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Migrazioni

Pubblichiamo il testo dell'intervento di Angelo Levati ad un incotro sulle migrazioni svolto a Salerno il 13 novembre 2015.

Il passato

Ho distribuito alcune fotocopie tratte da pubblicazioni delle ACLI del Belgio e della Svizzera per ricordare le due tragedie di Marcinelle (1956) e di Mattmark (Canton Vallese CH) per ricordarci che noi siamo un popolo di emigrazione e questo ce lo dobbiamo ricordare sempre per imparare dagli errori fatti in passato per non ripeterli in futuro: non dobbiamo rottamare la memoria storica, “guai a quel popolo che non la coltiva”. Ricordiamoci quando Gian Antonio Stella, giornalista del Corriere della Sera, scrisse il libro “L’Orda: quando gli Albanesi eravamo noi”. Noi Italiani, purtroppo, non abbiamo imparato molto dalle nostre esperienze di emigrazione, ci comportiamo allo stesso modo e forse peggio con coloro che dal Sud del mondo vengono a cercare fortuna nel nostro  Paese.

Per dare un idea di cosa abbia significato l’emigrazione per il nostro paese, ecco alcune cifre: dal 1876  al 1976 sono usciti dall’Italia per tutte le direzioni circa 24.000.000 di connazionali, attualmente vivono  fuori dai confine d’Italia circa 5.000.000 di concittadini (dati AIRE)  con regolare passaporto; se poi  si contano tutti  coloro che,  siano essi di terza o quarta generazione, arriviamo a  circa 60.000.000. Vi é dunque un’altra Italia fuori dai confini nazionali, questa  é la conseguenza di  un costante  flusso migratorio, che ebbe inizio già negli anni dei disordini  che scuotevano l’Italia ben prima dell’unità nazionale e delle guerre d’indipendenza.

Questo spiega almeno in parte la presenza di Istituzioni italiane in tutto il mondo, spiega il modo con cui noi ci siamo sempre distinti per le modalità con cui abbiamo gestito ed organizzato l’accoglienza e la solidarietà  verso i nostri stessi connazionali che arrivavano nei nuovi Paesi, dove tutto doveva essere ancora costruito.

Abbiamo un esempio molto interessante che purtroppo non si è più ripetuto come quello dell’accordo tra il Governo De Gasperi e il Governo del Belgio siglato il 23 giugno 1946, un accordo tra due Stati sovrani: siccome in Italia c’era surplus di manodopera e in Belgio mancava personale per le miniere, l’accordo prevedeva l’invio di nostri connazionali in quel Paese. Il centro di raccolta era la Stazione Centrale di Milano per lavoratori che venivano da varie parti d’Italia: settimanalmente partivano treni con 500-800 persone, a Chiasso il treno veniva piombato perché la Svizzera non voleva rogne e, in Belgio, i nuovi arrivati (solo uomini) venivano ospitati nei campi di concentramento dei prigionieri del periodo bellico. Questa sistemazione durò fino al 1956 anno della strage di Marcinelle.

Guardiamo ora la nostra esperienza qui in Italia: il cimitero che c’è stato e c’è tutt’ora nel Mediterraneo, il traffico delle braccia, il traffico umano che arriva dai paesi in guerra, dall’Africa, dalla Siria, dal Libano, dall’India: tutto il traffico in mano alle bande, alla mafia che muove capitali enormi. La stessa cosa avvenne nell’emigrazione tra l’Italia e l’America: non essendoci stati accordi che regolassero le partenze e gli arrivi, l’emigrazione di allora, tra la fine del XIX° secolo e l’inizio del XX° viveva le medesime condizioni di quelle che stanno attualmente accadendo nel Mediterraneo. Le tragedie che sono successe alle navi affondate, quelle arrivate a destinazione e respinte. Si racconta di navi che risalivano il Rio della Plata per arrivare in Uruguay e in Paraguay (dove vivono numerose colonie di nostri connazionali, dove ancora oggi si parla italiano). Ma siccome quelle navi con i relativi passeggeri non avevano i permessi necessari, quelle navi venivano respinte e, non essendo in grado di affrontare il mare, affondavano. Esistono solo cifre approssimative di quanti nostri connazionali sono finiti in pasto ai pescecani nell’Atlantico del Sud.


