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Le posizioni storiche di Frediani e le nostre

Rispetto all’articolo di Frediani, apparso su La Nazione cronaca di Massa del 13 aprile, ci permettiamo di fare alcune osservazioni. Esso accompagna una testimonianza storica sul giorno 10 aprile 1944 che parla della morte di un soldato alleato che ci liberò, e nella pagina a fianco c’è l’intervista ad un reduce repubblichino. Sulle testimonianze non c’è nulla da eccepire, in ogni caso riportano ricordi soggettivi, e ogni ricordo può essere utile ad una ricostruzione generale più completa possibile.

Serve per esempio anche la motivazione del fascista che spiega la sua scelta giovanile della RSI per l’aver visto le vittime e i danni dei bombardamenti alleati. La si può infatti unire alla notizia che i partigiani apuani protestarono con gli Alleati contro i bombardamenti indiscriminati che colpivano le città e quindi i civili. Le due notizie contribuiscono a comporre gli elementi dell’intero il quadro, quello che si chiama il contesto.

Invece sulle posizioni storiche di Frediani si deve rilevare come minimo il preconcetto di essere antipartigiane in quanto rivelano una volontà di immiserire il ruolo della lotta partigiana. È latente in queste posizioni l’ assimilazione partigiano=comunista, che rinvia però, essa sì, ad un’epoca di scontro ideologico del dopoguerra quando la Resistenza era condannata come comunista. Posizioni che hanno trovato poi in Pansa l’alfiere di un revisionismo storico di parte, contro il quale l’ANPI combatte da anni, perché strumentale ad un tentativo di parificazione delle parti che la storia stessa non consente.

Frediani ripete contro i partigiani una sorta di trita vulgata: il loro ruolo marginale nella Liberazione, l’essere pochi e male armati, la tattica di sole azioni di disturbo, la responsabilità di eccidi avvenuti per rappresaglia alle loro azioni, infine addirittura i pochi riconoscimenti ricevuti dagli alleati. Questi, per dirla con simpatia, sono misurazioni della storia fatte con il misurino dei cannocchiali dei fucili, e trascurano invece la sostanza dei fatti. Se ne possono comunque sottolineare i limiti. Certo i riconoscimenti degli alleati verso i partigiani furono minimi, anche a causa di preferenze ideologiche, ma più essenziale fu il riconoscimento ricevuto dai partigiani dalla nostra Repubblica, e la loro equiparazione a soldati, come dimenticarlo! La strategia dei partigiani fu la guerriglia, era l’unica a loro consentita in uno stato nemico forte di due eserciti, il tedesco ed il repubblichino, ma tutti dimenticano (in questo caso Frediani non è solo) che era la strategia che gli alleati stessi chiedevano ai partigiani, il colpire i tedeschi alle spalle, il minare i ponti, il mettere sempre in allerta l’esercito nemico, come dimenticarlo! Il parlare della responsabilità partigiana, l’occupazione di Forno, senza tenere conto del contesto è davvero fuorviante. Tale metodo sempre lo è! Chi lo sceglie o è un sempliciotto, ma allora cosa si mette a fare lo storico!, oppure sa bene di tacere qualcosa, e ciò chiaramente per un suo fine. A Forno c’era un clima euforico di fine guerra, tutti si aspettavano uno sbarco alleato sulla costa che avrebbe significato la libertà, la popolazione, tutta la popolazione, accolse l’occupazione del paese da parte dei partigiani con gioia, era il grimaldello per la fine, i bambini giocarono festosi sui camion, le famiglie vissero a fianco dei partigiani, i fascisti del posto non furono toccati, non è vero che i partigiani non difesero e che abbandonarono la popolazione a se stessa, la maggior parte di quei partigiani erano del paese. I comandi partigiani si preoccuparono della situazione più di tutti. Si può parlare di impreparazione, non certo di negligenza. Come dimenticare tutto ciò!

Ma il limite vero di Frediani è nella sostanza.

Tutti gli storici italiani, anche quelli di sinistra!, e ci riferiamo a storici seri, sono d’accordo sul fatto che le sole forze della Resistenza mai avrebbero potuto vincere l’esercito tedesco nel nord Italia, venti divisioni attrezzate militarmente in maniera micidiale e operanti con una strategia di occupazione incentrata sul terrore verso la popolazione, mai avrebbero potuto essere superate da un esercito partigiano pur sempre limitato. Anche una sollevazione popolare finale per poter essere vincente poteva nascere solo se soccorsa da una azione militare alleata, cioè di un esercito altrettanto potente. Della Liberazione del nostro paese si devono quindi ringraziare gli alleati, i Partigiani vi contribuirono, in certe occasioni furono anche essenziali. Nella nostra zona per esempio guidarono gli alleati nel passaggio del fronte in aprile, e la loro conoscenza dei sentieri impedì i disastri che gli alleati subirono nel tentativo di sfondamento che avvenne in febbraio, ma sulla costa. Carrara fu liberata prima dai partigiani e ciò lo riconobbero le stesse autorità militari alleate. Insomma la liberazione da parte alleata è la scoperta dell’acqua calda. Come è indubbio che sia la popolazione sia i partigiani accolsero gli alleati come liberatori.

Ricordato questo, al contempo, si deve dire che tutti gli storici italiani, anche quelli di destra!, ci riferiamo agli storici seri, sono d’accordo nel rilevare la grande importanza della lotta partigiana, della Resistenza e del loro ruolo nella Liberazione. Ma sono storici che non computano i numeri, e avvertono il valore etico della Resistenza. Certo un altro grado di misurazione della qualità e dell’importanza, che noi chiaramente riteniamo superiore. La scelta di coraggio della Resistenza significo dignità di popolo, perché la Resistenza fu del popolo, nessuna formazione armata avrebbe potuto esistere senza il suo appoggio, e permise ad un rappresentante vero di quello spirito, come De Gasperi, di non inchinarsi a Parigi di fronte alle nazioni vincitrici, ma di rivendicare un nostro ruolo chiamiamolo pure, con orgoglio, etico, nella lotta al nazifascismo.

Dimenticare questo profondo significato, non rilevare questa valenza nella Resistenza, nei Partigiani, nell’Antifascismo, non acquisirli nella coscienza come valori ancora attuali per la nostra società democratica è davvero un grande limite per chi studia la storia. Significa, infatti, incapacità di interpretazione, farsi attirare dalla pagliuzza e non riuscire a vedere la trave.

 

14 aprile 2016

Anpi - Sezione Patrioti Apuani Linea Gotica - Massa