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Sull’appello di Orlando. Giustizia e diritti non possono essere difesi dai mandanti delle minacce

Il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, iscrittosi al PD il 25 gennaio 2018 dopo la rielezione, nei giorni scorsi ha lanciato un appello contro la “fascistizzazione in corso”, “a difesa della democrazia in Italia” e per contrastare le scelte istituzionali “che sempre più mettono a rischio il rispetto dei valori democratici e le libertà fondamentali”. Un appello che appare, in questo difficile momento per la tenuta democratica italiana, sacrosanto e prezioso impegno.

Davanti all’altissima sfida la soluzione è, invece, molto più di basso profilo e soprattutto sconcerta l’interlocutore: il sindaco di Palermo scrive alle istituzioni dell’UE per chiedere una procedura d’infrazione (e quindi il commissariamento?) dell’Italia. Tra l’altro non s’indirizza alla Corte di Giustizia Europea, organo indipendente e che negli anni ha emesso anche sentenze importanti sul tema dei diritti umani, ma direttamente al cuore delle istituzioni dell’attuale Unione Europea: Commissione e Parlamento. Una scelta che sconcerta e che fa cadere ogni possibile positiva aspettativa. Il primo motivo è quasi banale e dovrebbe essere scontato: dall’alto non si conquista nulla ma si ottengono solo delle concessioni, quel che dovrebbe essere diritto diventa quindi tutt’altro e viene snaturato e spogliato.

E’ la stessa storia italiana a raccontarcelo, dallo Statuto Albertino alla Costituzione. La prima fu una concessione del Re, e così come fu concessa fu facile per il fascismo stravolgerla e cancellare ogni concessione. La Costituzione è invece nata dalla Resistenza, dal protagonismo delle classi lavoratrici e popolari, da una lotta per la giustizia e la libertà del popolo. E infatti, nonostante decenni di classi politiche prone ad interessi nazionali e internazionali contrari e quarant’anni di offensiva dal piano di rinascita democratica della P2 resiste e ancora oggi è un baluardo democratico. Con la mobilitazione popolare, culminata con il referendum del 4 dicembre 2016, è stata difesa anche dall’ultima offensiva. Lanciata negli anni dei governi Monti, Letta e Renzi. Un’offensiva lanciata dopo il monito di Jp Morgan che, in un documento del 2013, affermò che le costituzioni democratiche italiane e spagnole erano un ostacolo da rimuovere. E prontamente Renzi e il PD si misero sull’attenti e tentarono di demolirla. Un processo che coinvolse varie istituzioni internazionali che, ripetutamente, hanno cercato di sostenere la “riforma” costituzionale. Arrivando ad affermare che il no al referendum avrebbe messo in discussione la stabilità europea e la stessa tenuta italiana. Una dinamica che viene da lontano e in azione con tutta la sua violenza economica e sociale nel caso della Grecia. Per salvare i conti delle banche francesi e tedesche, e imporre l’austerity e le sue politiche di “macelleria” (smantellamento dello stato sociale e di ogni difesa dei più deboli e fragili, impoverimento di milioni di greci, privatizzazione della sanità e di ogni settore sociale in mano pubblica, riforme economiche violentemente liberiste) sociale, fu imposto il commissariamento della Troika. Un istituto ademocratico, e sconosciuto persino all’architettura istituzionale europea, dove dominano l’alta finanza (compreso il Fondo Monetario Internazionale da decenni protagonista della distruzione di tantissimi Stati nel Sud del Mondo) e gli interessi delle multinazionali. Mentre i diritti delle classi più impoverite e fragili (così come la solidarietà sociale) vengono considerati varianti da sacrificare, ostacoli da rimuovere per il trionfo dell’economia capitalista dei ricchi e dei potenti. Insieme alla privatizzazione di qualsiasi settore sociale, e la trasformazione di ogni cosa in una merce del mercato capitalista, tra i dati sempre sottaciuti c’è quello che la troika impose tagli su tutto ma non sulle spese militari e per la Nato. In realtà, addirittura, aumentate durante gli anni del commissariamento.