Il presente

La situazione di coloro che attualmente attraversano il Mediterraneo con imbarcazioni di fortuna  oppure coloro che vagano per l’Europa in attesa di passare da un confine a un altro, è un fenomeno che provocherà la trasformazione della nostra società europea, fenomeno che durerà diversi anni, forse decenni.

Noi vediamo in televisione situazioni reali che trasformeranno l’Europa, proprio come avvenne con la caduta dell’Impero Romano nel 376 d.C., allora i “barbari” venivano da Nord, ora “i nuovi barbari” vengono da Sud e dall’Est. Chiediamoci: come mai oggi ci troviamo di fronte a questi fenomeni incontrollati?

La prima risposta la possiamo trovare quando, agli inizi degli anni ’90, gli Stati Uniti, assieme ad altri Stati che si accodarono (come il nostro) dichiararono guerra a Saddam Hussein con il pretesto – mai verificato – della presenza di armi micidiali. In quell’occasione solo Giovanni Paolo II°, dopo aver consultato i Vescovi dell’Iraq, si disse contrario alla guerra ma non fu ascoltato. Il secondo intervento,  voluto dalla Francia contro la Libia, per eliminare Gheddafi, ancora una volta ci vide accodati. Questi due personaggi, a modo loro, erano i gendarmi di quella situazione: tolti di mezzo loro, nacque qualcosa di anomalo ed è ciò che stiamo vivendo in questo momento.

Una seconda risposta: perché molti immigrati arrivano dall’Africa? Quando nel 1995 le ACLI della Lombardia organizzarono a Motta di Campodolcino una settimana di studio dal titolo “alla scoperta dell’Africa”; per l’occasione furono invitati come relatori economisti, professori di università e missionari. Tra gli altri, Boka d’Im Pasi Londi, professore dell’Università di Kinshasa, ci raccontò che, nel suo Paese, c’erano piccole banche che concedevano crediti ai contadini che coltivavano la loro terra. Quando arrivarono gli enormi capitali degli Accordi di Lomé, inviati dalla Comunità Europea per costruire nuove mega-strutture progettate dall’Europa, l’arrivo dei capitali europei mandò in crisi le piccole banche del luogo con conseguenze che possiamo tutti immaginare. In quell’occasione, siamo nel 1995, qualcuno ci disse che se le cose fossero continuate così, gli africani avrebbero invaso l’Europa come cavallette. Ci siamo!

Una terza risposta la possiamo dare constatando che in Italia ci sono diverse fabbriche di armi, come da noi in Lombardia, se vengono costruite in continuazione è segno che qualcuno le usa, e siccome da noi guerre non ve ne sono, vengono usate nei luoghi dove essa c’è. Appunto dai paesi da dove arrivano i nuovi immigrati.

Infine questo è un periodo storico dove il potere e il denaro sono in mano a pochi e questa situazione genera povertà, situazione ben descritta da Papa Francesco nella sua lettera Evangelii gaudium “in questo contesto, alcuni ancora difendono la teoria della “ricaduta favorevole”, che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesca a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante. Nel frattempo gli esclusi continuano ad aspettare” n. 54.

D’altra parte ecco alcuni esempi di accoglienze che hanno prodotto benefici sia per gli accoglienti che per gli accolti.

In un Convegno organizzato dalle ACLI svizzere a Berna, una decina di anni fa, un funzionario del Governo Centrale disse: “grazie alla presenza di voi immigrati, che in Svizzera sono il 23%, noi siamo diventati più ricchi”.

In Germania, fino a qualche anno fa l’articolo 16 della Costituzione recitava: “ogni straniero che arriva alle porte della Germania, lo Stato tedesco ha il dovere di accoglierlo”. Difatti, ancora oggi, la Germania accoglie. Ci sono dati del 2012 (fonte Agenzia Internazionale Stampa Estera AISE) ci dicono che la Germania ha accolto oltre 60.000 giovani italiani, di cui 12.500 dalla sola Lombardia. Ancora oggi, se un giovane si presenta con un certificato idoneo, si reca agli uffici comunali, lì riceve un contributo che serve a pagare l’affitto (perché gli affitti sono più bassi dei nostri, in quanto solo il 20% dei cittadini tedeschi è proprietario di casa), riesce a pagare pure la scuola professionale e, alla fine, potrebbe avere un lavoro perché anche là il lavoro non è più garantito come un tempo.

Mentre in Repubblica Ceca lo Stato ha affidato alla Caritas locale la gestione del “Progetto Migrazioni” e lo Stato contribuisce al lavoro della Caritas stipendiando per questo 4.000 operatori.


