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Il razzismo all'epoca di Barak Obama

Il fenomeno razzista non è circoscrivibile alle tesi della Lega padana che ha tappezzato Milano in queste ore di manifesti contro gli zingari per contrastare la nuova maggioranza progressista. Il fenomeno dell’estrema destra razzista è diffuso in tutti i paesi dell’Europa, con punte di consenso elettorale delle frange barbariche che sfiorano perfino ¼ degli elettori. Ma negli States c’è chi lancia una denuncia precisa… Il razzismo ha cambiato pelle: sarà quella dei nostri migranti dei prossimi anni?

Negli Stati Uniti oggi ci sono più afroamericani incarcerati di quanti fossero gli schiavi nel 1850 prima dell’inizio della guerra civile

(ve/Dick Price) L’elezione dell’afroamericano Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti sembrava avere posto definitivamente fine alla discriminazione razziale nei confronti della popolazione nera. “Oggi ci sono tuttavia più afroamericani incarcerati di quanti fossero gli schiavi nel 1850 prima dell’inizio della guerra civile”, sostiene Michelle Alexander, professoressa di diritto nello Stato dell’Ohio, autrice del bestseller “The New Jim Crow: Mass Incarceration in the Age of Colorblindness” (The new Jim Crow o l’incarcerazione di massa nell’era della non-discriminazione razziale). Secondo Michelle Alexander, difensora dei diritti civili, il sistema razziale delle caste creato mediante le leggi razziste americane del passato è stato rimpiazzato, oggi, da un rigido controllo esplicato tramite il sistema della giustizia criminale. Nel suo libro, l’autrice denuncia le storture del sistema giudiziario statunitense che porterebbe di fatto alla discriminazione delle persone di colore.
Michelle Alexander trae ispirazione dall’azione del pastore Martin Luther King per riflettere sulle iniziative che possono essere intraprese per riformare l’attuale sistema giudiziario. Nel suo libro raccomanda in particolare di sostenere l’organizzazione “Drug Policy Alliance” che si oppone alla “guerra contro la droga”, lanciata nel 1971 dall'allora presidente Richard Nixon e condotta ancora oggi dall’amministrazione americana.

Basso tasso di criminalità
Il tasso di criminalità non spiega l’aumento spettacolare del numero di neri incarcerati nelle prigioni statunitensi negli ultimi trent’anni. “Il tasso di criminalità è fluttuato nel corso degli anni e si situa attualmente a un minimo storico”, afferma Alexander. “Il fenomeno dell’elevato numero di afroamericani detenuti nelle carceri statunitensi si spiega in gran parte con la guerra condotta contro la droga e diretta quasi esclusivamente contro le comunità nere e povere”. E questo mentre numerosi studi hanno mostrato che i bianchi utilizzano e spacciano droghe illegali quanto o persino più dei neri. In certe comunità nere di quartieri svantaggiati dei centri urbani quattro giovani afroamericani su cinque avranno a che fare con la giustizia nel corso della loro vita.
La conseguenza di questa situazione, secondo la Alexander, è che molti neri vengono privati dei loro diritti - impediti, a causa di condanne per infrazioni gravi, di votare e di vivere nelle case popolari, vittime di discriminazione nelle assunzioni, esclusi dalle giurie e privati dell’accesso alla formazione.

Alto numero di recidivi
Le statistiche rivelano che il 70% dei neri incarcerati una volta, ritorna presto di nuovo in prigione. “Che cosa possiamo aspettarci che facciano?”, si chiede Michelle Alexander, la quale ha condotto delle ricerche mentre lavorava come direttrice del Progetto di giustizia razziale dell’Unione americana per le libertà civili (ACLU) della California del Nord. “In effetti il 70% di loro ritorna in carcere entro due anni, è questa la realtà”.
Sposata con un procuratore federale, Michelle Alexander dubita che il sistema americano possa cambiare. Affinché le cose possano cambiare, sostiene, “ci dovrà essere una rivoluzione, in un modo o in un altro”.
Quale che sia il modo in cui il cambiamento avverrà, il sistema carcerario statunitense, spesso in mani private e gestito secondo una logica industriale, sarà un ostacolo enorme. “Se dovessimo ritornare ai numeri della popolazione carceraria degli anni Settanta, prima dell’inizio della guerra contro la droga”, ha rilevato, “oltre un milione di persone che lavorano nel sistema penitenziario perderebbe il posto di lavoro”

Sistema penitenziario degli Stati Uniti
La situazione di dipendenza degli Stati Uniti dal sistema penitenziario, dice la professoressa di diritto nello Stato dell’Ohio, è pari a quella che sperimentano con la guerra. “Abbiamo costruito una macchina da guerra più grande di quelle di tutti gli altri Paesi del mondo messi insieme, con milioni di persone ben pagate nell’industria della difesa e miliardi di dollari in gioco. E questo ci spinge a continuare a lanciare bombe, a invadere altri Paesi, a fabbricare sempre nuove armi”.
Allo stesso modo, di fronte a un complesso carcerario-industriale consolidato, che garantisce un milione di posti di lavoro e che gestisce miliardi di dollari, ogni caso di giustizia criminale rappresenta ancora una pena detentiva da comminare, ancora un doppio recidivo da punire, ancora un carcere da costruire in una piccola città che creerà posti di lavoro. E, di conseguenza, ancora una possibilità di vita migliore da rifiutare.

Drug Policy Alliance (sito ufficiale):  http://www.drugpolicy.org
Drug Policy Alliance (articolo su Wikipedia) : http://en.wikipedia.org/wiki/Drug_Policy_Alliance