Quanto abbiamo visto sul fronte della Costituzione è la riedizione di una dinamica già presente in passato. E il tema dei migranti e dei flussi in arrivo nel Vecchio continente ne sono stati tra i primi. Nulla è iniziato nell’ultimo anno e mezzo. Sostenere che i fenomeni di razzismo, xenofobia e di messa in discussione dei diritti di chi cerca di giungere in Italia e in Europa siano iniziati improvvisamente nel marzo dell’anno scorso è una storiella buona solo per la propaganda di un partito in disperata ricerca di nuovi consensi e di recupero dell’elettorato a sinistra.
Una torsione nella gestione dei flussi migratori, con la nascita di quella che fu definita la Fortezza Europa, che iniziò nella metà degli Anni Novanta. E quanto accadde nel nostro Paese s’inseriva in una cornice europea ben più ampia. La Fortezza Europa non nacque a Pontida o a Roma ma nel cuore delle istituzioni europee. L’Italia ne fu solo uno dei bracci operativi, con il blocco navale al largo del canale di Otranto (nel cui ambito avvenne la dimenticata “Strage di Pasqua” 1997 della Kater i Radesh) e la modifica del quadro legislativo. Modifica che porta i nomi degli allora esponenti PDS Livia Turco e Giorgio Napolitano. Loro fu la legge che istituì gli allora CPT, molti ben presto trasformatisi in lager dove abusi e violenze erano all’ordine del giorno mentre lucravano personaggi come il Cesare Lodeserto (una vicenda emblematica), di cui ci siamo occupati alcuni mesi fa http://www.lagiustizia.info/e-tornato-in-liberta-da-alcuni-mesi-il-primo-accusato-in-italia-di-business-dellimmigrazione-e-abusi-nei-centri/ . Tutto quanto accadde a partire da quegli anni, condiviso e benedetto dall’Unione Europa che ne era la madre, aveva bisogno di un suo consenso e di una macchina di propaganda. Basta andarsi a rileggere alcuni quotidiani (a partire da Repubblica) di quegli anni. I toni non erano diversi da un Borghezio leghista o da altre formazioni politiche anche di estrema destra. E in questa situazione avvenne una delle vicende più vergognose per la storia repubblicana italiana degli ultimi vent’anni: la strage di Natale 1996. Una strage negata per anni, sia dalle istituzioni italiane dell’epoca che dai giornali per non rischiare di incrinare e mettere in discussione le politiche migratorie che si stavano affermando. Repubblica si accorse dell’esistenza di quel naufragio solo nel 2001, quando poi dispiegò anche imponenti mezzi, quando il governo era cambiato. Come ha raccontato in una lettera a Carlo Lucarelli nel 2007 Alessia Montuori dell’Associazione Senzaconfine, “il governo di centro-sinistra dell’epoca non fece nulla, negando perfino l’accaduto, perché non si voleva turbare l’ingresso dell’Italia nella fortezza Europa”. Quella Fortezza Europa da cui scaturirono “i Centri di permanenza temporanea teatro di varie tragedie, (tra cui il rogo del Serraino Vulpitta di Trapani del 28 dicembre ’99, dove persero la vita bruciate in tutto 6 persone detenute), i blocchi navali (ricordiamo il naufragio del venerdì santo in Adriatico, a causa di una manovra di harassment della marina militare italiana, nel quale morirono un’ottantina di albanesi, era il ’97, pochi mesi dopo la tragedia di Natale), le innumerevoli difficoltà burocratiche per l’immigrazione regolare, che costringevano le persone ad arrivare clandestinamente affidandosi ai trafficanti e rischiando la vita”. Alessia e Senzaconfine all’epoca, invece, andarono controcorrente. E insieme all’indimenticabile (ma dimenticato da larga parte di quella che si continua a definire “sinistra” nel nostro Paese) Dino Frisullo per anni portarono avanti una lotta solitaria per giustizia e verità. Dino Frisullo riuscì a trovare prove e testimonianze, andò persino in Grecia per avere conferme, si mosse all’epoca l’ambasciata pakistana. Ma le autorità italiane “europee” no. “Dal Viminale alla Farnesina” scrisse Dino nel 2001 in un articolo su Il Manifesto (http://briguglio.asgi.it/immigrazione-e-asilo/2001/giugno/frisullo-manif.-naufragio.html ) trovarono “una totale assenza non dico di solidarietà, ma di umana pietà. Ammettere la strage equivaleva a rimettere in discussione la linea della fermezza”, “ci presero per pazzi e acchiappafantasmi non solo ministri e sottosegretari, ma anche i rappresentanti dell’associazionismo che affollava le anticamere del governo amico di Napolitano e Livia Turco.

