• Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Che odissea la Libia

I racconti dei migranti illegalmente respinti dall'italia in Libia e in Libia sottoposti a feroci violenze. un rapporto di Human Rights Watch di Cinzia Gubbini.

Bisognerebbe saper ascoltare le parole raccolte dall'ultimo rapporto di Human rights watch. Bisognerebbe capire fino in fondo cosa raccontano.
Invece, probabilmente, sarà considerato di nuovo un punto di vista di parte: la loro parola contro chi dice che, invece, è tutto regolare. L'organizzazione internazionale e indipendente ha deciso di raccogliere le testimonianze di 91 migranti, più un'intervista telefonica con un uomo ancora detenuto in Libia, per documentare gli abusi - fisici, psicologici e sessuali - che affronta chi tenta di raggiungere l'Europa. Si tratta di racconti agghiaccianti, della descrizione di odiosi abusi dei diritti umani.
Il rapporto si chiama "Scacciati e schiacciati. L'Italia e il respingimento dei migranti e dei richiedenti asilo. La Libia e il maltrattamento dei migranti e dei richiedenti asilo". Perché a livello internazionale ad essere considerati attori dello sfruttamento e del maltrattamento dei migranti che viaggiano verso l'Europa sono ormai due paesi: non più soltanto la Libia, ma anche l'Italia che ha ufficialmente avviato nel maggio del 2009 i respingimenti verso il paese "amico" nordafricano. "La realtà è che l'Italia sta rimandando questi individui incontro ad abusi", ha detto Bill Frelick, direttore delle politiche per i rifugiati a Human Rights Watch, e autore del rapporto, "i migranti che sono stati detenuti in Libia riferiscono, categoricamente, di trattamenti brutali, condizioni di sovraffollamento ed igiene precaria". Non c'è alcun dubbio, sottolinea Hrw che l'Italia stia violando il diritto di non refoulement, cioè di non respingimento, stabilito dalle convenzioni internazionali. Per questo tra le raccomandazioni dell'organizzazione compare al primo punto l'immediata cessazione dei respingimenti. All'Unione Europea si chiede di obbligare l'Italia a rispettare l'articolo 3 della Convenzione europea sui diritti umani che vieta di rimandare qualsiasi persona verso un luogo in cui possa subire maltrattamenti, e a non coinvolgere proprie agenzie - a cominciare da Frontex - in operazioni di questo tipo.
Gli autori del rapporto hanno raggiunto gli intervistati a Malta, Lampedusa e in alcune città della Sicilia. Tutti, nessuno escluso, descrivono la Libia come un paese in cui è successo loro di tutto: sono stati picchiati, rapinati, detenuti per mesi senza avere neanche la possibilità di capire se si trovavano in centri ufficiali o in quelli gestiti dai trafficanti. La sensazione dei migranti è che poliziotti e sfruttatori siano in combutta, visto che entrambi sfruttano migranti vulnerabili e ne abusano. Tomas, un eritreo di 24 anni, faceva parte di un gruppo di 108 migranti che si rifiutò di salire, nell'ottobre 2008, su un barcone inadeguato a prendere il mare. Arrivarono i poliziotti ma non per difenderli, bensì per dare man forte ai trafficanti: "Appena vidi la barca - racconta Tomas - mi resi conto che sarei morto se ci fossi salito. Imposero a due persone di salire e il resto del gruppo cominciò a battersi. Arrivarono molti soldati e ci catturarono. Ciò che mi sorprende è che la persona che ci disse che ci avrebbe portati in Italia è la stessa che ci arrestò". Cosa accade nei centri, o nelle prigioni, o anche nei covi usati dai trafficanti è difficile da raccontare, anche per gli intervistati. Soprattutto quando si tratta di descrivere cosa succede alle donne. Iskinder, etiope di 40 anni che si trova a Malta e la cui moglie invece è ancora in Libia, racconta come fosse sempre sua moglie ad essere arrestata, perché era lei quella che andava a lavorare: "Non mi hai mai detto nulla sul trattamento ricevuto in prigione. Ma anche io sono stato arrestato. So cosa succede alle donne".
Ma nel rapporto di Hrw emergono anche informazioni interessanti sulla pratica dei respingimenti. Quelli "ufficiali" avviati dall'Italia quest'anno non sono stati gli unici. Già precedentemente questa pratica era attuata dalla marina maltese, mentre la marina libica per fermare i barconi già sparava - come ha poi documentato un video di Repubblica.it. Daniel, eritreo, racconta di essere stato rispedito indietro da una nave maltese già nel luglio del 2005. Il ritorno in Libia è stato brutale: "Eravamo veramente stanchi e disidratati quando arrivammo in Libia. Iniziarono a prenderci a pugni. Ci dicevano, 'Credevate di andare in Italia, eh?'". Ci sono poi i racconti sui centri di detenzione: sporchi e dove, quando arriva la notte, succede di tutto. Racconta Ghedi, un somalo di 29 anni, sulla sua esperienza nel centro di detenzione di Kufra: "Le guardie ci picchiavano specialmente di notte, quando erano sotto l'effetto dell'hashish. Alcune guardie ci prendevano a calci con i loro scarponi. Dormivamo solo prima dei pestaggi. Non chiedevamo nulla".

Fonte: "Il manifesto" del 22 settembre 2009