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Lettera aperta alla Ministra dell'Istruzione Università e Ricerca Valeria Fedeli

Mancano pochi giorni al 17 maggio, Giornata internazionale contro l'omo-bi-transfobia, una data che dovrebbe ricordarci il nostro impegno a contrastare le tante forme di violenza e discriminazione che ancora oggi le persone subiscono per il loro orientamento sessuale e la loro identità/espressione di genere. Noi prendiamo spunto da questa giornata per denunciare che la scuola italiana è ancora uno dei luoghi dove l'omo-bi-transfobia non solo si manifesta quotidianamente ma viene vissuta quasi come un rito di passaggio all'età adulta. L'omo-bi-transfobia a scuola crea consenso: le battute su gay e lesbiche fanno ridere, il linguaggio omofobico modella l'identità sociale, la derisione crea solidarietà tra chi è maggioranza a danno di chi appartiene a una minoranza sessuale stigmatizzata, creando il più delle volte un vuoto intorno a chi è vittima, priva di voce e forza per difendersi o chiedere aiuto. L'omo-bi-transfobia a scuola educa le/gli omosessuali e transgender ad essere invisibili, a non parlare di sé, dei propri interessi e delle proprie aspirazioni. Essa determina il nostro modo di essere donne e uomini.

La scuola italiana abbandona così studenti e studentesse a se stessi/e, abdica al suo ruolo di garantire il diritto allo studio a tutte/i, di assicurare luoghi di apprendimento e di crescita in cui esprimere liberamente la propria identità. Ed è oramai risaputo che l'essere vittima in età adolescenziale di pregiudizio sessuale, discriminazione, isolamento sociale espone maggiormente le studentesse e gli studenti LGBT a disturbi psicologici, scarso rendimento scolastico, abbandono degli studi, autolesionismo e rischio suicidario.

Ci rivolgiamo a lei, Ministra, per capire cosa intende fare concretamente quest'anno. Concederà l'ennesima circolare per il 17 maggio, che nella maggior parte dei casi resterà sepolta tra le tante che intasano le segreterie delle scuole italiane? Aprirà una finestra su questo problema per poi richiuderla il giorno dopo? Lascerà, in nome dell'Autonomia scolastica, che le/gli insegnanti più volenterose/i, con l'aiuto di qualche associazione, se la sbroglino da sole/i, lottando contro comitati di genitori, fantomatiche associazioni che difendono i propri figli, imprenditori politici dell'emofobia che raccolgono consenso sulla pelle di lesbiche, gay e transgender? Dobbiamo accontentarci di 7 righe scarse dedicate a questo problema nelle "Linee di orientamento" per la prevenzione del bullismo, un documento di 23 pagine firmato dalla Ministra che l'ha preceduta? Pensa che sia sufficiente l'accenno generico alla prevenzione di «tutte le discriminazioni», presente nel comma 16 della Legge 107/2015?

Vede, Ministra, i riferimenti generici e la retorica della valorizzazione delle diversità o differenze sono soluzioni comode ma totalmente inefficaci. Non basta esortare al rispetto, bisogna agire nel concreto, chiamare le cose con il loro nome e rompere i tabù che impediscono di parlare delle persone e dei temi LGBT a scuola. Dia semplicemente un'occhiata a ciò che fanno i ministeri corrispondenti al suo in Inghilterra, Francia, Irlanda, Spagna, Germania, per citarne solo i principali. Scoprirà che in quei Paesi vengono svolte ricerche nazionali su questo fenomeno, vengono promosse campagne di informazione specifiche su come affrontare l'omo-bi-transfobia, le studentesse e gli studenti lesbiche, gay, bisessuali e transgender vengono nominati, supportati. Vengono fornite a insegnanti e dirigenti guide e materiali didattici per superare i pregiudizi, per affrontare questi temi con la classe, per gestire il bullismo omofobico. I problemi non si risolvono dall'oggi al domani, ma quei Paesi si stanno muovendo concretamente. In Italia si è stati fermi per anni o si è solo fatto finta di muoversi e ora si sta pericolosamente tornando indietro.

L'omo-bi-transfobia è un problema sociale e culturale, che richiede tempo per essere risolto ma prima di tutto richiede chiarezza e determinazione nell'affrontarlo, senza nascondersi nell'ipocrisia di soluzioni generiche ed episodiche.

Forse una soluzione ci sarebbe. Ci vorrebbe una ministra dell'istruzione lesbica, gay o transgender. Ma forse, nemmeno questo basterebbe: dovrebbe aver vissuto a scuola sulla propria pelle la derisione, l'isolamento, il pettegolezzo, l'insulto perché omosessuale o transgender, così come accade quotidianamente ancora nel 2017 a migliaia di studentesse e studenti LGBT che frequentano le scuole della nostra penisola.

Trieste, 13 maggio 2017

NonUnaDiMeno Trieste