.nonviolenti.org) e alcuni profili sui "social network". Sono state create nel tempo alcune "Case" e "Centri studi" che fanno riferimento, direttamente o indirettamente, al Movimento Nonviolento. La sede nazionale è presso la "Casa per la nonviolenza" di Verona. Il Movimento Nonviolento è infine parte di alcune reti internazionali, la War Resister's International (www.wri-irg.org), e nazionali: l'Ipri - Rete Corpi Civili di Pace (www.reteccp.org), il Comitato italiano per una cultura di pace e nonviolenza (www.decennio.org) e la Rete italiana disarmo (www.disarmo.org). Presidente ne è Mao Valpiana. Si tratta dunque di una organizzazione solida e fragile nello stesso tempo. Solida, perché ha saputo attraversare mezzo secolo, dotandosi di modalità di lavoro, di strumenti di azione e di legami solidali che le hanno consentito di diventare, ed essere ancora, un fondamentale punto di riferimento e di promozione per la nonviolenza in Italia. Fragile, perché l'intera organizzazione si fonda esclusivamente sul lavoro volontario degli aderenti (e dei volontari civili) e sugli abbonamenti alla rivista, senza finanziamenti esterni, senza contributi (se non il 5 x 1000 di chi decide di destinarlo al Movimento Nonviolento) e senza pubblicita'. È un patrimonio prezioso di valori, di intelligenze, di generosità personali fondato su quell'insieme di "tensione ideale e familiarita'", come nell'impostazione datane da Aldo Capitini e Pietro Pinna, che non può essere disperso, ma va custodito e impegnato con cura. Senz'altro il Movimento Nonviolento può fare di piu', essere più incisivo, più presente, più attivo, e in molti più campi, di quanto non riesca ad essere attualmente (e tutti sappiamo quanto ce ne sarebbe bisogno!), ma la possibilità che ciò avvenga è legata anche all'impegno attivo di tutti coloro che, oltre ad essergli idealmente vicino, scelgano di farne parte aggiungendovi il proprio personale, prezioso ed insostituibile, contributo. Perché "al centro dell'agire sono persone", ricordava spesso Aldo Capitini.

 

La nonviolenza è in cammino - Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo: Quali i fatti più significativi degli ultimi mesi in Italia e nel mondo dal punto di vista della nonviolenza?

  • Silvia Berruto: L'azione e il protagonismo delle donne di "Se non ora quando", le azioni nonviolente della popolazione resistente in Val di Susa, la lotta per i diritti dei migranti, la rete di un attivismo convinto in ripresa alla base della vittoria dei referendum. Le azioni nonviolente degli indignados (tra cui gli amici e resistenti di Spagna e del Cile) e dei resistenti di ogni dove. La rivoluzione nonviolenta islandese. Il gesto estremo di Mohamed Buazizi, tunisino, il 17 dicembre 2010, la cui morte diede il via alla resistenza e rivolta democratica che portò alla caduta di Ben Ali'. La primavera araba e le lotte nonviolente per l'emancipazione del popolo. Il "Movimento 20 febbraio", il sito Lakome.com, il gesto estremo di Hamid Kanuni vessato dai poliziotti di Berkane... tra gli altri.

