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Il diritto alla cittadinanza dei figli degli immigrati

Il primo viso che hanno visto è stato quello dell’ostetrica, italiana, che li ha aiutati a venire al mondo. Il pediatra, quello che, appena nati, ha stabilito il loro stato di salute, li vezzeggiava in italiano. Le maestre dell’asilo, quelle della materna, delle elementari in cui sono stati accolti, dove hanno imparato a riconoscere i sapori, i colori, i suoni delle lettere, le declinazioni dei verbi e quelle delle tabelline, sono italiane, come quell’amichetto del cuore, quella compagna di banco, come il primo amore…


Non hanno dubbi identitari loro. Nati e vissuti in Italia, si sentono (e come potrebbe essere diverso?) italiani. L’Italia è l’unico posto che hanno conosciuto dalla nascita, non si sentono (e come potrebbero esserlo?) immigrati, il loro Paese è questo, non l’hanno mai lasciato. Ma il sangue, in Italia, non è… acqua! È ciò che determina il diritto di cittadinanza. Così, paradossalmente, può essere italiano un residente all’estero, che ha visto il nostro Paese solo in televisione, nelle foto o nelle cartoline, ma ha quel nonno…

Era novembre quando scrivemmo del diritto alla cittadinanza per i figli degli immigrati nati in Italia; era l’indomani dell’appello del presidente Napolitano, che usò termini come “follia” e “assurdità”davanti a chi pensava ancora di negare un diritto dovuto ai nuovi italiani; era l’inizio della raccolta di firme, ora giunta al termine, di quella bellissima iniziativa che è stata l’Italia sono anch’io

Torniamo a scriverne oggi; ora che 4.536 bambini e bambine, nati e nate in questi ultimi dieci anni nel territorio pesarese, ricevono un attestato di cittadinanza onoraria, un gesto simbolico certo, ma significativo, culturale e civico, che speriamo si diffonda tra le provincie e i comuni di questo nostro Paese e richiami lo Stato a un’attenzione vera; ora che si parla di una terza via, tra ius soli (diritto per chi nasce sul suolo italiano) e ius sanguinis (diritto per chi nasce da genitori italiani), lo ius culturae (diritto per chi è cresciuto immerso nella cultura del nostro Paese); ora che – come scrive Carlo Galli su Repubblica ­– «la lotta per la cittadinanza degli stranieri residenti può essere un’occasione per riaprire una stagione di partecipazione politica anche a chi la cittadinanza già ce l’ha, ma non ne fa buon uso. Non solo gli stranieri, ma è tutto il Paese, ad averne bisogno».


Fonte: ComboniFem - Newsletter Suore Comboniane del 2 febbraio 2012