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Alla ricerca dei propri figli "invidibili"

Dal 28 gennaio errano per la Sicilia. Cercano in quella terra tracce capaci di mitigare un dolore che non tace, di rendere più sopportabile il peso di un anno di silenzi e di mancate risposte. Non se ne andranno fin quando queste risposte non arriveranno. I responsabili dei ministeri e delle ambasciate cui hanno scritto devono impegnarsi. È loro dovere. È un dovere civile.

Non se ne andranno. E per rendere la loro presenza ancora più visibile hanno deciso di dividersi. Una parte di questa delegazione di madri e padri tunisini continuerà ad errare per quell’isola che, nel marzo dello scorso anno, ha visto approdare, da diverse imbarcazioni, i loro 250 ragazzi, da allora scomparsi (il numero totale dei giovani fino ad oggi dispersi sembra essere 680). Un’altra, da venerdì scorso, ha iniziato uno sciopero della fame davanti al consolato tunisino in Italia. In Tunisia è da un anno che manifestano, con in mano le foto dei ragazzi scomparsi. Nessuno ancora ha detto loro che fine abbiano fatto. Nessuno si è impegnato a dare risposta: sono morti? sono nelle carceri? nei Centri di identificazione italiani? Possibile che siano “semplicemente” scomparsi nel nulla?

Nelle carte d’identità tunisine ci sono le impronte digitali di questi giovani. Le stesse impronte che in Italia vengono prese ai migranti (e ai detenuti, che assurda coincidenza no?) quando arrivano nei Cie. Quelle impronte che i Paesi si scambiano facilmente quando l’obiettivo è espellere uomini e donne in cerca di un futuro differente, e che invece diventano così difficili da confrontare quando l’obiettivo è dare una risposta a queste madri e padri che cercano solo di sapere dove sono i loro figli. Né in Tunisia né in Italia ci sono regimi, ma questa storia della difficoltà di scambiarsi impronte, di dare risposte, ricorda tanto altri desaparecidos dimenticati dai governi. Allora il silenzio copriva gli orrori del potere, oggi cosa copre? Speriamo non una semplice noncuranza. Sarebbe uno schiaffo difficile da sopportare.

Fonte: ComboniFem - Newsletter Suore Comboniane del 16 febbraio 2012