  • Pasquale Pugliese: Negli ultimi mesi, tra i tanti, quattro fatti mi sembrano particolarmente significativi - in sè e nelle prospettive che aprono -, due internazionali e due interni. Tra i fatti internazionali, sicuramente le rivoluzioni in Tunisia ed Egitto le quali con modalità esplicitamente nonviolente hanno destituito i regimi autoritari sostenuti e coccolati dai paesi occidentali. Le modalità con le quali i giovani tunisini e i giovani egiziani si sono liberati dai rispettivi tiranni sono "da manuale"; non a caso sono anche circolati di mano in mano traduzioni in arabo dei testi di Gene Sharp, in particolare le "198 tecniche di azione nonviolenta" (da "Internazionale" 888/2011). Certo l'esito delle rivoluzioni è ancora incerto e il ruolo dei rispettivi eserciti rimane ambiguo - questo a dimostrazione del fatto che la nonviolenza non può esaurirsi in una mera tecnica applicativa - e tuttavia questa pagina di storia araba rimane un grande passo in avanti, che ha molto da insegnare anche a noi della sponda nord del Mediterraneo (per gli approfondimenti, anche sul ruolo svolto da Sharp, si veda il numero di "Azione nonviolenta" 6/2011). Dal Mediterraneo alla Norvegia, dove ha colpito la grande maturità nonviolenta nella risposta del popolo norvegese di fronte alla lucida follia razzista che ha fatto strage di giovanissimi socialisti, proprio per la loro visione multiculturale della societa'. Di fronte a questa tragedia è avvenuto quasi un "satyagraha" nazionale, una collettiva "fermezza nella verita'" che ha fatto dire al premier Stoltenberg "risponderemo con più democrazia e più apertura", e ad uno dei ragazzi sopravvissuti alla strage: "Vi prego, non fatemi leggere messaggi pieni di rancore, di sostegno alla pena di morte, o qualcosa di simile. Se qualcuno crede che qualcosa migliorerà uccidendo questa piccola persona triste, ha profondamente torto". Nonviolenza è civilta'. Anche in Italia, in questi mesi passati, sono avvenuti significativi fatti di nonviolenza. Con i referendum abrogativi del giugno scorso il sistema di potere è stato messo seriamente in difficoltà dal popolo che, esercitando il proprio "potere di tutti", ha spiazzato gli stessi apparati dei partiti. Attraverso una mobilitazione dal basso "lillipuziana, reticolare e nonviolenta", in particolare i comitati per l'acqua pubblica hanno prima raccolto da soli un milione e mezzo di firme e poi, saldandosi ai comitati contro l'energia nucleare, hanno (abbiamo!) avuto uno straordinario successo che ha ridato slancio ad uno strumento di democrazia diretta, ormai considerato finito, come il referendum popolare. Mettendo in campo una formidabile capacità di comunicazione creativa ed efficace nel coinvolgimento dei cittadini, anche contro un regime che ha dispiegato dispositivi di neutralizzazione leciti e illeciti, che deve fare da punto di riferimento per le future campagne e iniziative politiche dal basso. E poi, la straordinaria mobilitazione nonviolenta della Val di Susa nella quale una comunità aperta lotta, da vent'anni, con tenacia, passione e intelligenza contro un'opera inutile, sbagliata, e distruttiva dell'ecosistema. Contro di essa, questa estate - come a Genova, dieci anni fa - il potere ha dispiegato tutta la violenza di cui è capace. Prima per occupare il territorio dei valligiani, poi per far cadere nella trappola della violenza alcuni tra quelli che erano andati a sostenere la lotta dei valsusini. Mettendo in azione ancora una volta anche il sistema violento dei media che, manipolando la realta', esercita sulle coscienze di tutti una violenza ancora maggiore di quella reale subita dai manifestanti. Amplificando all'inverosimile l'inutile lancio di qualche sasso di un giorno e tacendo e oscurando i digiuni, i sacrifici, la dedizione e la creatività di un intero popolo resistente nel tempo, che oggi si trova a vivere in un territorio follemente militarizzato per la costruzione dell'Alta velocita'. Questa, come e più di altre, è una lotta locale con una dimensione globale, "perche'", come scriveva Capitini, "da una periferia onesta, pulita, nonviolenta, avverrà la resurrezione del mondo".

 

La nonviolenza è in cammino - Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo: Su quali iniziative concentrare maggiormente l'impegno nei prossimi mesi?