Ricordo sorrisi di compatimento anche nel tessuto della grande scommessa di quegli anni, la Rete antirazzista – e forse lì andrebbe ricercata una delle ragioni, poi, della sua crisi”. Nello stesso articolo Dino Frisullo amaramente denunciò che “quei poveri corpi riemergendo avrebbero potuto motivare una scelta coraggiosa: una nuova politica dell’immigrazione e dell’asilo, che sostituisse legalità e certezza del diritto all’illegalità, alla soggezione, alla morte”. La scelta dell’Unione Europea di quegli anni e di tutti gli anni a venire, quell’Unione Europea che ha imposto sempre più in ogni Stato cancellazione dei diritti dei lavoratori, tagli alle pensioni e allo stato sociale, privatizzazioni, che ha favorito e continua a favorire multinazionali, banche, mercati e alta finanza.

E’ storia ma anche cronaca di oggi. Dai decreti Minniti-Orlando in poi tutto hanno perseguito tranne che politiche di accoglienza e umanità. Basta andarsi a sfogliare i giornali dell’estate di due anni fa e delle dichiarazioni di Minniti stesso, sul “codice di condotta” come sul “procedimento giudiziario differenziato” per i migranti previsto dai due decreti scritti da lui e Andrea Orlando. Ed è storia di un’Unione Europea che, negli anni della crisi, ha imposto di salvare i forzieri delle banche dagli effetti delle loro nefaste speculazioni. Mentre ha imposto la cancellazione dell’articolo 18 e di altri diritti dei lavoratori come quelli ad una giusta (e negli anni necessari alle esigenze e alla salute) pensione, impedito di intervenire per salvare posti di lavoro con la repressione di quelli che vengono “definiti aiuti di Stato” (che non scatta per le banche o per realtà come l’Ilva, foraggiata negli anni in ogni modo e coperta persino da uno “scudo penale” che va contro ogni concezione di giustizia e “legge uguale per tutti”). La stessa che discute di redistribuzione dei migranti come parlasse di pacchi postali, che interviene vendendo armi e partecipando a guerre come in Siria, Iraq, Afghanistan e Libia, per cui l’unica “cooperazione internazionale” con gli Stati africani si realizza nell’imporre la presenza e gli affari di multinazionali europee che devastano, depredano e impoveriscono. L’Europa di Frontex, che a chiacchiere declama alti ideali e politiche di integrazione, accoglienza e rispetto dei diritti umani, giustizia sociale e tutela dei più deboli e impoveriti. Ma di fatto, alle frontiere interne ed esterne, nei confronti di chi cerca di venire in Europa e dei suoi cittadini e lavoratori, fa tutt’altro.

Ecco perché, come già detto all’inizio, l’iniziativa di Orlando appare più politica che efficace, più utile per altro che per quel che dice di voler realizzare. Si sta ripetendo uno scenario non molto diverso da quanto accadde dopo l’approvazione del primo decreto sicurezza, quando alcuni sindaci si lanciarono in proclami di “disobbedienza civile” e lotta senza sconti. Una “disobbedienza” più propagandata che altro, di cui si son perse le tracce come della flotta navale per il soccorso in mare proclamata da De Magistris. Allora tra i sindaci pronti alla disobbedienza, oltre Orlando a De Magistris, c’erano anche Nardella, che dopo i decreti Minniti-Orlando si lamentava addirittura che gli strumenti di repressione non erano forti come lui voleva, Merola, che cacciò da Bologna persone colpevoli solo di essere troppo poveri per avere un tetto, e Alessandrini, il sindaco di Pescara che fu applaudito da Forza Nuova per lo sgombero dei senegalesi.

Alessio Di Florio

Fonte: http://www.lagiustizia.info/sullappello-di-orlando-giustizia-e-diritti-non-possono-essere-difesi-dai-mandanti-delle-minacce/