Il futuro

La prima cosa da fare con urgenza è quella di abolire la “Legge Bossi Fini” perché  questa legge non ha mai bloccato nessun straniero ma ha fatto sì che i nuovi arrivati fossero sfruttati dai nostri o dai loro stessi connazionali in quanto, per legge, non sempre uno può avere il permesso di soggiorno e, senza questo, non  può neanche lavorare in regola.

Di contro oggi abbiamo in Italia parecchie aziende gestite da stranieri, così pure molti stranieri lavorano in regola pagando i contributi previdenziali che serviranno per il loro e il nostro futuro.

L’emigrante è anche ambasciatore non solo del proprio paese, ma è anche ambasciatore dei prodotti del paese in cui lavora: per esempio, sono stati i nostri emigranti a fare la prima pubblicità dei nostri vini italiani e di tanti altri prodotti. Vanno poi citate cifre notevoli che arrivano attualmente in Italia attraverso le pensioni dei nostri connazionali che hanno deciso di ritornare al proprio paese d’origine. Dai sette paesi dell’Europa arrivano attualmente tre miliardi e trecentoquarantatre milioni per le pensioni. E’ questo uno studio fatto dal Senatore Claudio Micheloni della Svizzera che appartiene all’Associazione delle cosiddette Colonie Libere. Queste statistiche riguardano solo gli Istituti pubblici, sono esclusi da questi conteggi gli istituti pensionistici privati che aumenterebbero in modo esponenziale le cifre delle pensioni. Queste cifre rivelano il rovescio della medaglia dell’emigrazione.

Il risultato di tutto questo andata/ritorno produce un notevole scambio di esperienze a livello interculturale e interreligioso. Siamo in un periodo delle multinazionali economiche, adesso andiamo anche verso le multinazionali delle culture. Per questo invito le Amministrazioni Comunali ad aprire gemellaggi tra le nostre città con città straniere che ospitano molti migranti; gemellaggio vuol dire incontri, scambi culturali, scambi di abitudini, scambi di prodotti.

Organizzate, per esempio, un viaggio a Friburgo in Germania dove trovate il consiglio comunale degli stranieri, dove, a fine settembre, si celebra una settimana dell’emigrazione.

Andate a Genk nelle Fiandre Belghe: 60.000 abitanti di cui 20.000 italiani, un circolo ACLI, vari circoli regionali italiani, quattro chiese cattoliche di cui una chiusa per mancanza di personale, una chiesa evangelica, due moschee turche e una moschea marocchina. Il nostro futuro è questo.

Andate, per esempio, a Lugano, un circolo ACLI con 800 iscritti con italiani, svizzeri, spagnoli e portoghesi. Attualmente la Municipalità di Lugano ha affidato alle ACLI la gestione del dormitorio notturno per persone emarginate.

Di tutto questo lavoro delle ACLI all’estero va dato merito alla Conferenza Episcopale Italiana che, attraverso le strutture delle Missioni Cattoliche Italiane, ha dato possibilità a molti nostri connazionali di organizzarsi e così attutire quel vulnus prodotto dallo sradicamento dalla propria terra di origine.

Nel chiudere porto l’esempio della mia città: Cernusco sul Naviglio  (Milano) là sono state favorite le associazioni di stranieri.

Il circolo ACLI nel 1997 ha promosso la nascita di una associazione albanese. Da subito si è posto il problema di capirsi, per questo si è dato vita ad una Scuola di italiano per stranieri con 170 alunni e 25 volontari per l’insegnamento. Le prime necessità sono state favorite da una mensa settimanale e doccia, servizio gestito dalle tre Parrocchie della città, con le quali organizzavamo insieme la Giornata del migrante partecipando alle liturgie domenicali e a momenti vari di animazione.

I nostri amici albanesi ad un certo punto ci hanno detto: volete conoscerci meglio, venite in Albania e, dal 1999 abbiamo iniziato una serie di viaggi di italiani nel Paese delle Aquile. Oggi dieci albanesi sono assunti dalle ACLI in Albania per gestire i servizi delle ACLI, quali il patronato e la scuola professionale.

Visto che mi avete invitato a portare la mia esperienza, credo che ciò che ho espresso sia stato utile anche per il vostro lavoro futuro, per questo vi auguro: Buon Lavoro.