  • Silvia Berruto: Azioni allargate, condivise e concertate di resistenza collettiva. Dalla compartecipazione alle lotte della popolazione in Val di Susa, alle lotte dei migranti per i diritti fondamentali, alle lotte dei cittadini per la difesa dei diritti collettivi e dei beni comuni. A difesa dei diritti primari. Per il diritto al lavoro, all'istruzione, alla salute. In un atteggiamento di scelta di compassione. Glocalmente.

  • Pasquale Pugliese: Credo che i temi sui quali dovremmo principalmente concentrare il nostro impegno si possano raggruppare in tre aree: il disarmo, la democrazia, la convivenza. Per le ragioni che dicevamo prima, agire per il disarmo è tema urgente e ineludibile. Ce lo impone la nostra coscienza che non può continuare a tollerare che, a suo nome e per suo conto, vengano sganciate bombe in Libia, occupati militarmente territori in Afghanistan e preparate le guerre prossime venture. Ce lo impone la Costituzione italiana che obbliga a cercare "mezzi di risoluzione delle controversie" diversi dalla ripudiata guerra e quindi a sperimentare altre strade d'intervento, per esempio i Corpi Civili di Pace cui dare finalmente risorse e gambe. Ce lo impone la crisi sociale ed economica del nostro paese che non può continuare a vedere la maggior parte dei soldi pubblici destinata all'acquisto, alla manutenzione e all'uso di terribili sistemi di morte e a foraggiare i privilegi inauditi di quell'apparato castale che è l'esercito, sottraendo enormi risorse finanziarie alle spese civili e sociali. È necessario perciò individuare la chiave politica per avviare una importante mobilitazione in tal senso. Ma perché si giunga davvero al disarmo reale è necessario operare anche per il disarmo culturale, perché la maggior parte della gente è talmente imbevuta dalla retorica della guerra e della violenza risolutrice che non vede neanche il problema. Proprio nelle ore in cui questo governo becero ha presentato la sua degna finanziaria di "macelleria sociale", anche nelle proposte alternative dell'opposizione parlamentare, o nelle proteste sindacali, non è indicato neanche un euro di riduzione delle spese militari. L'esercito e le spese militari continuano ad essere un tabu', il "sancta sanctorum" omaggiato e foraggiato da tutti. Dunque c'è molto lavoro politico da fare, ma anche culturale, formativo, educativo. E in profondita'. Altrettanto urgente è il tema della democrazia il Italia, che non solo è ostaggio, da ormai vent'anni, di una cricca senza scrupoli, ma è drammaticamente violentata dal fortissimo potere delle mafie. Che esercitano un pesante dominio culturale, economico, politico e militare nelle regioni di insediamento primario, ma hanno ormai colonizzato l'intero Paese, orientando le decisioni politiche del governo centrale e di molti Enti locali. Non è più solo affare di magistratura e forze dell'ordine, ma è necessario rinforzare, o aiutare a costituirsi, a Sud come a Nord, le reti cittadine di difesa popolare nonviolenta per questa nuova lotta di liberazione nazionale. E poi c'è il tema della convivenza. I recenti, tragici fatti di Oslo ci ricordano che nessun paese può dirsi immune da quello che Martin Luther King chiamava "il virus dell'odio". In Italia subiamo, da almeno due decenni, una pesante e penetrante "pedagogia razzista", che ha portato a trasformare la nostra legislazione in senso punitivo e crudele verso i migranti, con il reato di clandestinita', con l'apertura dei nuovi lager dei "Centri di identificazione ed espulsione" e con il crimine contro l'umanità dei respingimenti. Questo è un tema che mina alla radice la civiltà di un popolo e non a caso molte delle lotte nonviolente del '900 sono nate proprio contro sistemi e regimi razzisti. Del resto, sia la marcia della pace del 1961 che quella di quest'anno sono esplicitamente dedicate alla "fratellanza dei popoli": ebbene, oggi la fratellanza dei popoli la si costruisce tanto nelle relazioni internazionali quanto nelle relazioni interne ai singoli Stati, promuovendo cultura e politiche che sappiano coltivare "la complessa arte della convivenza" (Alex Langer).

