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In Turchia va in scena l'arte della nonviolenza

Ci sono fotografie, immagini, istantanee, che entrano nella storia e nel nostro immaginario. Diventano icone, simboli di un'epoca, di eventi rivoluzionari. Penso a Gandhi immortalato mentre sulle coste dell'Oceano indiano, nel 1930, al termine della sua marcia, raccoglie un pugno di sale dando avvio alla campagna di disobbedienza civile; penso alla ragazza cecoslovacca che nel 1968 metteva i fiori nei fucili dei soldati russi occupanti; penso allo studente cinese in camicia bianca che nel 1989 in piazza Tienanmen fermò, da solo e disarmato, una colonna di carri armati dell'esercito.

Ora c'è una nuova foto da inserire nel pantheon: viene dalla Turchia del 2013, scattata in piazza Taksim, ad Istanbul, e ritrae un giovane artista, coreografo e ballerino, di nome Erdem Gunduz, fermo immobile, in silenzio, davanti alla polizia che vuole sgomberare la piazza dai giovani che difendono la libertà del loro paese dal governo autoritario di Erdogan.

Gunduz ha dato avvio alla protesta nonviolenta e ha trovato subito sostenitori e seguaci che hanno seguito il suo esempio: stare fermi in piedi, per ore ed ore, in silenzio, a mani nude, senza nulla di minaccioso, con lo sguardo rivolto verso la grande foto di Kemal Ataturk, il fondatore della Turchia laica e moderna, issata sulla facciata del centro culturale Ataturk. La chiamano il "durandan", la protesta dell'uomo in piedi, fermi e impassibili come alberi, come i seicento alberi di Gezi Park, il parco di Istanbul che un progetto di "riqualificazione" voleva abbattere per costruirvi un nuovo centro commerciale, e da cui la resistenza ecologista si è allargata ed estesa a protesta politica per chiedere le dimissioni del governo turco.

Gandhi, che di queste cose se ne intendeva, diceva che la nonviolenza è un'arte, l'arte di vivere, e come tutte le arti per praticarla bisogna conoscerla, studiarla, esercitarsi, applicarsi, provare, migliorarsi, insistere. L'arte della nonviolenza, dunque.

Ho trovato un bel commento del sociologo Marco Lombardi, che dice: "Manifestare il proprio dissenso stando in piedi, senza muovere un muscolo, né emettere un fiato. Sembra una contraddizione, eppure il non agire è una forma espressiva assolutamente vitale. Il binomio tra protesta ed immobilità non è peraltro inedito, si pensi alle forme di resistenza passiva nel sessantotto e, prima ancora, 1'approccio nonviolento di Gandhi al cambiamento sociale. Eppure la contestazione "dell'uomo in piedi", che sta diffondendosi in Turchia contro gli estremismi del regime di Ankara, ha una sua originalità. Ciò che le telecamere riprendono nelle strade e nelle piazze turche, infatti, è qualcosa di assimilabile ad una forma d'arte. Arte moderna, che meriterebbe un posto nella prossima Biennale di Venezia e chissà che non lo avrà. Quelle sagome umane, di sessi, età, stazze e portamenti diversi, singole o in gruppo, lanciano messaggi artistici mai uguali. Messaggi di libertà creati all'interno della cornice urbana. Non è un caso che questa forma di protesta sia stata ideata e messa in atto per primo da un coreografo, un professionista cioè della rappresentazione scenica di sentimenti ed emozioni. È facile prevedere che la forza pubblica dello Stato raderà al suolo queste opere d'arte viventi, ma non potrà mai cancellarne la traccia che hanno lasciato. In un mondo di freddi calcolatori, dove i numeri dell'economia sembrano spiegare tutto, forse sarà proprio 1'arte a salvarci".

Fonte: Azione nonviolenta di giugno 2013