 

La nonviolenza è in cammino - Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo: Se una persona del tutto ignara le chiedesse "Che cos'è la nonviolenza e come accostarsi ad essa?", cosa le risponderebbe?

  • Silvia Berruto: La nonviolenza è una scelta. Uno stile di vita. Implica capacità di trasformazione creativa dei conflitti e l'abbandono di schemi che ripropongono assetti e posizioni di forza (l'esempio "maggiore-minore", come insegna Pat Patfoort), nel quotidiano. Una metodologia. All'insegna degli insegnamenti di Aldo Capitini fra i quali nonmenzogna e nonuccisione, e delle vie tracciate dagli altri maestri e compagni, amici e persuasi della nonviolenza tra i quali cito Danilo Dolci, don Milani, Johan Galtung, Pat Patfoort... Per una vita collettiva improntata alla semplicità volontaria che permetta a tutte e tutti di vivere. E per la realizzazione dell'omnicrazia capitiniana.

  • Pasquale Pugliese: Ci può aiutare nella risposta lo stesso Aldo Capitini che, nel suo libro Le tecniche della nonviolenza, scrive: la nonviolenza è affidata ad un metodo che è aperto ed è sperimentale. Si tratta dunque di un "metodo" di azione che si sviluppa su vari livelli - da quello educativo a quello sociale, da quello personale a quello politico - come reciproca aggiunta tra prassi e teoria, tra azione e pensiero. Al contrario delle costruzioni ideologiche, la nonviolenza non è prima teorizzata e poi praticata, ma è prima vissuta come strumento di azione e di cambiamento di singoli e popoli; poi studiata, approfondita e di nuovo sperimentata nell'azione, dove torna rinforzata da quegli studi e approfondimenti teorici. L'insieme di questa elaborazione collettiva ne costituisce, appunto, il metodo. Che è quindi metodo "aperto" perche nessuno è custode di una dottrina, di un corpus di norme definitivo, di un ismo, ma ciascuno può apportare nuove aggiunte sia sul piano del pensare che dell'agire. Un metodo che può essere usato da tutti perché non si fonda sulla forza fisica o sugli armamenti, ma sulla forza d'animo di ciascuno. Ed è anche un metodo "sperimentale", una approssimazione continua per prove ed errori, per le ragioni che lasciamo dire allo stesso Capitini: La nonviolenza è positiva e non negativa (non-violenza = amore, cioè apertura affettuosa alla esistenza, liberta', sviluppo di ogni essere), è attiva, lottatrice e richiede coraggio, è creativa e trova sempre nuovi modi di attuarsi, è inesauribile e non può essere attuata perfettamente, ma in continuo avvicinamento; e perciò ci diciamo amici della nonviolenza più che senz'altro nonviolenti. Ossia, appunto, sperimentatori di nonviolenza. Questo è l'unico modo che conosco per accostarsi e per starci.

 


Note biografiche degli intervistati:

Silvia Berruto: Fotoreporter e giornalista freelance aderente a "Giornalisti contro il razzismo", operatrice culturale, amica della nonviolenza, è impegnata nell'associazionismo democratico, nel giornalismo d'impegno civile, in molte iniziative di pace, di solidarieta', per la nonviolenza; cfr. anche i siti: http://silviaberruto.wordpress.com e www.liberostile.blogspot.com

Pasquale Pugliese: Obiettore di coscienza e laureato il filososia con una tesi sul pensiero di Aldo Capitini, è stato per diversi anni educatore in un progetto del Comune di Reggio Emilia, i Gruppi Educativi Territoriali. Ne è poi diventato coordinatore pedagogico e supervisore. Oggi si occupa di progettazione educativa e di politiche giovanili. È legato fin dai tempi dell'università al Movimento Nonviolento, per il quale in questo momento è impegnato nel direttivo e nella segreteria nazionali.